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ECONOMIA

Artigianato, in dieci anni il Sannio perde 850 imprese: pesano fitti, e-commerce e ricambio generazionale

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Negli ultimi dieci anni  il Sannio ha perso il 14,2% dei suoi artigiani: tradotto in numero di attività, significa che dal 2012 al 2021 sono state abbassate definitivamente 854 saracinesche. Numeri negativi, ma in linea con quelli nazionale dove la media è del -15%, e che raccontano di un tessuto economico e sociale che sta cambiando e, probabilmente, non in meglio.

I fattori di questa crisi sono molteplici e si spalmano nell’arco di un decennio con un lento declino che, per ora, nessuno è stato in grado di arrestare. Tra le cause principali, ricorda l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre che ha rielaborato le statistiche, ci sono il boom degli affitti e delle tasse, ma anche un insufficiente ricambio generazionale che ha fiaccato la categoria.

Non è tutto: si è assistito anche ad una contrazione del volume d’affari provocato dalla storica concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico. Per questi motivi, gli artigiani stanno diminuendo in maniera spaventosa: “Il numero dei titolari, dei soci e dei collaboratori artigiani iscritti all’Inps è crollato di quasi 300mila unità a livello nazionale – spiega la Cgia -. E’ un’emorragia continua che sta colpendo, in particolar modo, l’artigianato tradizionale, quello che con la sua presenza, storia e cultura ha contrassegnato, sino a qualche decennio fa, tantissime vie delle nostre città e dei paesi di provincia”.

La questione, però, non attiene solo al dato economico che, comunque, resta preoccupante, ma anche ad un dato sociale rilevante. Queste microattività, infatti, conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. I cosiddetti ‘mestieri tradizionali’, infatti, rischiano di sparire lasciando un vuoto culturale enorme che nessuno sarà in grado più di colmare.

“Insomma – sottolinea la Cgia -, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani”. Una riflessione non solo teorica, ma che nel nostro Sannio – ma anche in tanti altri centri appenninici – si riflette in un problema diffuso visto l’aumento esponenziale della popolazione over 65 associata ad una forte emigrazione giovanile e ad un calo costante delle nascite.

Ancora, le nuove tecnologie hanno spinto fuori mercato tante attività manuali e la cultura dell’usa e getta ha avuto il sopravvento su tutte le altre, penalizzando, in particolar modo, coloro che del riuso e della riparazione di oggetti e attrezzature ne avevano fatto una professione.

In sintesi, segnala l’Ufficio studi della CGIA, i mestieri artigiani tradizionali in declino sono: calzolai; corniciai; fabbri; falegnami; fotografi; impagliatori; restauratori; ricamatrici; riparatori di elettrodomestici; sarti; tappezzieri; tipografi e vetrai.

Ovviamente, ci sono anche settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione importante e rappresentano quelle  aree appartenenti al benessere e all’informatica. “Nel primo, ad esempio – aggiunge lo studio -, si continua a registrare un forte aumento degli acconciatori, degli estetisti, dei massaggiatori e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Purtroppo, l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico, con il risultato che la platea degli artigiani è in costante diminuzione”.  

Venendo ai dati, le province più colpite dalla riduzione del numero degli artigiani sono state Rovigo (-2.187 pari a una variazione del -22,2 per cento), Massa Carrara (-1.840 pari a -23 per cento), Teramo (-2.989 pari a -24,7 per cento), Vercelli (-1.734 pari a -24,9 per cento) e Lucca (-4.945 pari a -25,4 per cento). Delle 103 province monitorate in questo ultimo decennio, solo Napoli ha registrato una variazione positiva (+58 pari al +0,2 per cento).

Tornando al Sannio, il dato racconta di un tessuto sociale ed imprenditoriale sempre più in difficoltà. L’analisi, infatti, mette in luce anche una questione non secondaria: lo scorso mese di gennaio Ntr24 vi ha raccontato dell’istruzione dei giovani e in quella indagine emerse che i Neet, acronimo che indica i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano,  a Benevento sono il 28,8%. Tornando alle cause delle difficoltà del settore dell’artigianato  spiccava anche la mancanza di ricambio generazionale e, dunque, incrociando questi due dati sembrerebbe che sia venuto meno anche ‘l’istituto’ dell’apprendistato ‘in bottega’ che per anni ha mantenuto in piedi il comparto e le tradizioni. Ovviamente, a pesare è anche la riduzione del lavoro che, spesso, disincentiva i ragazzi ad imparare un lavoro con retribuzioni che negli anni sono calate.

Dati preoccupanti, dunque, che meritano una riflessione condivisa da parte delle associazioni di categoria e di tutte le istituzioni per provare a dare risposte concrete al settore: il rischio è uno svuotamento delle aree urbane e la perdita di un patrimonio materiale e immateriale dal valore inestimabile.

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