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CRONACA

Le prime operazioni anticamorra, le case occupate, la notte dell’alluvione: Moschella ricorda i suoi 40 anni in divisa

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Più di quarant’anni in divisa. La scuola di Polizia ad Alessandria, la Celere a Roma, quindi i commissariati di Giugliano e ancora Poggioreale. E Benevento. Tanta Benevento, prima in Questura, dove ha guidato anche la Squadra Mobile con la qualifica di Vice Questore, poi a palazzo Mosti da ‘super dirigente’.  Ecco Giuseppe Moschella, figlio d’arte ma Poliziotto per caso: “Praticavo la vela come sport e dunque da militare mi destinarono alla Marina. Ma andare per mari non si conciliava con la mia esigenza prioritaria che era studiare. Quindi scelsi la polizia anche se la leva durava un anno in più. Scelta rivelatasi giusta perché riuscii a laurearmi in Economia e Commercio. La mia prima laurea, la seconda poi in Giurisprudenza. In Polizia, però, scoprii la passione per l’investigazione”.

E sono trascorsi 41 anni?

“Non trascorsi, volati. Un lavoro appassionante, sono stato fortunato”.

Quanti di questi anni li ha trascorsi a Benevento?

“Quasi la metà. Anche perché a Benevento ci tornavo spesso ma ogni volta che avanzavo di carriera mi rimandavano via. Fino a quando sono rientrato in maniera definitiva, al Comune”.

I suoi ricordi degli anni in Questura?

“Della passione per l’investigazione abbiamo detto prima. Ma ne avevo un’altra: quella per il sindacato. Ho combattuto per dare maggiore dignità al lavoro del poliziotto.  I risultati di quelle lotte sono tornati utili a noi, come Polizia, ma anche ai Carabinieri e ai Finanzieri. Prima eravamo considerati militari e basta, non anche lavoratori. Il nostro impegno, poi, coinvolgeva anche la Città”.

In che modo?

“Penso alla Befana del Siulp. Era indirizzata ai figli dei poliziotti ma allargammo l’iniziativa a tutta la cittadinanza. Quanta gente al teatro Massimo il 6 gennaio: 7-800 persone, più della metà dei bambini erano figli di civili. Per venticinque anni l’abbiamo portata avanti questa iniziativa. La Provincia la inserì anche nel novero delle manifestazioni che caratterizzavano la Città. Ma era un’altra Provincia, con Nardone presidente. Un ente che funzionava e contava qualcosa”.

Un’operazione di cui va particolarmente orgoglioso?

“Le rispondo più da beneventano che da investigatore. A Benevento abbiamo portato a termine tra le prime e più importanti operazioni anti-camorra, arrestando venti persone a Montesarchio e poi trenta nel Capoluogo. Parliamo degli anni Novanta e azioni così ampie se ne facevano ancora poche. Persino in Sicilia”.

Benevento isola felice sì o no?

“Anche perché aiutati dalle dimensioni della provincia, come forze dell’ordine siamo riusciti ad arginare i tentativi di invasione che pure c’erano. Molte delle operazioni da noi condotte, per intenderci, erano collegate a personaggi del napoletano e del casertano. Ad Avellino ci sono riusciti un po’ di meno. Noi, invece, questa diversità la conserviamo ancora. Per dirne una: molti colleghi della Polizia che sono stati in servizio qui, anche dirigenti importanti, hanno scelto Benevento e il Sannio come luogo in cui vivere. Qualcosa pure significherà”.

Benevento l’ha vissuta a lungo, da cittadino prima e da rappresentante della sicurezza dopo: quanto è cambiata negli anni la Città dal punto di vista della sicurezza?

“Benevento è cambiata con la droga. Le racconto una cosa: io la droga l’ho conosciuta in Polizia, studiandola. Negli anni precedenti, vivendo sempre a Benevento fino al diploma, non mi era mai capitato di vederla. Se ne sentiva parlare, questo sì. Ma di vederla mai. Ed ero un ragazzo di strada,  un ragazzo del rione Libertà che andava ovunque, frequentava locali  e discoteche ma droga mai vista. Questo fino al 1975. Poi qualcosa è cambiato e anche la Città un po’ è cambiata. Ma ribadisco: Benevento non è mai stata feudo della criminalità. E lo dico per averle vissute altre realtà, come Poggioreale dove sono stato dirigente del Commissariato di Polizia: le inferriate anche nel vano delle scale dei palazzi, lì la percepivi la presenza della criminalità. E anche le difficoltà dello Stato”.

Dopo la Polizia l’esperienza a palazzo Mosti: cosa è cambiato?

“Il cambiamento è stato notevole. Sono stato investito della dirigenza di numerosi settori, molti dei quali non avevano nulla a che fare con la mia esperienza. Diciamo che fino a quando si trattava di mobilità e traffico eravamo ancora nel mio campo, poi sono arrivati i servizi al cittadino, il cimitero, il personale, il verde pubblico. La mia giornata iniziava alle 7 del mattino e finiva alle 10 di sera. Andato via dal Comune, dopo un po’ ho dovuto prendere l’abitudine di spegnere il telefono alle venti: continuavano a chiamarmi, anche di notte”.

Tante responsabilità anche perché c’era tanta fiducia in lei

“Assolutamente. E infatti penso di aver dato il massimo sempre”

E anche tante vertenze calde

“Mettiamola così: i 52 alloggi di Capodimonte sono una invenzione nostra. Non c’era la possibilità di costruire nuove case e allora sfruttammo l’opportunità della ristrutturazione. Parliamo del 2013/14. Il problema casa era un problema reale. Ricordo persino l’occupazione della sede anti-camorra da parte di un pregiudicato. Se la prese a male e per due volte venne a sfasciarmi l’ufficio. Non si capacitava del fatto che lo cacciavo fuori. E io a spiegargli che se gli lasciavo occupare la sede anti-camorra finivamo su tutti i giornali”.

Quella per la casa la vertenza più importante di quegli anni?

“Ce ne sono state tante. Anche perché tutti ci urlavano nel manico”.

In che senso?

“Tutti quelli che ambivano a governare la Città fomentavano i manifestanti. Quelli che poi sono riusciti ad arrivare al comando hanno però fatto brutta figura, dimostrandosi non all’altezza di gestire i problemi che avevano cavalcato. E’ accaduto per la casa, per la mensa, per la scuola. Per tornare sugli alloggi: sono stati consegnati adesso, dopo dieci anni. Ma soldi, idee e luoghi li avevamo trovati noi. Quando ero poliziotto ero solito ricordare che un bambino, da solo, può far crollare un castello. Per costruirlo, invece, occorrono i migliori ingegneri. Distruggere e costruire sono due cose diverse”.

Da palazzo Mosti ha vissuto anche la terribile notte dell’alluvione del 2015

“Ricordo sempre che di alluvioni ne abbiamo avuti due, in quegli anni. La prima, nel 2014, coinvolse soltanto il rione Libertà, compreso il comando della Polizia Municipale. Poi quella grande nel 2015. Ricordo che eravamo in strada già alle due di notte, a liberare le caditoie con la Protezione Civile. Poi lo spavento per i fiumi in piena, intorno alle cinque: i famosi sensori di Napoli lungo i corsi d’acqua si rivelarono un bluff. E noi a chiamare Napoli e Napoli che ci rispondeva che non escludeva nulla, che non significava niente. La fortuna fu che eravamo in mezzo alla strada e questo ci consentì di dare l’allarme con le sirene, di effettuare gli sgomberi preventivi, di avvisare le persone direttamente. Alle sei a Pantano, invece, a bloccare le famiglie che volevano uscire di casa: una persona uscì lo stesso e per recuperarla fu necessaria l’imbarcazione dei Vigili del Fuoco. Ma è stato tutto questo lavoro- assieme alla buona sorte – a evitare vittime per Benevento, anche se è giusto ricordare l’incidente dell’operaio Enel che perse la vita in seguito. Una tragedia conseguenza dell’alluvione ma non legata direttamente alla pioggia”.

Perché parla di fortuna?

“Perché nella zona industriale di Ponte Valentino  l’alluvione colpì maggiormente le attività industriali in quel momento vuote. Il primo allarme reale, quella notte, mi arrivò da lì, dagli operai della Russo saliti sul tetto perché l’acqua stava salendo. Arrivati sul posto, trovammo stabilimenti spostati di metri dalla forza delle acque: ci fossero stati lavoratori presenti, sarebbe stata una tragedia”.

Si è fatto il necessario affinché non avvenga più?

“Vuole la mia opinione?”

Certo

“Se costruisci dentro l’alveo di un fiume puoi fare quello che vuoi ma arriverà sempre il momento in cui il fiume riprenderà il suo cammino. Vale per Benevento come per il resto d’Italia. Tante alluvioni sono lì a dimostrarlo: le più grandi tragedie sono accadute in zone situate nell’alveo del fiume, perché l’alveo si misura con la piena e non in situazione di normalità”.

Per tornare all’ordine pubblico: negli ultimi tempi la cronaca di Benevento ci ha raccontato diversi episodi di violenza, anche nel centro storico. Accadeva anche prima?

“No, ai tempi miei non c’era. C’era il disturbo della quiete pubblica, non la violenza. Io almeno episodi particolari non ne ricordo. E neanche risse particolarmente gravi. Sono arrivate dopo. Probabilmente per l’abuso di alcool e non solo di alcool”.

Fosse ancora al suo posto, cosa consiglierebbe?

“Per me non esiste altra soluzione che la delocalizzazione della movida. E lo dissi già quando ero ancora alla Polizia. Altre ipotesi non ne vedo, sempre che non vogliamo prenderci in giro”.

Lei alla politica ci ha mai pensato? Tanti suoi ex colleghi sono passati da una divisa alla casacca di partito

“Tante volte mi è stato proposto, sia quando ero in Polizia che dopo. Ma non ci ho mai pensato. Non è proprio nelle mie corde: non riuscirei mai a convincere una persona che è possibile versare due litri d’acqua in una bottiglia da un litro”.

 

 

 

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