Calcio
Benevento, sentenze e responsabilità oggettiva nello sport: usi e abusi
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E’ già materia d’archivio – per via del volgere rapido degli eventi che verranno – la sentenza di primo grado della Commissione Disciplinare nazionale sulla vicenda del ritrovato (e forse mai sparito, chissà,,,) calcio-scommesse, l’ultima in ordine di tempo esplosa a giugno e deflagrata anche nel Sannio per via del coinvolgimento dell’allora ‘numero uno’ del Benevento, il portiere Marco Paoloni. Quest’ultimo ha praticamente pagato col pensionamento forzato dall’attività agonistica; la società presieduta da Vigorito, invece, paga di riflesso la presenza fra le sue fila di colui che è stato individuato tra i principali protagonisti in negativo della storia – appunto Paoloni – , ma in maniera senza dubbio pesante, per via delle ancora una volta non celate ambizioni di salto di categoria che, certo, dovrebbero fare i conti con un handicap non decisivo ma importante. E non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno della riduzione della richiesta del procuratore federale, Palazzi. I punti decurtati sono pur sempre oltre un terzo (cinque sui quattordici richiesti), è vero, ma rappresentano ancora un fardello pesante, che potrebbe non essere del tutto azzerato nel prosieguo.
E velocemente gettiamo un occhio alla tempistica. Le difese ora avranno 48 ore di tempo per presentare appello ed il Benevento calco ha reso noto "che, dopo aver preso atto della sentenza emessa dalla Commissione Disciplinare Nazionale, la quale ha inflitto al sodalizio giallorosso 9 punti di penalizzazione in classifica da scontare nel campionato 2011/12 e ammenda di euro 30.000,00, ha dato mandato al proprio legale, avv. Eduardo Chiacchio, di predisporre il ricorso avanti la Corte di Giustizia Federale". Il 16 agosto dovrebbe aver luogo il processo di secondo grado, con procedura semplificata, mentre entro sabato 20 si conoscerà la sentenza definitiva della Corte d’appello. Poi ci sarà spazio per l’Alta Corte del Coni e (nel caso) per la giustizia amministrativa, ma a quel punto i campionati saranno già partiti.
Tutte le analisi lette finora parlano di un costrutto, quello del procuratore Palazzi, non smontato dalla Disciplinare, se non in modo marginale. Ed è vero. Ma qui nel Sannio c’è comunque l’amaro in bocca che sorge alla lettura della formula: ‘responsabilità oggettiva’. Il concetto, crede chi scrive, è statuito soprattutto per alleviare le pene della scarsa credibilità del calcio stesso in certi frangenti. Accomunare, per esempio, il destino delle società a quello dei loro tifosi è cosa buona e giusta: perché il vincolo talora di sangue (quello degli altri) che lega frange estreme o incivili del tifo ed i sodalizi che ipocritamente non ne prendono le distanze in maniera netta e mettono in essere radicali azioni di isolamento, anche facendo ricorso agli organi di giustizia ed alle forze dell’ordine, va spezzato in modo drastico, appunto anche facendo ricadere sui padri (le società) le colpe dei figli poco nobili (i tifosi). E la responsabilità oggettiva in questo senso dovrebbe rivelarsi utile nell’insegnare ad arruffappopolo e ‘giornalai’ tifosi – che sono sempre acquattati dietro un angolo – comportamenti temperati, o semplicemente giornalistici. Quindi professionali.
Ma la responsabilità oggettiva fondata sull’ignoranza (a meno che non sia provato con certezza il contrario) del reato commesso da terzi che si dovrebbe rappresentare e dei cui comportamenti rispondere (un singolo tesserato, sempre per esempio) non appare come una pietra d’angolo della giurisprudenza sportiva. Si può sanzionare la stupidaggine, ed una botta al portafoglio in tal senso è significativa, ma pregiudicare o inficiare un risultato sportivo per la stupidaggine appare fin troppo sanzionatorio.