ECONOMIA
Dal rione Libertà la storia dei Bianchini e dell’arte pasticcera beneventana: tra bisquit, tortano, lo Strega e la Strega
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Ci sono posti che raccontano l’anima di un luogo. Michele a Forcella, per restare da queste parti, Elaine’s a Manhattan ma anche il Moulin Rouge a Pigalle per volare più lontano. E cosa sarebbe il rione Libertà senza la Pasticceria Bianchini? Quando si parla di beneventanità esistono – se esistono ancora – pochi posti più riconosciuti e riconoscibili di quel manufatto in cemento che abita via Napoli da quasi settant’anni. Anche perché prima, laggiù, di attività commerciali non vi era alcuna traccia. “Siamo stati dei pionieri” – spiega infatti Mimmo Bianchini, uno dei due pilastri che reggono questo pezzo di storia della Città. L’altro è il fratello Pio. Ma è a Guido, loro padre, che si deve l’incipit della narrazione. “Fu tra i primi a insistere sulla necessità di insediare un po’ di commercio su via Napoli. Rigorosamente sul lato sinistro, quello destro è sempre stato destinato ad aree a verde. Previsioni e strumenti urbanistici non ne esistevano e fu lasciato spazio alle iniziative dei privati. E tra questi mio padre e poche altre famiglie. I lavori del nostro manufatto iniziarono nel ’54 e terminarono nel ’58. Sempre nel 1954, a marzo, la prima licenza, la conservo ancora gelosamente”.
Subito pasticceria?
“Era in società con Arturo Fragnito che gestiva un tabacchi. Mio padre faceva attività laboratoriali varie, in via Napoli 137. Diciamo in un manufatto, in realtà era una vera e propria baracca”.
Nel ’58 l’apertura dell’attività dove siete tutt’ora: non è cambiato nulla?
“Qualcosa è cambiato perché con l’amministrazione Pepe la proprietà è stata espropriata dal Comune. Un provvedimento retroattivo, tra l’altro. Ora siamo in fitto, prima pagavamo un comodato d’uso del suolo. Una pagina che ho vissuto con amarezza, non lo nascondo. Dopo cinquant’anni solitamente si parla di usucapione. Qua no. Eppure di sacrifici per tenere in piedi la struttura ne abbiamo fatti. E tanti. Ancora mi chiedo come faccia a restare in piedi. Ma ad altri è andata anche peggio, ancora non riaprono. La spiegazione era legata alla situazione economico-finanziaria del Comune. Certo, non è stato un segnale di incoraggiamento per chi pure ha investito in un quartiere difficile”.
Il rione Libertà…
“Per noi è motivo di vanto essere sempre stati qui. Settant’anni sono tanti. C’è una certa narrazione che riguarda questo quartiere, non so dire se corretta o meno. Certo è stata un’area trascurata, pensiamo soltanto al mancato ammodernamento dell’edilizia popolare. E sicuramente oggi vive delle forti difficoltà. Ma penso anche non sia un caso isolato. Anche se ci fermiamo a discutere solo di commercio, l’unica parte di Benevento dove vedo ancora poche serrande chiuse è il viale Principe di Napoli. Per il resto anche fare una passeggiata sul corso Garibaldi mette tristezza. E sai chi te lo fa notare?”.
Dimmi
“I beneventani che rientrano dai luoghi in cui sono emigrati. Ricordano tutti un’altra Città. Ed è così: noi siamo cresciuti in un contesto diverso, anche qui in via Napoli – dove infatti ho conosciuto mia moglie – era un pullulare di ragazzi. Andavi sul viale degli Atlantici e trovavi gente ovunque. Sul corso Garibaldi ancora di più. Poi la pedonalizzazione… Ricordo che intervenni in Consiglio per dirlo: avrà effetti devastanti sul centro storico. E poi i centri commerciali…vabbè: è anche vero che i tempi cambiano e il commercio – come tante altre cose – si è evoluto. O si è involuto”.
La tradizione però resiste. E piace sempre. Ne siete la dimostrazione
“Quando si parla di pasticceria a Benevento bisogna parlare di scuola. Perché la pasticceria beneventana è un marchio. Ha una storia e un vissuto importante. Che parte da piazza Roma”.
Cosa c’era a piazza Roma?
“Cominciamo col dire che piazza Roma era il salotto della Città. Salotto politico e sociale. Era frequentato da tutti: borghesia e ceti popolari. In uno dei palazzi di piazza Roma c’era l’antico laboratorio Pastore. Per capirci: tutte le grandi famiglie pasticcere beneventane si sono formate lì: Bianchini come Ascione, Donatiello, Mercurio. Poi esistevano anche laboratori più piccoli, disseminati nel centro storico, come Romano, Sifo, Capobianco. Ma Pastore ha rappresentato il ‘principale’ di tutti. E’ con lui che mio padre ha imparato l’arte della pasticceria. E poi c’è un altro nome che va ricordato”.
Prego
“Raffaele Cotugno, zì Rafele ‘o Capitone. E’ andato via una trentina di anni fa, ho avuto il piacere di conoscerlo. Un altro maestro dei nostri pasticcieri, compreso mio padre. Perché l’arte si apprendeva dai predecessori. Zì Rafele è una di quelle persone a cui il Comune mi piacerebbe intitolasse una strada. E’ la storia della pasticceria beneventana”.
Andiamo a oggi: i dolci più richiesti?
“Sicuramente il nostro Bisquit: pan di spagna, gelato allo Strega, cassata e qualche amarena. Il gelato allo Strega è una di quelle cose che mi rende orgoglioso: è un vanto per la Città, proprio perché valorizza un simbolo di Benevento. La sua produzione costa tanta fatica, eppure ancora oggi anche per farne venti litri, utilizziamo i sistemi tradizionali. E poi c’è la Torta Delizia. Dolce che ci identifica perché è una nostra creazione: una torta alla mandorla, con Pan di Spagna soffice e una crema eccezionale. E a proposito di crema pasticcera, per tornare alla scuola beneventana: anche i maestri napoletani l’apprezzano. Così come apprezzano lo Strega, oggi molto utilizzato anche a Napoli. E sempre per parlare del nostro liquore mi piace sottolineare la rivalutazione della nostra pastiera. La pastiera beneventana che ha eliminato i fiori d’arancio e riconosciuto il primato allo Strega. E poi c’è il nostro Tortano. Che merita un capitolo a parte”.
E scriviamolo
“Un dolce pasquale, tipico di Benevento. Si è sempre fatto, anche in casa. Ricordo che le famiglie prima – per fare economia – lo realizzavano in casa per poi andarlo a infornare nelle pasticcerie o nei panifici perché il forno di casa non poteva contenerlo. Quando esplose la moda del panettone, molti clienti storici iniziarono a incalzarci: “Ma perché dobbiamo mangiarci il panettone milanese?”. E così cominciammo a produrli anche a Natale. E’ diventato il nostro panettone anche perché la forma lo ricorda. Anche qui tanta fatica: ha un processo di lievitazione lento, a temperature basse, occorrono 48 ore. E’ richiestissimo e ne siamo orgogliosi”.
Restiamo in tema di beneventanità: siete un punto di riferimento storico per i tifosi della Strega
“Diciamo che lo eravamo. Poi sono subentrate le tv locali, quindi i social. Ma se parliamo di prima è vero: di calcio e del Benevento si parlava qui. E anche per conoscere il risultato del Benevento quando giocava in trasferta i tifosi venivano da noi. “Che abbiamo fatto?”. E io prendevo il telefono e chiamavo i Carabinieri della città in cui si era disputata la partita. Presi anche l’abitudine di piazzare una bandiera giallorossa fuori dal locale quando vincevamo fuori casa. La verità: non succedeva spesso. Ma quella bandiera esposta stava a significare che era andata bene”.
Chiudiamo con uno sguardo sul domani, il futuro della pasticceria beneventana?
“Ecco, questo è il mio unico cruccio. Anche noi Bianchini abbiamo fatto da scuola a giovani pasticcieri e qualcuno ancora resiste. Adesso, però, reclutare giovani leve è diventata impresa ardua. E’ un mestiere, il nostro, che dà tante soddisfazioni ma che comporta sacrifici enormi. Non esistono né sabato né domenica. E a Pasqua e a Natale, mentre gli altri festeggiano, tocca alzarsi alle cinque del mattino e lavorare fino al primo pomeriggio. Non voglio essere pessimista e mi limito a dire che fare il pasticciere, oggi, ha poco appeal. Ma la scuola beneventana non va persa. Sarebbe davvero un peccato enorme. Per tutta la Città”.