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CULTURA

La lezione della Segre, la solitudine di Ilaria Cucchi, la notte di Bosso al teatro Romano: Melania Petriello e le mille storie da raccontare

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Da bambina le storie le ascoltava, le immaginava. Poi ha cominciato a scriverle e non si è fermata più. Come se la penna fosse un prosieguo naturale delle sue dita. E anche se questa è una realtà brutta da raccontare, se glielo chiedi probabilmente ti risponderà come fece il principe Miškin con il giovane Ippolit: “Sì, la bellezza salverà il mondo”. E chissà, magari lo avrebbe scritto anche sulle pareti di palazzo Mosti. Perché Melania Petriello ha ‘rischiato’ di essere pure questo: assessore alla Cultura della Città di Benevento. Un altro sottopancia. E noi oggi saremmo ancora più in difficoltà a trovarle un’etichetta. Giornalista, scrittrice, saggista, autrice tv, operatrice culturale, comunicatrice: c’è una definizione che ti descrive meglio o lasciamo perdere? “In genere diffido dai sottopancia lunghi. Già sento forte la responsabilità di definirmi giornalista perché mi sembra di avere una tradizione troppo importante da rispettare. Poi sì, sicuramente sono una autrice televisiva,  considerato che è il lavoro che svolgo nel quotidiano”.

Da poco il ritorno a Mediaset, con Myrta Merlino

“Ero già stata a Mediaset nel 2018, con Gerardo Greco: facevo sia l’inviata che l’autrice. Poi la Rai, quindi Discovery dove mi sono occupata dei programmi de ‘Il Fatto’ e ancora tre stagioni a La7 dove ho ricominciato con l’informazione quotidiana. Adesso il ritorno a Mediaset. Un’avventura nuova ma generalmente quando c’è una sfida capace di stimolare anche altre declinazioni del mio modo di scrivere e fare televisione accetto con grande piacere e passione”.

Quando hai compreso che sarebbe stato questo il tuo percorso?

“Ascolto molte femministe che dicono sia difficile avere a venti anni un’idea chiara di chi si vuole essere o del modello di donna al quale guardare. Per me è stato il contrario. A 15-16 anni ero già certissima di voler fare questo percorso. Per cui ho iniziato convinta e consapevole dell’importanza della gavetta. Ho fatto tutte le tappe fondamentali di questo mestiere. Mestiere che ho imparato frequentando e vivendo le redazioni, all’inizio alternando la televisione alla carta stampata. Giunta poi a Roma per studiare, ho deciso di esplorare tutti gli ambiti di questa professione. Ma ricordo che già da bambina guardavo le persone e mi chiedevo dove stessero andando, cosa facessero. Avevo una mente interrogativa rispetto a ciò che mi circondava e ascoltavo con attenzione mirabolante i racconti delle persone anziane”.

Tra gli ambiti esplorati anche la comunicazione politica, a partire dall’esperienza al Parlamento Europeo

“In quegli anni c’era una percezione dell’Europa molto diversa. Ricordo ancora la mia prima volta al Parlamento Europeo: un ambiente febbrile, popolato da tanti giovani provenienti da ogni parte del continente. Noi tutti vivevamo una grande atmosfera di trasporto verso una meta globale, volevamo comunicare l’Europa”.

Dell’entusiasmo di quegli anni sembra non esserci più traccia, in Europa

“Vero, abbiamo attraversato una fase storica di grande disillusione verso le istituzioni europee. Una sconfitta per una generazione che si era abituata a sognare in grande, a pensare che fossero ormai abbattuti i confini fisici e culturali, a guardare all’Europa come a una grande entità sovranazionale capace di garantire un mondo di equilibri e di equità.  Forse anche la disillusione, però, è superata. Direi che è iniziata una nuova fase che magari soltanto tra qualche anno saremo in grado di capire e definire”.

Seguire il tuo percorso professionale non è cosa semplice. Dalla comunicazione politica alla Tv e nel mezzo tante altre esperienze, come la conduzione del Premio Strega e le serate musicali con artisti straordinari del calibro di Ezio Bosso ed Ennio Morricone.

“Fa parte del mio modo di stare al mondo. Una conduttrice televisiva, qualche anno fa, mi definì “mai tiepida”. Penso avesse ragione nel senso che non conosco il grado zero delle cose che faccio. Non credo si possa essere cittadino o giornalista o donna senza scegliere un ambito di intervento che ti porti sempre un gradino più in alto. Gli impegni culturali che ho avuto e che ho, come nella letteratura – penso al Premio Strega tutto l’anno che porto avanti con Isabella Pedicini, con Strega Alberti e con la Fondazione Bellonci – o come nella lirica, con l’ambizione di renderla anche attraverso le parole sempre più fruibile per un pubblico più ampio, sono una forma di restituzione. Ho avuto tanto dal lavoro che faccio e dalla vita che vivo e allora trovo necessario mettere me stessa a disposizione di qualcosa che abbia una dimensione collettiva, comunitaria e di costruzione della bellezza. Quanto alle esperienze che ho fatto con la musica classica e lirica, mi hanno regalato momenti di emozione straordinaria. La serata con Ezio Bosso al Teatro Romano – prima con le prove e poi con quel concerto magnifico – è stata una delle notti più belle della mia vita. Quella stagione, inoltre, a Benevento ha accompagnato la nascita e la crescita dell’Orchestra Filarmonica,“una piccola impresa meridionale”, come la definì l’Ansa”.

Tante storie importanti raccontate, quelle che più ti hanno fatto emozionare?

“Una premessa: come autrice penso di aver firmato più di mille puntate che significa migliaia di storie incontrate. Ho sempre cercato di pormi a quella distanza tale da consentirmi di mantenere lucidità, sospensione del giudizio e zelo. Però non sono mai aliena a quello che racconto, non ho mai ceduto all’idea che questo mestiere si possa fare soltanto con cinismo. Anche oggi che sono diventata più scaltra nell’ottenere dal mio interlocutore ciò che mi interessa – una notizia, una piccola confessione o una parola inedita – non arrivo mai a pensare alla persona come a una cosa. Una persona resta tale e merita rispetto e attenzione”.

Detto ciò?

“Detto ciò mi sono emozionata poche volte nella mia professione ma quelle volte non le posso scordare. Penso alla prima intervista a Ilaria Cucchi: negli anni è diventata una mia amica ma forse nessuno ricorda quanto Ilaria fosse sola all’inizio di quella battaglia, quanto la morte di suo fratello fosse bollata come una responsabilità di Stefano Cucchi e non dello Stato. Poi ricordo ancora la prima volta che ho conosciuto e guardato negli occhi i ragazzi de ‘Il tappeto di Iqbal’ a Napoli, una delle più belle storie di legalità di questo Paese. Durante il periodo Covid, inoltre, ho vissuto una grande emozione nell’intervistare un ragazzo della mia età ricoverato in terapia intensiva con il casco Cpap. E ancora: mai dimenticherò la notte del Bataclan o la mattina del primo attacco di Mosca in Ucraina. L’ultimo momento emotivamente forte è stato invece poche settimane fa, con il padre di Kevin Laganà, uno degli operai uccisi nella strage di Brandizzo: certe morti sul lavoro reclamano un tale livello di indignazione che l’indifferenza non è concepibile”.

Per dirla con Gramsci, odi gli indifferenti. Che vuol dire prendere parte: per te fu così anche nel 2016, come possibile assessore alla Cultura del candidato sindaco Raffaele Del Vecchio: cosa ti spinse ad accettare il suo invito e cosa ti porti dietro di quell’esperienza?

“Raffaele Del Vecchio mi chiamò, in maniera del tutto inaspettata, una sera sul tardi, ero appena tornata dalla redazione. “Domani faccio il tuo nome perché se divento sindaco sarai il mio assessore” – mi disse. Io non risposi di sì ma lui aggiunse: “Non mi interessa, io domani il tuo nome lo faccio. Tu pensaci”. Quella notte ci pensai e mi dissi: “Perché no? Perché rispondere negativamente a chi ti chiede un impegno per una cosa che ti sta tanto a cuore?”.  Tra l’altro l’assessorato sarebbe stato alla Cultura, allo Spettacolo e alla Bellezza. Quasi utopistico. Di quei quindici giorni ricordo due cose: un’attenzione pazzesca su questa scelta e l’adesione entusiasta dei miei amici storici. Parteciparono tutti, nessuno escluso: sembrava la presa della Bastiglia. Poi è andata come è andata. Non ho rimpianti e non ho nemici”.

Che assessore sarebbe stato Melania Petriello?

“Un assessore libero. Poche volte mi sono alzata e me ne sono andata, anche nel mio lavoro. Però l’ho fatto e l’ho fatto quando non avevo delle alternative certe: le carriere, per me, si costruiscono sui no. Perché ci sono dei punti etici non negoziabili. E dunque sarei stato un assessore sicuramente capace di alzarsi dal tavolo, se necessario. Ma sarei stato anche un assessore di grande condivisione perché per me non esiste una dimensione solitaria. E l’impegno maggiore sarebbe stato per raccontare all’Italia e al ‘mondo di fuori’ una Città di provincia con un grande orgoglio e una grande tradizione culturale”.

E con scelte politiche diverse da quelle poi assunte dall’amministrazione?

“Non giudico mai il lavoro degli altri. Ma di idee ne avevo tante. Le tengo con me, nell’agenda delle cose da fare. Come faceva il mio grande maestro  Italo Calvino, che conservava nelle cartelle ritagli di giornale, cose scritte a penna, appunti vari. Alcuni sono restati niente, altri sono diventati grandi libri. Pure io ho tante cartelle, magari le utilizzerò in futuro. Certo esiste un grande tema –  vale per Benevento come per le altre città – che riguarda la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Io tutti gli immobili di un Comune, di una Provincia, di una Regione li darei in comodato d’uso a chi vuole fare cultura. Un’altra cosa, se posso”

Prego

Prima hai parlato di indifferenza. Devo dire, allora, che tra le chicche di cui vado orgogliosa c’è sicuramente il podcast con Liliana Segre, scritto con Myrta Merlino che la intervistava. L’unico podcast fatto dalla Segre, uscito per il Corriere della Sera lo scorso settembre, in occasione del suo compleanno. Ecco, gli incontri e le telefonate con lei mi hanno posto davanti in maniera nitida la questione dell’indifferenza. Perché questa è stata la parola – tra le tante che poteva utilizzare – scelta da Liliana Segre per il memoriale al binario 21 della stazione di Milano, da cui partivano i convogli per Auschwitz. In questo modi ci ha insegnato – e con lei tutti i testimoni della Shoah – che l’unica forma di contrasto alla storia che si ripete è non rimanere indifferenti. Una grande lezione, le sue parole spesso mi tornano come monito per leggere le cose che accadono”.  

Chiudiamo con il futuro: prevedi nuovi cambiamenti o ormai la tua dimensione è da considerarsi definita

 “Io mi penso sempre in movimento. Accanto al mio lavoro di giornalista ci sono diverse attività che porto avanti. Quattro anni fa, per citarne una, ho fondato assieme a mia madre – che è una scrittrice – un’associazione che si chiama ‘Le silenziose’ e che si occupa di storie e di lavoro femminile. Ma posso confidarti – e davvero non l’ho ancora detto a nessuno – che ho iniziato a lavorare a un progetto che avevo in mente di fare da tanto tempo: ho accettato l’invito di una regista e produttrice a scrivere quello che un giorno potrebbe diventare un documentario su alcuni temi che mi stanno a cuore, dunque sociali e politici. Mi sono data un traguardo lontano. Diciamo che ho aggiunto una maratona alle tante corse di cento metri che affronto ogni giorno con la Tv”.

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