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Opinioni

Ci consenta, Presidente

Non cederemo alla tentazione della semplificazione, alla facile retorica della beatificazione, non saliremo sul pulpito della condanna morale. Solo poche doverose considerazioni, a riparo da tentazioni retoriche, per provare a tirare le somme sull’eredità politica di Silvio Berlusconi, sul futuro di Forza Italia e di questa destra, e su ciò che è stato in questi giorni

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No, cari lettori, con le poche righe che seguiranno non abbiamo la pretesa di liquidare la dipartita di Silvio Berlusconi, del leader che ha dominato la scena politica italiana nel corso degli ultimi tre decenni, con analisi e giudizi definitivi. Non cederemo alla tentazione della semplificazione, alla facile retorica della beatificazione, non saliremo sul pulpito della condanna morale.

Crediamo, però, che due o tre considerazioni siano doverose, a riparo da tentazioni retoriche, per provare a tirare le somme sull’eredità politica di Silvio Berlusconi, su ciò che potrebbe essere il futuro della sua creatura, Forza Italia, e su ciò che è stato in questi giorni.

La prima. Silvio Berlusconi si presentò al Paese, con un discorso passato alla Storia, come l’uomo nuovo di un tempo nuovo, come l’imprenditore sceso in politica per portare a compimento la rivoluzione liberale nel Paese delle corporazioni, del fisco asfissiante, dei conflitti d’interesse, della burocrazia bulimica. Promise la rivoluzione liberale facendosi profeta del nuovo ordine politico, promise di trasformare la destra italiana, che per dirla con Montanelli non conosceva altro linguaggio se non quello del manganello e della nostalgia, in una destra moderna, ancorata ai valori costituzionali, una destra liberale e popolare, europeista e repubblicana. Ha evidentemente fallito.

Nei lunghi anni in cui è stato a capo del governo non è riuscito a portare a compimento nessuna delle riforme promesse, non è riuscito a liberare il Paese dalla prigionia di un fisco iniquo, a bonificarlo dalle incrostazioni corporative, non è riuscito a modernizzare la macchina dello Stato, né a ridurre le ingerenze del pubblico nell’economia. Ha alimentato il conflitto tra capitale e lavoro, ha fatto dell’evasione fiscale una lotta di resistenza, ha messo in discussione la divisione dei poteri, piegando quello legislativo all’esecutivo per muovere guerra a quello giudiziario, ha combattuto in nome di Santa Romana Ecclesia per comprimere e negare diritti civili e sociali, è stato il più fiero ed irriducibile difensore della famiglia tradizionale ma è stato il leader del bunga bunga e delle olgettine, ha asservito le istituzioni ai suoi molteplici conflitti d’interesse.

Ha tradito tutti i precetti della dottrina liberale sino a plasmare, attorno alla propria leadership, la destra più illiberale d’Europa, la destra che oggi governa l’Italia, una destra che combatte contro la sostituzione etnica, che lascia morire la gente in mare, che parla di sovranità alimentare, che teorizza l’autonomia differenziata, una destra che combatte contro il riconoscimento dei diritti, una destra antieuropeista e identitaria che si propone di affermare la propria egemonia culturale nel nome del Sommo Poeta e del Manzoni, una destra ancora prigioniera di se stessa, dei suoi fantasmi, delle sue antiche parole d’ordine.

La seconda. La teoria secondo cui dopo la morte di Berlusconi Forza Italia sarebbe destinata ad essere inglobata da Fratelli d’Italia non regge. Così come non regge la tesi secondo cui la vittoria di Berlusconi sia da ricercare proprio nella leadership di Giorgia Meloni.

È vero, piuttosto, l’esatto contrario: il giorno in cui Giorgia Meloni ha fatto ingresso a Palazzo Chigi Berlusconi ha subito la più insopportabile delle sconfitte. E se è vero che nel corso di questi dodici mesi molti riferimenti di Forza Italia hanno trovato riparo sotto le insegne di Fratelli d’Italia, mentre molti altri sono saliti sul Carroccio, la morte del grande leader rappresenta per il governo e la maggioranza il più grande dei problemi.

L’obiettivo di Forza Italia, così come chiaramente affermato anche dal Ministro Tajani, è quello di proseguire sulla via dell’autonomia nel nome dell’ancoraggio al Ppe, è quello di serrare i ranghi per puntare alle prossime elezioni europee. Ed è del tutto evidente che se l’obiettivo è quello di recuperare spazio e consenso, di rimettere in discussione i rapporti di forza all’interno del fronte di governo, allora non c’è alternativa a rivendicare l’ispirazione identitaria delle origini, non c’è alternativa a prendere le distanze dalla linea dell’esecutivo, a mettere in discussione la fedeltà cieca a Palazzo Chigi. Non c’è alternativa a giocare all’attacco per recuperare a destra nel nome dell’europeismo, dell’ancoraggio ai valori del popolarismo, della fedeltà alla Costituzione repubblicana, puntando a capitalizzare le difficoltà a cui il governo andrà incontro nei prossimi mesi. E sarà tanto più facile in considerazione dei pessimi rapporti che si rilevano, ad ogni latitudine, tra i gruppi dirigenti dei due partiti che molto spesso, come accade nel Sannio, sono in perenne contrapposizione. Berlusconi non è morto sovranista.

La terza. Silvio Berlusconi, lo abbiamo detto in principio, è stato il leader italiano più influente degli ultimi tre decenni. Dunque la sua dipartita ha segnato la fine di una stagione della Repubblica. Ognuno di noi, anche fra quarant’anni, ricorderà precisamente dov’era quando è stato raggiunto dalla notizia della sua morte. I funerali di Stato erano scontati e doverosi, a prescindere dal giudizio di ognuno sull’uomo, sull’imprenditore, sul politico. Ma la decisione del Consiglio dei Ministri di proclamare il lutto nazionale e di sospendere i lavori del Parlamento va forse considerata come la prova più evidente della natura profondamente illiberale ed autoritaria di questa destra.

Il lutto nazionale non fu concesso, come ricordato da molti, nemmeno a Falcone e Borsellino. Ma è stato concesso all’uomo che scelse Mangano come stalliere e Dell’Utri come socio, al leader più divisivo che la Repubblica abbia conosciuto, come dimostrato, d’altronde, dalle penose immagini di Piazza Duomo andate in onda a reti unificate. Una vergogna.

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