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POLITICA

Dalle lezioni con Simeone agli scontri per chiudere il Corso, D’Alessandro si racconta: ‘Benevento? Con noi Città di progetti, non di clientele’

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Nell’estate di venti anni fa la Città dibatteva di un solo argomento: la ripavimentazione e pedonalizzazione del corso Garibaldi. Un progetto partito da lontano – tra attese e timori, speranze e resistenze – ma che sembrava non arrivare mai. “Poi, in una riunione di giunta, decisi che era il momento di sbattere i pugni sul tavolo. E sì: in quell’occasione ho fatto un po’ il fascista. Ma bisognava andare avanti, rompendo ogni indugio” – così Sandro Nicola D’Alessandro, sindaco di quella Benevento. Una vita sempre a destra. Una passione per la politica ereditata da un altro primo cittadino del capoluogo sannita, Giuseppe D’Alessandro, suo padre. “Che dopo l’8 settembre, in prigionia in Africa, non tradì, faticando per questo – al suo ritorno – anche a trovare lavoro. Un esempio assoluto di onestà, di coerenza. E la coerenza la paghi, soprattutto in questa Città. Ma ti consente pure di uscire a testa alta. E infatti alla sua morte piansero anche i comunisti”. E sempre ‘Peppone’ gli trasmise l’altra grande passione di una vita, la medicina. “Che esercito da 41 anni”. Ma se il camice da medico non lo ha ancora smesso, i panni del politico non li indossa più da un pezzo. L’interesse per la res publica, però, non è mai venuto meno: “La politica è nel mio sangue, nei miei cromosomi, nel mio cognome”.

Il debutto, però, è stato in Provincia

“Sì, nel 1985 la mia elezione in Consiglio, per il Movimento Sociale Italiano. Al Comune ci arrivo nel 1993, con la vittoria di Viespoli. Nel 1995 di nuovo alla Provincia ma soltanto per un anno: mi dimisi perché Pasquale mi volle in giunta, a palazzo Mosti. Assessore alle Politiche Sociali, una delega delicatissima che già sarebbe bastata a riempire le mie giornate. E invece ne esercitai anche altre: sanità, randagismo, cimitero e soprattutto le case popolari. Ancora ricordo i rapporti tesi con il vecchio Iacp, guidato dal collega e a quei tempi ‘mastelliano’ Lucio Lonardo. Gli anni da assessore mi diedero una grandissima forza, determinante per sostenere poi l’impegno da sindaco”.

Il suo rapporto con la politica prima dell’ingresso delle istituzioni?

“La mia vita è stata particolare, tanto studio e un matrimonio in tenera età: avevo 18 anni e mezzo. Gli anni della gioventù trascorsi a Napoli, al Primo Policlinico. Sette anni durissimi di università che mi hanno lasciato molto ma non quanto la pratica con mio padre. Che mi ha insegnato come si guarda negli occhi un paziente, come lo si ascolta. Come si fa una visita. A Benevento ci tornavo dunque nel fine settimana, per stare un po’ con la famiglia e se c’era campagna elettorale si andava tutti in piazza Roma. Per la gioia di sfiorare e ascoltare Almirante, o sentire i comizi degli onorevoli Guarra e Covelli. Ma anche di Berlinguer o Aldo Moro. Altri tempi. Dopo la morte di mio padre, nel 1984, la richiesta del partito di impegnarmi direttamente. L’inizio di un altro studio”.

Invece dell’aula universitaria, la sezione Msi

“No, non nella federazione del Movimento Sociale Italiano. I Consigli li preparavo in un altro luogo dove a quei tempi si faceva politica: la redazione di Segnali, periodico fondato e diretto da Generoso Simeone. Avevo 28 anni ma non sapevo leggere ancora il bilancio di un ente. E allora, con umiltà, andavo da Generoso per studiare le carte: cosa approfondire, cosa dire in aula. Ore e ore trascorse insieme, fino a quando ho imparato a camminare da solo”.

I comizi di Almirante, la scuola di Generoso Simeone: eppure nella prima affermazione della destra nel Sannio, negli anni Novanta, fu importante anche il contributo arrivato dalla sinistra

“Nel 1993, Fini si candida a sindaco di Roma contro Rutelli e lo fa con il simbolo Msi. Lo stesso Alessandra Mussolini a Napoli, nella sfida con Bassolino. Viespoli no. Viespoli si presenta con una lista civica, interpretando al meglio la nuova legge elettorale che prevede l’elezione diretta del primo cittadino. Si vota il sindaco, ora. E non il partito. E’ alla persona che si dà fiducia, non allo schieramento. Una intuizione apprezzata anche a sinistra. Che poi, a dirla tutta, anche all’interno del nostro partito io e Pasquale eravamo visti come quelli più di sinistra: i rautiani, la destra sociale… E prima del 1993 a Benevento, comunque, “assieme” alla sinistra avevamo già vinto a Solopaca, a Foglianise. E a Ceppaloni, dove la destra diede il proprio sostegno al comunista Rossi, sconfiggendo la Dc di Mastella”.

Perché la destra che per anni è stata protagonista assoluta sullo scenario politico e istituzionale sannita oggi non lo è più?

“Lo snodo è stato la nascita del Pdl, la scelta – da me non condivisa – di far confluire Alleanza Nazionale nel Popolo della Libertà. Il Pdl durò poco. E dopo il suo scioglimento, qualcuno ebbe il coraggio di avviare un percorso che faceva riferimento a una certa storia e a una certa tradizione. Parlo di Giorgia Meloni, partita dal 2% e oggi a palazzo Chigi. Noi facemmo altro. Ma l’abbiamo pagata. E questo ha consentito ad altri di occupare gli spazi. E oggi possiamo dire che una cosa è Fratelli d’Italia a Roma, altra cosa è Fratelli d’Italia a Benevento”.

In occasione delle ultime amministrative, però, il tentativo di candidarla il centrodestra lo ha fatto

“Ho resistito al diavolo tentatore. A casa mia venivano ma come singoli: prima Forza Italia, poi la Lega, poi Fratelli d’Italia. Una coalizione vera non c’era. E i fatti mi hanno dato ragione. Poi certo, massimo rispetto per Rosetta De Stasio che ha avuto il coraggio di impegnarsi in prima persona. Noi le abbiamo dato una mano al primo turno. Al secondo turno, invece, mi sono espresso in maniera ufficiale per Luigi Diego Perifano. E l’ho fatto parlando alla Città. Perché Sandro D’Alessandro è uomo libero. Che non deve ringraziare nessuno”.

Torniamo alla sua esperienza da sindaco. Le sblocco un ricordo: venti anni fa si discuteva del corso Garibaldi. Del suo restyling, della pedonalizzazione.

“Ricordo tutto come se fosse ora. Ma per onestà intellettuale diciamo subito che il progetto Pagliara non era un “nostro” progetto. Mio o di Viespoli. Proveniva dai tempi di Pietrantonio ma quel centrosinistra pur avendo fondi e progetto mancò del coraggio di andare fino in fondo. E’ stato allora Pasquale, nel suo secondo sindacato, a gettare le basi per un progetto di riqualificazione e valorizzazione del centro storico che non poteva prescindere dalla chiusura del corso Garibaldi ma che riguardava anche piazza Duomo, l’Arco del Sacramento, Santa Sofia, viale degli Atlantici con il rifacimento della Villa. A me, invece, è toccato il compito di dialogare con Bassolino per avere il finanziamento. Tanti viaggi a Napoli fino appunto alla fumata bianca, tra la fine del 2003 e gli inizi del 2004. Ma poi passano le settimane, passano i mesi e mi rendo conto che nella mia squadra di governo non c’è entusiasmo… Così fino a una riunione di giunta, piuttosto accesa, in cui mi comporto – lo ammetto – da fascista, sbattendo i pugni sul tavolo verde”.

Cosa disse ai suoi assessori?

“Che il tempo di tergiversare era finito. Che venivo da una vittoria non affatto facile contro la corazzata Potemkin guidata del dottor Pasquale Grimaldi. Che la Città mi aveva votato sulla base di un programma poi approvato anche dal Consiglio Comunale. In sostanza, dissi che il sindaco D’Alessandro voleva chiudere il corso. E loro capirono che o si iniziavano i lavori o si tornava tutti a casa”.

Su alcune vicende, ancora oggi non mancano gli addebiti all’esperienza sua e del centrodestra: cosa risponde?

“I politicanti possono dire quello che vogliono. Ma nella nostra Città, nella nostra comunità, tutti conoscono Sandro D’Alessandro e tutti conoscono Pasquale Viespoli. E tutto possono dire tranne che siamo stati dei pessimi amministratori. Abbiamo anche commesso degli errori? Non dico di no. Ma abbiamo dimostrato di amare la Città e di saperla amministrare. Senza approfittare di altro. Senza utilizzarla per altro. E per quanto ci riguarda abbiamo aiutato tanto e tante persone, pure quelli che non ci votavano. Perchè è cosi che si governa una Città, con progetti che guardano gli interessi della collettività. Lo sottolineo perché la grande piaga di Benevento, oggi, è la mentalità clientelare. E a chi lancia strali contro il passato rispondo con i fatti. Quelle poche opere pubbliche inaugurate da Mastella sono retaggio dell’esperienza Pepe e ancora di più delle nostre amministrazioni. Qualche esempio? Il ponte Tibaldi e il ponte pedonale sul Sabato erano nostri progetti. E così San Vittorino. La stessa Università avrebbe lasciato Benevento, non fosse stato per la nostra decisione di vendere all’ateneo i nostri gioielli: in via Calandra, in piazza Roma. Cosa ha prodotto, invece, Mastella? Di nuovo? Nulla”.

L’obiezione, però, viene naturale: perché vi alleaste con Mastella?

“Ma io non rinnego nulla. Neanche il 2011. In un sistema maggioritario capita che ti ritrovi in coalizione con persone con le quali non hai mai condiviso un’esperienza. Ma lo fai. E noi lo facemmo perché certi che l’elezione di Carmine Nardone – e io ero convinto della sua vittoria – avrebbe determinato soltanto vantaggi per il territorio. Chi ce lo diceva? L’esperienza vissuta quando lui era Presidente della Provincia e la destra al governo del Comune. Anni di collaborazioni, di intese. Nonostante qualche malumore, anche all’interno del nostro partito. Ma senza quella sinergia oggi il liceo Artistico sarebbe ancora proprietà del privato, i ragazzi dell’Industriale avrebbero meno spazi per studiare, il Musa e le piste ciclabili non esisterebbero. E il Ponte Leproso? E quanti altri esempi potrei portare. Ecco perché rivendico quella scelta. Che ho pagato, che abbiamo pagato. Anche se il rimprovero maggiore, dal popolo della destra beneventana, riguardava l’alleanza con Mastella e non quella con il comunista Nardone”.

La Città, però, non premiò quell’intesa

“Non avemmo il tempo. E questo pure perché i grandi segretari provinciali dei partiti prolungarono l’annuncio della candidatura, presentata soltanto il 19 marzo, con il voto in programma a maggio. Ricordo bene il giorno pure perché portai una guantiera di zeppole all’Una Hotel, sede dell’evento”.

Abbiamo parlato tanto di passato, l’ultima domanda è sul futuro: cosa auspica alla Città per il dopo-Mastella?

“Un cambiamento. Spero che i protagonisti di riferimento della mia area politica la smettano di litigare per portare invece avanti un progetto alternativo al centrosinistra mastelliano. E perché no? Se si creano le condizioni giuste, nel farlo potrebbero anche ragionare oltre lo schema destra-sinistra. Altrimenti consegneremo Benevento a un nuovo padrone. Perché questo è oggi. E dispiace vedere gente che era con noi, e che dunque conosce i problemi e sa cosa vuol dire amministrare, chinare la testa invece di rivendicare con dignità una posizione”.

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