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ECONOMIA

Zona arancione, partenza a rilento per le attività. Paura e incertezza frenano il commercio

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La Campania e il Sannio sono in zona arancione dallo scorso 19 aprile. In questi primi tre giorni, però, le cose non sembrano essere cambiate molto, soprattutto, per quanto riguarda il commercio. Come si ricorderà, nelle scorse settimane c’erano state diverse proteste di tutte le categorie – fino a giungere ad un presidio permanente di fronte alla Prefettura – per chiedere riaperture immediate e la possibilità di rialzare le saracinesche delle attività.

Un ok che arrivato grazie al dato epidemiologico, ma che per ora non ha portato ancora un vero cambiamento. Evidentemente, è presto per tracciare un bilancio complessivo della situazione, ma alcuni aspetti meritano di essere presi in considerazione.

Su tutti c’è quello psicologico. In sostanza l’uscita dalla zona rossa non ha portato ad un miglioramento concreto per la maggior parte delle attività commerciali, in particolare per i settori di moda, calzature e abbigliamento. In sostanza, i cittadini non escono per fare acquisti e questo per diversi ordini di motivi: il primo e più evidente è la paura del contagio che, nonostante il cambio di zona, resta la principale preoccupazione. Non solo: a pesare ci sono anche l’incertezza sul futuro e la fine della pandemia che spinge le famiglie a risparmiare non sapendo cosa ci riserverà il futuro. Infine, il peso dell’e-commerce che rappresenta ormai una realtà consolidata e un concorrente complesso da gestire per i negozi di vicinato.

Secondo Confesercenti nazionale nel primo bimestre del 2021 gli acquisti presso la grande distribuzione e le piccole superfici si sono ridotti, rispettivamente, del 3,8 e del 10,7%, mentre le vendite sul canale online sono aumentate del 37,2%.

Significativamente, l’espansione del commercio elettronico ha segnato un’accelerazione a partire da ottobre, quando le misure adottate per contrastare la seconda e poi la terza ondata del contagio hanno piegato verso il basso le vendite nei canali tradizionali. Il rischio chiusure paventato durante i giorni di protesa, dunque, appare sempre più concreto per una serie di attività che fino a qualche anno fa hanno fatto della presenza sul territorio il loro punto di forza. Secondo le stime, sempre dell’associazione di categoria, sono circa 70mila le attività commerciali che, senza una decisa inversione di tendenza, potrebbero cessare definitivamente nel 2021.

Va leggermente meglio, invece, per quanto riguarda il comparto della bellezza e dell’estetica che dopo le riaperture stanno vedendo un ritorno graduali dei clienti. Merito soprattutto di una fidelizzazione che è tipica del settore con clienti che stanno tornando dagli specialisti di fiducia per trattamenti e tagli. Anche in questo settore, però, il lavoro viaggia ancora a livello inferiori al normale.

Una situazione complessa, dunque, alla quale si aggiungono le preoccupazioni dei ristoratori che continuano a chiedere – senza successo per ora – l’allungamento del coprifuoco e che attendono di riaprire, almeno con i tavoli all’esterno per chi avrà la possibilità. Infine, l’ultimo pezzo sulla scacchiera è quello legato ai contagi e alle vaccinazioni: solo restando aperti, evitando continui stop&go, si potrà fare una analisi più completa considerando anche tasse e mancati ristori. A quel punto, però, partirà anche la conta dei danni.

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