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POLITICA

Antonio Medici, un gourman per Benevento: “Cibo e vino un fattore di crescita ma occorre identità. Politica? Mai più”

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Come pseudonimo si è scelto “Gour_man”. Gioco di parole che tiene assieme le iniziali del suo nome e gourmand, termine che per i francesi sta a significare ghiotto, goloso. Ma non è solo con il piacere che si spiega il suo amore per il cibo. Perché il cibo, qui, è più un mezzo che un fine.  “Diciamo un media per viaggiare, per conoscere una cultura, la storia di un territorio ma anche delle persone. E’ questo che cattura la mia curiosità. E con il vino accade anche di più”. E per chi volesse passare dalla teoria alla pratica l’appuntamento è per i suoi mercoledì, non di coppa ma di calici, quelli che ad ‘Alimenta’ Antonio Medici utilizza per i suoi due duelli. “Una sfida tra territori, con l’obiettivo di dare qualche nozione su degustazione e conoscenza del vino. Ma sempre senza prenderci troppo serio. Un gioco, una bella esperienza segnata da due aspetti che mi danno particolare soddisfazione. Il primo riguarda la partecipazione di persone astemie, attratte – per tornare a quello che dicevamo prima – dalle storie connesse alle produzioni ‘in battaglia’. L’altro è che stiamo dando spazio a vini particolari, estranei alle carte proposte a Benevento”. E pensare che c’è stato un tempo in cui il nostro protagonista della domenica il cibo era arrivato a odiarlo: “Ho odiato il cibo quando il tumore e la chimica mi divoravano. Mi ero convinto che non avrei mai più avuto fame” – scriveva nella presentazione del suo sito, tra i primi esperimenti – nel Sannio – di giornalismo enogastronomico.  Scampato il pericolo, Antonio le sue passioni se le è assaporate tutte. A partire da quella per la sua professione di commercialista per arrivare alla scrittura, alla politica, alle battaglie per l’accessibilità. Sempre con il Sannio sullo sfondo.

A proposito, anche il territorio del Beneventano si può raccontare così: attraverso il cibo e il vino

“Assolutamente, vale anche per noi. La produzione enogastronomica sannita rappresenta un presupposto di sviluppo ma già oggi è una fetta consistente della nostra economia. Pensiamo soprattutto al vino: è ormai un fattore. E questo grazie ai tanti operatori che negli ultimi anni si sono adoperati per far conoscere maggiormente e meglio le nostre produzioni. Potrei citarti le associazioni agricole, il consorzio di Tutela Vini, Slow Food, le cooperative come ‘La Guardiense’. Si può fare di più? Certo, pure perché alcune realtà – mi riferisco all’Irpinia – sono ancora distanti. Ma il gap è diminuito. E non solo perché siamo cresciuti commercialmente e come comunicazione: è la qualità delle produzioni sannite che è aumentata. Manca ancora uno step, però”.

Cioè?

“E’ una questione di identità. Mi arrabbio tantissimo quando entro in un bar e per l’aperitivo mi servono il Prosecco. Nulla contro i veneti, per carità: sono stati bravissimi a creare uno spumante ora più famoso dello champagne. Ma anche la nostra falanghina è un ottimo spumante. Per capirci: se vai in Piemonte non esiste – a meno che sia tu a chiederlo – che ti servano qualcosa che non sia una loro produzione. Così deve essere anche per noi. Per questo parlo di identità”.

Ricordavo prima che sei stato tra i primi, a Benevento, a credere nel giornalismo enogastronomico

“Idea non mia. Fu un amico, Alessandro Paolo Lombardo, a invitarmi a scrivere di enogastronomia per B-Magazine. Il riscontro fu molto positivo, decisamente oltre le attese e dopo un po’ iniziai a tenere delle rubriche con ‘Il Roma’ e ‘Il Sannio’. Fino a creare, assieme ad altri amici, Sonar. Ora c’è Gourman, il mio sito, ma la produzione si è fatta più saltuaria: colpa della mia pigrizia. Diciamo che ho bisogno di un direttore e di scadenze da rispettare per essere continuo”.

Quanto è complicato in una piccola realtà scrivere di cibo, vino, ristoranti

“Questo è un settore particolare, dove parte di quello che si scrive è scritto non pensando al lettore ma al produttore, al cuoco, al ristoratore. E anche tenere i rapporti si è fatto più difficile: chiami per avvisare della tua presenza e subito scatta il “chi va là”. O peggio ancora ti scambiano per un influencer che vuole scroccare la cena. Ma sono rischi del mestiere. Aggiungo pure una considerazione: quello che vale per il vino vale anche per la ristorazione. In termini di qualità l’offerta è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. Prendiamo le pizzerie: prima a Benevento non era semplice mangiare una pizza davvero buona, oggi hai diverse possibilità di scelta”-

C’è un altro tema che ti sta particolarmente a cuore: l’accessibilità e l’abbattimento delle barriere architettoniche. Anche qui sono stati fatti passi in avanti? Consentimi un minimo di scetticismo: proprio di recente una persona costretta su una sedia a rotelle mi raccontava dell’impossibilità di accedere al Tribunale

“Quella del Tribunale Civile è una situazione assurda. Il parcheggio è situato il più lontano possibile dall’ingresso e poi gli ascensori non sono soltanto inaccessibili per le sedie a rotelle ma anche per chi, come me, porta le stampelle. E questo perché manca il sistema di prenotazione. Tutto ciò nel 2024 e nella ‘casa della giustizia’. E  per restare in tema, segnalo pure che la nuova piazza dinanzi all’Arco di Traiano è per noi inaccessibile per tutta una serie di problematiche che ho già portato all’attenzione dei tecnici che l’hanno eseguita. Eppure parliamo di un intervento realizzato con fondi pubblici”.

Insomma: il mio scetticismo non è così ingiustificato

“Qualcosa è stato realizzato, penso all’ascensore di palazzo Mosti. Sembra incredibile ma fino soltanto a due anni fa la Casa del Comune era inaccessibile a tanti disabili. Neanche al Consiglio si poteva assistere. Ma ci sono anche situazioni che si trascinano da decenni, se vuoi ti racconto”

Prego

 “Alla riapertura del Teatro Romano, sindaco era Pietrantonio, con l’associazione che presiedevo organizzammo una manifestazione di protesta perché per noi il Teatro era inaccessibile. Segnalo pure che eravamo stati invitati alla inaugurazione. Bene: quanti anni sono trascorsi? La situazione non è cambiata. Eppure rendere fruibile quel luogo – proprio per la sua conformazione – è tutt’altro che complicato”.

Considerato che tra le tue passioni bisogna includere anche i viaggi: è un problema ‘solo’ nostro?

 “Ero con mia figlia a Berlino, in fila per entrare al Palazzo del Reichstag. Appena notate le stampelle gli operatori ci tirarono fuori dalla fila per indicarci il percorso realizzato per l’ingresso delle persone con disabilità. Insomma: viaggiando ho constatato che altrove è proprio diverso l’approccio alla questione. Anche in Inghilterra, Paese che potrei criticare per mille ragioni, c’è una predisposizione – quasi un’attesa – per favorire un diversamente abile. Qui no, inutile raccontarci altro. Quando affronto la tematica con i tecnici – penso a un ingegnere, un architetto – mi rendo conto che il loro è un approccio burocratico: si deve realizzare il bagno per disabili di un locale pubblico? Il pensiero non va a chi dovrà utilizzarlo ma al proprietario, per risolvergli un problema. Non abbiamo mai fatto nostra l’idea che eliminare le barriere architettoniche è fare civiltà, comunità e non un fastidio, un adempimento da sbrigare. E poi scontiamo il pregiudizio del falso invalido. Hai le stampelle? Magari è perché non vuoi lavorare e fregare lo Stato”.

Passiamo alla politica, tra le diverse esperienze quella più significativa l’hai vissuta a palazzo Mosti da assessore nella giunta Pepe. Esperienza non finita benissimo: che ricordi conservi?

“Tutte le mie esperienze politiche non sono finite benissimo: evidentemente è un campo che non fa per me, giusto prenderne atto. Ma fare l’assessore è stato bellissimo e dunque ancora ringrazio Fausto Pepe – nonostante i tanti dissensi – per quell’opportunità, così come resto grato a Pasquale Viespoli che all’epoca mi nominò nell’azienda di trasporto pubblico. La politica è accompagnata sempre da tanti pregiudizi – sono nullafacenti, ladri, sono tutti uguali ecc – ma amministrare una Città è una missione. Una missione impegnativa e complicata. Ma è stato bello, esaltante, impegnarsi per la propria comunità e quindi – nonostante il periodo di tempo limitato – il ricordo è piacevole”.

Dunque non escludi il ritorno?

“No, con la politica basta. Il punto è che le relazioni umane, per me, vengono sempre prima di tutto. E la politica richiede una certa dose di cinismo che io non ho. E non lo dico per evidenziare una negatività ma come mera constatazione. E poi oltre ai ricordi positivi conservo anche l’amarezza – tanta – per qualche dolore. E quindi: mai più”.

Puoi continuare come ‘influencer’: nella campagna elettorale per le amministrative del 2016 fece discutere quel tuo “il vero grillino vota Mastella’

“Ma era la verità. Anzi: lo è ancora oggi .Il vero grillino in questa Città è Mastella. Già il fatto che non sia un Beneventano è un handicap non di poco conto, per tanti fattori. E dunque, al di là del giudizio politico, per me Mastella esprime un concetto di democrazia nel contesto sociale della Città. Dal 2016 di anni ne sono trascorsi ma sul punto non retrocedo”.

Solitamente chiudiamo con una riflessione sul futuro e spesso non sono parole di ottimismo: tu come la vedi?

“Il piangersi addosso non mi piace. Poi ti faccio una premessa: ho una figlia che studia fuori e quindi, al termine delle festività, sono tra i tanti padri che al binario della stazione salutano i propri figli che vanno via. Una cosa che mi amareggia e rattrista. E non solo per la vicenda personale ma perché quei ragazzi che partono rappresentano un capitale umano che si disperde. E per un territorio non può essere un segnale positivo. Però qualche segnale c’è: penso ai collegamenti ferroviari che in questi anni sono cresciuti, e che rendono Benevento più facilmente raggiungibile anche dai turisti. E penso anche a diversi finanziamenti del Pnrr che si stanno rivelando di aiuto per rendere la Città più attrattiva. Certo, procediamo lentamente. Magari un prossimo sindaco giovane e dinamico darà un impulso importante per una accelerazione. E allora, per sintetizzare: è vero che le cose da fare sono tante ma viviamola come una opportunità e non come un problema”.

 

 

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