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Asl, la lettera: ‘Il servizio 118 a rischio, la lezione di Orwell e la memoria corta di Picker’

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“A proposito del bando di gara per l’affidamento del servizio 118 emesso a marzo dall’ASL, da tempo ne abbiamo segnalato l’evidente inadeguatezza sia rispetto alla qualità del servizio che alle legittime aspettative dei lavoratori.

Il prezzo a base d’asta (circa undici milioni e trecento mila euro per tre anni) – scrivono i lavoratori del 118 in una lunga nota inviata alla spampa – risulta decisamente inferiore rispetto a quello indicato nel precedente bando del 2013 (circa dodici milioni e mezzo di euro sempre per tre anni) ed, altresì, inferiore al prezzo di aggiudicazione della gara del 2013 (poco meno di dodici milioni di euro, sempre per tre anni). Inoltre, a differenza che per il precedente bando, quello attuale pone a carico della ditta aggiudicataria una lunga serie di spese che prima invece risultavano a carico dell’Asl. E così, a carico dell’aggiudicataria sono posti oneri per ambulanze, gasolio, manutenzione dei mezzi, lavaggio ambulanza, assicurazione rca, presidi medici e materiale sanitario tranne farmaci, smaltimento rifiuti speciali, ossigeno, assicurazione anche del medico. Sono previsti, inoltre, a carico della ditta, oneri retributivi ed in particolare ferie, tredicesima mensilità, malattia e permessi vari. Costi, spese ed oneri che ad oggi sono, invece, a carico dell’asl. In concreto, pertanto, l’aggiudicatario si troverà con circa un milione in meno e con spese generali nettamente aumentate.

La recente sentenza resa, sul tema, dal Tar Campania (pubblicata lo scorso 3 settembre) stigmatizzava proprio siffatta inadeguatezza allorquando annotava testualmente : “Correlativamente il bando impedisce, nella sostanza, qualsiasi ragionevole possibilità di partecipazione, risultando economicamente insostenibile, con conseguente pregiudizio per una efficiente erogazione del servizio pubblico affidato, presentare offerte che siano assolutamente al di sotto del valore medio delle spese realmente sostenute.”. Il medesimo TAR, in effetti, ha accertato che “… il prezzo posto a base di gara, avuto precipuo riguardo all’istituzione delle postazioni e alle prestazioni e dotazioni richieste, non consente di garantire una corretta erogazione del servizio, discostandosi, peraltro, eccessivamente dal CCNL di riferimento tanto da non venire salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori – come stabilito in sede di contrattazione collettiva e previsto dall’artt. 30 e 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016, aspetto quest’ultimo rilevante se non prevalente in ogni appalto di servizi, come quello all’odierno esame.”

Alla stregua delle motivazioni in questione appare, dunque, quanto mai realistico il rischio a suo tempo da noi paventato secondo cui l’eventuale aggiudicataria di quell’originario bando potesse poi trovarsi nella condizione di tentare di recuperare margini di profitto incidendo, con tagli, sui livelli occupazionali e retributivi come, del resto, sulla stessa qualità del servizio.

Recentemente però – lo apprendevamo con mestizia – il direttore generale Franklin Picker, su proposta del direttore della U.O.C. affari legali, ha emesso deliberazione n. 617 dell’1.10.2018 con cui ha deciso di impugnare innanzi al Consiglio di Stato la predetta sentenza del Tar.

A scorrere il testo di questa deliberazione, però, – prosegue la nota – non v’è traccia delle ragioni che la giustificano, al di là d’un generico richiamo ad una relazione “sui motivi legittimanti la proposizione di gravame” proveniente dallo stesso difensore incaricato dall’asl di resistere nel procedimento innanzi al TAR, difensore al quale viene conferito anche l’incarico di proporre l’appello giusta corresponsione di compensi secondo le “tabelle di cui al DM 55/2014 con l’applicazione di una riduzione del 20%, nonché di un ulteriore 10% ex D.L. 78/15 convertito in Legge 215/15 – spending review – per un totale decurtato pari al 30%, e corrisposti ad esito definitivo del procedimento ed a presentazione di regolare parcella professionale“.

Dunque l’Asl, nel decidere di impugnare la predetta decisione del TAR, non ne indica le ragioni. Se queste ultime fossero quelle stesse che il d.g. accennava nel corso dell’incontro sindacale di cui al verbale del 17 settembre u.s. tenutosi in via Oderisio per “informativa sugli esiti della procedura di gara per l’affidamento del Servizio 118”, avremmo ben donde di dirci profondamente delusi e mortificati. In quella sede, infatti, egli si limitava ad affermare, con piglio oggettivamente autoreferenziale, d’esser convinto, testualmente, “di aver presentato un capitolato corretto, equilibrato e che riconosceva i diritti per i dipendenti e doveri da parte nostra.”

Peraltro, queste assai generiche affermazioni del d.g. appaiono superate da quanto l’asl ha affermato nel corso del giudizio definitosi, da ultimo, con la richiamata sentenza del TAR. In quella sede, infatti, l’asl – annota la ripetuta sentenza del TAR – ha “fatto riferimento, quanto al costo del personale, ai valori tabellari superati ascrivibili a Contrattazioni relative al periodo 2002-2005, al più integrato nel 2010” ed ha sostenuto, quanto alla tipologia di CCNL applicabile, che dovesse “aversi riguardo non a quella delle Misericordie ma (a) quella, meno onerosa, delle A.I.O.P., applicabile alle Aziende sanitarie.”.

A questo punto ci sentiamo di consigliare al signor Picker di rileggere George Orwell il quale usava dire “Chi controlla il passato controlla il futuro”. E proprio nel recente passato alligna la memoria della sentenza del TAR Campania del 22.12.2010 n. 27986 (puntualmente confermata dalla terza sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 6.5.2011 dep. il 30.5.2011) che annullava la procedura negoziata e dichiarava l’inefficacia del contratto stipulato concernente l’affidamento triennale del servizio di trasporto infermi in emergenza 118 per n. 11 postazioni s.t.i. Quell’annullamento veniva disposto per esser fondata la censura di violazione dell’art. 89 del d.lgs. n. 163 del 2006 per insufficienza dell’importo a base d’asta (indicato dall’asl in 9.975.000,00) già rispetto al costo complessivo del lavoro necessario per l’espletamento del servizio. Nell’ambito di quel giudizio è rimasto accertato come considerati il numero e la qualifica delle unità lavorative da destinare al servizio, nonché i dati risultanti dalla contrattazione collettiva, il solo costo del lavoro relativo al triennio fosse pari a € 12.433.330,80, quindi di gran lunga superiore all’indicato importo posto a base d’asta. Inoltre, l’Asl veniva condannata al risarcimento dei danni per lucro cessante in misura pari al 10% dell’importo a base d’asta.

Venendo al presente – spiegano i lavoratori – non può farsi a meno di osservare che l’importo a base d’asta fissato in circa 11.milioni e trecentomila euro – rispetto a quello appena citato risalente al 2009 e pari a 9.975.000,00 – include a carico dell’aggiudicatario ben due postazioni infermieristiche in più, tredici ambulanze e tutto quanto in precedenza invece era posto a carico della stessa Asl. Appare, dunque, piuttosto palese – anche alla luce del dato storico comparativo or ora richiamato e non smentibile – la macroscopica dimensione dell’inadeguatezza della base d’asta oggetto dell’attuale giudizio amministrativo.

Ad onor del vero, con senso di responsabilità, l’asl – in occasione della gara tenutasi poi nel 2013 dopo i richiamati severi arresti della giustizia amministrativa – indicò la base d’asta in misura (circa tredici milioni e mezzo) che teneva conto proprio di quanto statuito dalla surrichiamata sentenza TAR del 2010.

Ad oggi, invece, il d.g. Picker con l’avallo del direttore degli affari legali, incomprensibilmente convinto di aver presentato “un capitolato corretto”, persiste nel contenzioso giudiziario invece di ravvedersi operosamente e rifare la gara alla luce degli insegnamenti del recente passato. Non lo acquieti, però, la falsa idea che tanto far causa costa poco. A parte il gravissimo rischio di esporre l’asl a richieste di risarcimento danni, i compensi che saranno dovuti per la difesa dell’asl, sebbene decurtati del 30%, saranno però determinati come da tabelle professionali. Per chi non lo sapesse, codeste tabelle prevedono, per onorari dovuti al difensore, importi determinati in base al valore della controversia e differenziati secondo valori minimi, medi e massimi. Ebbene, nella fattispecie, sviluppando la tabella per causa dinanzi al Consiglio di Stato, – conclude la nota – ai valori minimi l’importo per onorari ammonterebbe, al netto degli oneri fiscali, ad oltre trentamila euro ed ai valori massimi a circa 140 mila euro”.

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