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Cimitile e il progetto Sannio che non c’è: “È rimasto tutto com’era”

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Ingegnere e politico, per Wikipedia. Qui è semplicemente il professore. O il presidente, se preferite. Sannita non di nascita ma per meriti acquisiti, Aniello Cimitile è stato per quasi un ventennio tra i protagonisti principali del dibattito pubblico nel Beneventano. E se gli chiedi cosa fa, ora, la risposta riecheggia una delle citazioni più celebri di Jep Gambardella: “La cosa bella di questa fase della vita è che posso permettermi il lusso di fare solo quello che mi piace”.

Ovvero?

“Da professore emerito continuo a seguire due importanti progetti di nuove strutture di trasferimento tecnologico, entrambe di importante rilevanza per il Sannio. Dal punto di vista culturale mi sto molto occupando delle origini del più grande polo industriale del Mezzogiorno, quello di Pomigliano d’Arco. Colgo l’occasione per annunciare l’uscita entro maggio di un mio libro sul 1943 all’Alfa Romeo”.

 A Benevento, però, torna ancora spesso

“Sono nel mio studio universitario almeno una volta a settimana. Mi manca, invece, il rapporto perduto con tanti paesi e amici della provincia”.

Lei l’ultimo presidente della Provincia eletto con voto popolare. Ma è una statistica che potrebbe presto aggiornarsi considerata la volontà di Governo e Parlamento di ‘superare’ la riforma Delrio. Cosa ne pensa?

Pensavo e penso che la “cosiddetta riforma” Delrio sia stata insensata e sbagliata. Oggi il risultato è davanti agli occhi di tutti: la totale assenza di strutture e capacità di programmazione e progettazione di area vasta su tematiche di straordinaria rilevanza. Naturalmente non è solo il problema, importantissimo, dell’elezione diretta di Presidente e Consiglio Provinciale: bisogna dare alle Province strutture e mezzi per poter governare i propri territori”.

Lei ha avuto l’onore e l’onere di guidare l’Università degli Studi del Sannio nella sua fase di ‘lancio’: si è realizzato quel percorso di crescita che si auspicava in quei tempi?

“Credo che l’Università del Sannio sia oggi una realtà solida con insediamenti scientifici di riconosciuta e certificata eccellenza. Certo, non è un buon momento per le Università italiane, ad esempio per il modo in cui si è strutturato il sistema per l’utilizzazione dei fondi PNRR. Sembra essere fatto apposta per escludere tutta la rete delle piccole e medie università che sono invece un patrimonio strategico di questo Paese. Oggi la nostra Università è anche nel pieno di un importante ricambio generazionale: le nostre realtà territoriali dovranno imparare presto a conoscere questa nuova classe accademica che si va consolidando col rettorato di Gerardo Canfora. Credo che Canfora stia fra l’altro anche affrontando la sfida dell’apertura della nostra università a nuovi e necessari cambiamenti sia negli assetti didattici e scientifici che in quelli logistici, ambientali e organizzativi. Da questo punto di vista, credo che con passi oculati e politiche attente stia anche lavorando a futuri ampliamenti”.

Gli indicatori economici continuano a segnalare un Sannio in difficoltà, eppure agli inizi del 2000 le sensazioni erano diverse: cosa non ha funzionato?

“La fase di positiva proiezione del Sannio verso sviluppo e innovazione a cui lei fa riferimento, cominciò a incrinarsi con la crisi del 2011/12 e trovò nel depotenziamento della sua provincia un vero e proprio colpo di grazia. Ancora oggi il territorio sannita ha caratteristiche che dovrebbero garantirgli straordinari vantaggi competitivi: ma chi si occupa del loro coordinamento, della pianificazione di un’azione di lungo respiro. Pensiamo alla transizione ecologica o se volete alla sola transizione energetica. Noi abbiamo le carte in regola e le risorse per raggiungere addirittura l’autosufficienza energetica e dare energia ad altri. Noi abbiamo la piena possibilità di combattere la diseguaglianza e la povertà energetica, garantendo a intere fasce di popolazione energia gratis, noi possiamo essere territorio esemplare di comunità energetiche. E’ solo un esempio, ne potrei fare molti altri, parlando di transizione digitale (il Sannio sarà uno dei poli dello European Digital Innovation Hub per la PA), delle nostre produzioni agroalimentari, del nostro straordinario patrimonio storico culturale, dell’ambiente e dei sistemi ecologici, … e continuando così. Noi siamo un territorio straordinariamente moderno che non ha strutture e sedi di progettazione territoriale”.

In questa stessa rubrica, l’ex assessore alle Finanze di palazzo Mosti, Francesco Saverio Coppola, in relazione alle difficoltà del Sannio ha parlato di mancanza di classe dirigente all’altezza. E’ cosi?

“Sono solo parzialmente d’accordo con Coppola, anche perché il problema sollevato non riguarda solo il Sannio. Il problema è che sono saltati i luoghi della formazione e crescita di una classe dirigente. Dove e attraverso quali esperienze nasce o viene selezionato “un dirigente”? Qui ci si agita solo quando bisogna fare liste e entri in lista non per meriti e riconoscimento politico, ma per quanti voti porti; più liste fai e meglio è, senza chiederti ma che cosa pensano, che hanno fatto, quali comunità e interessi rappresentano. In università non ci si iscrive direttamente alla seduta di laurea. Abbiamo bisogno di ricostruire i luoghi della politica (politica, non amministrazionismo), virtuali e reali, perché è lì che si forma e si seleziona una classe dirigente”.

Sempre sulla politica, la sua è una storia vissuta tutta a sinistra: la preoccupa più la vittoria della destra o le difficoltà della sinistra?

“Mi preoccupa molto di più la difficoltà della sinistra. E’ una difficoltà non banale perché non riesce a leggere le mutazioni che sono avvenute e ancora avvengono. Siamo passati dalla società industriale a quella informazionale, c’è la metamorfosi del lavoro, ci sono in corso autentiche rivoluzioni come quella dei dati e dell’intelligenza artificiale e noi non abbiamo modelli interpretativi, siamo fuori dai luoghi dove tutto questo fluisce: non è dai salotti e dai palazzi che si capisce il mondo intorno a noi. Siamo perfino totalmente incapaci di costruire nostre strutture collettive di comunicazione. Collettive, non le “bestie” di singoli personaggi e pifferai. Nella nostra università abbiamo una vera e propria autorità mondiale di economia politica, Emiliano Brancaccio, che con continuità ci racconta delle nuove caratteristiche del capitalismo attuale, dei suoi conflitti, delle sue nuove incompatibilità con la giustizia sociale, con l’ambiente e con la democrazia. Sembra che tutti siano interessati ad ascoltarlo (e uno dei più gettonati ospiti in tante trasmissioni e confronti autorevoli), tranne che la sinistra”.

Fausto Bertinotti, a Benevento per la presentazione del libro di Casini, ha auspicato lo scioglimento del Partito Democratico. Condizione che potrebbe liberare – nella riflessione dell’ex presidente della Camera – risorse utili a rimettere in moto la sinistra. E’ una idea che si sente di condividere?

“Non si può essere di sinistra e non avere affetto e rispetto per Bertinotti. Bisognerebbe però avere maggiore umiltà, magari cominciando a spiegare come e perché si sono sciolte come neve al sole tutte le ipotesi e le proposte politiche da lui fatte per rifondazioni comuniste e nuove sinistre. No, questa tesi bizzarra dello scioglimento del Pd come liberazione di risorse per qualcosa che non si capisce e non ha dato buona prova di sé nel passato, lascia il tempo che trova. E’ una ipotesi astratta e, sul piano reale, una opzione inesistente, soprattutto dopo che 1milione di persone sono andate ai gazebo per eleggere il nuovo segretario del Pd. Per ora, a decidere cosa deve fare il Pd, ci hanno pensano quelli che hanno votato Elly Schlein e che hanno bocciato apparati e scelte di vecchi gruppi. Comincia, io spero, una lunga fase di catarsi del Pd, comincia l’attraversamento del deserto. Non sarà scontato, ma è l‘unica via possibile. Che ognuno faccia la sua parte, magari sbaraccando nella propria realtà dure e vecchi incrostazioni”.

Da politico, da intellettuale, da persona che ha a cuore le sorti del Sannio: su quali asset dovrebbe puntare il Beneventano per darsi un piano di crescita e sviluppo concreto e sostenibile?

“Definire gli asset su cui il Sannio dovrebbe puntare può essere addirittura un esercizio facile. Ma a che serve se poi non ci punti davvero? Abbiamo davanti a noi casi esemplari di asset definiti e non perseguiti. La Diga di Campolattaro e la sua storia gridano vendetta. Non riusciamo a farla diventare risorsa utile. E’ energia, è acqua da bere, è acqua per irrigare, è ambiente, è natura e sport, è attrazione di agroturismo, è centro di un parco delle acque, è, è, è … sempre come era! Si potrebbe continuare così per la famosa “piattaforma logistica” e per le famose ricadute dell’alta capacità/alta velocità e per tante cose ancora. Insisto, c’è qualcuno che può parlare dell’esistenza di un “Progetto Sannio”? Chi fa Piani di Coordinamento Territoriale Sanniti? In che modo il Sannio interloquisce per il suo sviluppo con Regione, Governo, Unione Europea?”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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