POLITICA
Festa della Repubblica. Il pensiero di Cimitile ai terremotati: “sentire i bisogni veri. Non basta solidarizzare”
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Riceviamo e pubblichiamo il discorso del Presidente della Provincia di Benevento Aniello Cimitile davanti al Monumento ai Caduti in piazza IV Novembre di Benevento in occasione della Festa della Repubblica.
«Care italiane e cari italiani del nostro Sannio,
a distanza di un anno siamo di nuovo qui riuniti intorno al Prefetto, al Prefetto Ennio Blasco che, per la prima volta, è qui con noi ed al quale vogliamo ribadire il nostro benvenuto ed il nostro augurio di buon lavoro; ancora una volta insieme, quindi, per la ricorrenza della giornata dedicata alla nascita della nostra Repubblica.
Ma credo che non ci sia nessuno fra di noi che non avverta sia un profondo turbamento che un bisogno intenso ed incomprimibile della ragione che ci portano a dire che quest’anno c’è un motivo in più per stare insieme, perché vogliamo dire che oggi ci sentiamo tutti emiliani, per far sentire agli italiani di Mirandola, di Finale, di tutti i paesi colpiti dal terremoto che non sono soli, che il loro lutto ed il loro dolore sono lutto e dolore nazionale.
E’ un 2 Giugno col quale vogliamo esprimere insieme a loro la nostra volontà unitaria e la nostra attiva determinazione a vincere e conquistare il nostro comune futuro, per dire che la forza, il coraggio, le straordinarie risorse civili e sociali di questo nostro Paese sono in campo per fronteggiare la loro terra che trema, per fronteggiare le emergenze drammatiche di queste ore, per agire in fretta nella ricostruzione di comuni, case, lavoro, nel ripristino di normali condizioni di vita.
Un giornalista famoso ha definito le nostre terre sannite "terre ballerine". I nostri comuni, quasi tutti, portano i segni evidenti dei terremoti passati; abbiamo villaggi e centri abbandonati, quartieri ed interi comuni ricostruiti altrove.
Noi conosciamo la tragedia, le distruzioni ed il dolore che questi eventi procurano; noi sappiamo cosa significa essere travolti da forza incontrollabile, “sentirsi impotenti ed essere sbattuti con le spalle al muro", perdere in pochi secondi persone care, la casa, il frutto di anni di lavoro, progetti di vita.
E’ con questa consapevolezza che il nostro pensiero collettivo va a quanti sono ora costretti a vivere fuori dalle loro case, fra disagi enormi e spesso nel vuoto incolmabile di affetti perduti per sempre. Noi sappiamo quanto sia importante che in questi momenti venga fuori con tutta la sua forza l’Italia unita e solidale, impegnata, in una unica e comune volontà a ridare sicurezza e futuro alle famiglie ed ai territori colpiti.
Di fronte alle rovine, alle macerie di centri storici, di case e di paesi distrutti noi dobbiamo ritrovare lo spirito, la forza dell’Italia del 2 Giugno, quando tutto il nostro Paese era un unico campo di rovine e di macerie. Sessantasei anni fa, una Italia devastata dalla dittatura fascista e da una guerra mondiale, lacerata da odio e conflitti profondi, seppe trovare la via della rinascita civile e politica del Paese, della sua ricostruzione economica e produttiva, della sua collocazione stabile fra le democrazie occidentali e negli organismi di governo e cooperazione mondiale.
Se andiamo a rileggere le pagine di storia sulle condizioni economiche e sociali in cui versava l’Italia, se andiamo a rivedere le fotografie sbiadite e tuttavia impressionanti di quel 1946 e le immagine rare di filmati di archivi militari e di cinegiornali dell’epoca, non possiamo non chiederci “se ce la fecero i nostri padri in condizioni così difficili e drammatiche, perché non ce la dovremmo fare noi?”
Credo che la risposta a questa domanda sia ovvia e scontata: noi possiamo e dobbiamo farcela. Ma in questa risposta ci deve essere la coscienza della necessità di un cambiamento di rotta, di una assunzione attiva di responsabilità collettiva ed individuale, in cui ciascuno è chiamato a fare la propria parte, dalle istituzioni pubbliche alle forze politiche, dalle organizzazioni sociali a quelle del volontariato.
Abbiamo bisogno di una capacità nuova di mettere al primo posto, sempre e comunque, il bene comune e gli interessi collettivi, di riscoprire i valori alti della politica e dell’impegno sociale. Abbiamo bisogno di saper leggere la storia di questi 66 anni, per esaltarci e trovare le nostre radici e la spinta propulsiva nelle tante conquiste fatte, a partire proprio da quelle di quel lontano 2 Giugno del 1946 quando contemporaneamente raggiungemmo tre obiettivi epocali: la partecipazione al voto di tutte le donne; la nascita dell’Italia democratica e repubblicana; l’elezione dell’Assemblea Costituente.
Ma dobbiamo leggere la storia di questi anni anche per capire ritardi ed errori, per capire dove dobbiamo agire per cancellare, ad esempio, guasti ed ingiustizie che spesso producono non già impegno a cambiare ma concrete e devastanti tendenze alla rassegnazione ed all’antipolitica.
Quanti terremoti abbiamo avuto in questi 66 anni? lo ricordo il terremoto del Belice nel 1968 (le scosse durarono un intero mese, ci furono 370 morti e 70.000 senza tetto); poi quello del Friuli del 1976 (1000 morti, 75 mila case danneggiate, 18 mila distrutte); poi nel 1980 quello della nostra Irpinia (3000 morti, 362 mila case danneggiate o distrutte); abbiamo ancora vive e presenti le immagini e le ferite aperte dei terremoto de L’Aquila (308 morti, 65 mila sfollati).
Come possiamo non rilevare che queste esperienze ci dicono che non abbiamo le carte in regola, che non è stato fatto quello che era necessario fare, che non siamo stati capaci di costruire un sistema nazionale e distribuito di prevenzione delle catastrofi naturali ed in particolare dei terremoti, della gestione dell’emergenza nel dispiegarsi delle catastrofi, nella gestione della ricostruzione ex-post.
Come non rilevare che in termini di prevenzione nessuno ha fatto il proprio dovere e come non rilevare la catastrofe delle esperienze sugli interventi ex-post, trasformate sistematicamente in mere occasione di business per pochi?
Noi conosciamo bene anche questo, per le esperienze passate (abbiamo avuto l’Irpiniagate, a fronte di 4 euro di accise sulla benzina che noi paghiamo ancora a 32 anni di distanza, 64 mila miliardi di vecchie lire spesi) e per quelle più recenti, come la frana di Arpaise dove il sindaco e la comunità di quel paese sono sempre più soli di fronte ad un problema che non possono certo risolvere da soli.
Vogliamo sperare che nel dramma di queste ore non ci sia nessuno che stia sorridendo e stropicciandosi le mani sugli affari che farà per il dopo terremoto in Emilia. Sono a cose come queste che dobbiamo mettere mano, sentire i bisogni veri, non basta solidarizzare oggi con quelle popolazioni, con i loro sindaci che abbiamo visto in giro 24 ore al giorno, stanchi, sfiniti, unica vera e reale permanente presenza delle istituzioni: bisogna costruire certezze di sistema, strutture di un Paese civile ed avanzato.
lo mi auguro davvero che questo giornata possa essere un punto di snodo per una nuova era di Ricostruzione dell’Italia, per un Paese in cui tutti gli italiani prendano in mano pale e martelli per dare vita ad un terzo Risorgimento.
Abbiamo di fronte a noi una Italia in enormi difficoltà, con una crisi economica che sta distruggendo lavoro e forze produttive ed imprenditoriali, con un sistema politico in evidente crisi e con preoccupanti fenomeni di degenerazione; con una sofferenza sociale che sta raggiungendo punte di emergenza.
Non basta più invocare il ritorno allo spirito ed ai valori costituzionali e repubblicani, non basta più esprimere fiducia nella rinascita e nello sviluppo del nostro paese; occorre agire per dare futuro ai giovani, per combattere squilibri ed ingiustizie che appaiono e sono ormai odiose ed insopportabili, per cambiare e rinnovare profondamente la politica, per riforme vere capaci di dare nuovo sviluppo alla democrazia, per attivare subito progetti concreti di crescita e sviluppo economico.
Senza pessimismi e senza nulla concedere al disimpegno ed alla impotenza, ma consapevoli delle difficoltà che abbiamo di fronte, che questo 2 Giugno sia la giornata della Ricostruzione e che a questo obiettivo, in modo solenne ed impegnativo, sappiano chiamare i simboli civili più forti che oggi esponiamo qui in piazza Castello: il Gonfalone della città di Benevento, il Labaro della Provincia di Benevento, i picchetti militari e d’onore, il ricordo e il riconoscimento per quanti hanno dato la loro vita per l’Italia e per gli italiani, e, valore dominante su tutto, il nostro tricolore.
E’ con questo spirito che diciamo:
Viva il 2 giugno, viva la Repubblica, viva il Sannio».