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CULTURA

ALBA: alla Biblioteca Provinciale l’incontro con il sociologo Marco Revelli

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L’Officina di Studi Politici di ALBA (Alleanza Lavoro Ben/Comuni Ambiente) ha ospitato, alla Biblioteca Provinciale, Marco Revelli, uno dei più autorevoli sociologi italiani, autore di libri come Oltre il Novecento, divenuti dei “classici”, e promotore del “soggetto politico nuovo” che da circa un anno opera anche nel Sannio.

L’incontro si è articolato in due momenti distinti. Dopo una breve introduzione di Rito Martignetti, coordinatore pro tempore del nodo sannita di ALBA, Revelli ha tenuto una breve ma intensa lectio dedicata a Piero Gobetti, ricostruendone la prodigiosa, breve esistenza, che lo fece promotore di esperienze politiche e culturali seminali rispetto al futuro.

Nella sua spietata analisi del fascismo come “autobiografia della nazione”, il giovane intellettuale torinese (che sarebbe morto a Parigi proprio a seguito delle percosse subite dagli squadristi) vedeva come unico possibile antidoto la risaldatura fra etica e politica. Se il fascismo era il riemergere virulento di antichi mali di una nazione, l’Italia, che non aveva conosciuto né riforma religiosa né rivoluzione (stante l’incompiutezza del Risorgimento), mali come il trasformismo e la pratica della politica come ascesa sociale, ebbene solo la coerenza, anche di piccole minoranze virtuose, avrebbe potuto salvare l’“anima” degli italiani. La riflessione di Revelli spesso lasciava trasparire la perenne attualità delle analisi gobettiane. Come non vedere in quanto accaduto in questi mesi il riemergere di antichi vizi italici, con la paura per il conflitto fra idee antagoniste e l’aspirazione ad una “conciliazione” degli opposti che annacqua le differenze?

Nella seconda parte della mattinata, sollecitato dalle domande di Nicola Sguera, portavoce pro tempore di ALBA, che ha riconosciuto in Revelli uno dei suoi “maestri eretici”, il sociologo piemontese ha sintetizzato il contenuto del suo ultimo lavoro, Finale di partito (Einaudi).

Dopo la “fotografia” di un presente che vede la rottura dei “vasi” politici che hanno sorretto l’ultimo ventennio di storia repubblicana, con un esodo biblico di voti che configura un nuovo scenario, Revelli ha ipotizzato due possibili cause: da una parte il rifiuto delle “oligarchie” castali divenute sempre più insopportabili, anche per la loro incompetenza, dall’altra, soprattutto, il mutamento dell’assetto produttivo planetario, il passaggio dal modello fordista a quello post-fordista, l’avvento di un mondo “liquido”, che non poteva non contagiare la sfera politica, sempre meno autonoma da quella economica.

I partiti novecenteschi, dunque, sono entrati, ovunque, non solo in Italia, in una crisi dissolutiva. Ma la crisi dei partiti è tout court crisi della democrazia? Su questo punto di domanda Revelli ha chiuso il suo intervento, non dando ricette preconfezionate, ma ricordando come l’orizzonte della democrazia, storicamente, non sia coinciso per molti decenni con quello dell’organizzazione partitica.

È, dunque, ipotizzabile un’uscita da questa crisi della rappresentanza che sia capace di rinnovarne gli strumenti, a favore di un maggiore protagonismo dei “corpi intermedi”, della “società civile” capace di organizzare le proprie rivendicazione e interloquire con il ceto politico, partendo da una diffusione molto più capillare delle conoscenze.

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