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ECONOMIA

Credito, rubinetti chiusi per le piccole imprese: nel Sannio calo del 6% in un anno. Si alza il rischio usura

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Continuano a diminuire i prestiti bancari alle piccole e micro imprese. Tra il 2021 e il 2022 gli impieghi vivi alle aziende con meno di 20 addetti sono scesi di 5,3 miliardi di euro (-4,3 per cento). Lo stock complessivo dei prestiti erogati a questo segmento di aziende è passato da 124 a 118,7 miliardi di euro. Stiamo parlando dei prestiti concessi dagli istituti di credito alle imprese di piccolissima dimensione. Una platea di micro imprenditori costituita in massima parte da esercenti, piccoli commercianti, artigiani e lavoratori autonomi. L’elaborazione è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA. 

Per quanto riguarda questa speciale classifica, il Sannio si piazza al 29esimo posto (più alta è la posizione maggiore è il calo percentuale di credito). Un dato, decisamente, poco positivo che ci vede al primo posto in Campania con 255 milioni di euro erogati nel 2022 a fronte dei 271 del 2021. Numeri che fanno registrare una variazione percentuale negativa tra i due anni del 6.06%.

Per capire il valore dell’analisi basti pensare che sono stati presi in considerazione gli impieghi al netto delle sofferenze che rappresentano quella parte dei prestiti che, al momento della rilevazione, non presentano criticità in termini di insolvenza. Mentre le piccole e micro imprese costituiscono il 98 per cento delle imprese presenti in Italia. Al netto dei dipendenti del pubblico impiego, danno lavoro a quasi il 60 per cento degli addetti presenti nel Paese. Appare evidente come la tenuta di queste realtà risulti fondamentale per il tessuto economico, ma anche sociale delle provincie del Paese. A questa analisi si aggiunge anche quella di Confcommercio Campania della scorsa settimana che raccontava che tra il 2012 ed il 2022 in regione ha chiuso tra il 10 e il 20% degli esercizi commerciali. A Benevento, da 784 negozi nel 2012 si è passati ai 705 nel 2022.

Una problematica affrontata diverse volte durante il primo periodo covid quando molti rappresentanti del settore del commercio lamentavano le difficoltà di accesso al credito, soprattutto, per quanto riguardava negozi di vicinato ed attività nei centri storici.

“E’ un problema non di poco conto – aggiunge la Cgia -. Queste micro realtà, tradizionalmente sottocapitalizzate e a corto di liquidità, da tempo non sono più appetibili commercialmente dal sistema bancario.  Pertanto, la stretta creditizia venutasi a creare – associata all’esplosione del commercio on line, alla storica concorrenza praticata dalla grande distribuzione, al peso delle tasse e dei costi fissi – ha contribuito a diminuire in misura significativamente preoccupante il numero delle botteghe e dei negozi di prossimità presenti nel Paese. Una scia di chiusure iniziata molto tempo fa che, purtroppo, si sta ritorcendo contro le famiglie, che vedono peggiorare la qualità della vita dei luoghi in cui vivono, ma anche contro gli istituti stessi, che hanno perso correntisti e quote di mercato non trascurabili. Tuttavia, sarebbe sbagliato accusare le banche di essersi “disinteressate” del popolo delle partite Iva. Il mondo del credito, purtroppo, nell’ultimo decennio ha subito molte restrizioni imposte dalla Banca Centrale Europea in materia di erogazione del credito.  Questi vincoli hanno aumentato enormemente la soglia del merito creditizio, “allontanando” tantissimi piccoli imprenditori dai canali ufficiali di approvvigionamento della liquidità. E tra questi ultimi, purtroppo, non sono nemmeno pochi quelli “caduti” nella rete tesa dagli usurai; un fenomeno, quello dello “strozzinaggio”, molto “carsico” e sempre più spesso “controllato” dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso che, nei momenti di difficoltà, sono gli unici soggetti che dispongono di ingenti quote di denaro pronte ad essere immesse nel mercato economico”.

A livello nazionale, sempre tra il 2021 e il 2022, le regioni che hanno subito le contrazioni più importanti sono state il Veneto con il -6,24 per cento (pari a -821,2 milioni di euro), l’Umbria con il -6,49 per cento (-137,1 milioni), il Friuli Venezia Giulia con il -6,54 per cento (-177,8 milioni) e, in particolar modo, la Liguria con il -7,12 per cento (-214,4 milioni di euro). A livello provinciale, invece, la chiusura dei rubinetti del credito ha “colpito”, soprattutto Savona con il -7,92 per cento (-61,7 milioni di euro), Venezia con il -7,93 per cento (-173,8 milioni) e Sondrio con il -8,32 per cento (-59,8 milioni). Le realtà più colpite sono state due province della Romagna: Forlì-Cesena che ha visto diminuire il flusso dei prestiti del 9,38 per cento (-135,5 milioni) e Ravenna con il -10,36 per cento (-135,2 milioni). Delle 107 province italiane monitorate dall’elaborazione dell’Ufficio studi della CGIA, solo cinque presentano un risultato anticipato dal segno più. Si tratta di Biella (+0,10 per cento), Caltanissetta (+0,14), Sassari (+1,49), Sud Sardegna (+1,61) e Nuoro (+3,98).

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