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CULTURA

“Il dono della libertà”, ecco l’ultimo libro del giornalista sannita Bruno Menna

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“Il dono della libertà. Storia e storie di prigionieri”: è il titolo dell’ultimo libro del giornalista beneventano Bruno Menna. L’opera narra la storia e le storie dei prigionieri della seconda guerra mondiale.

Tra memoir, ricostruzione e complicatissimo scenario di contesto, è il racconto – ambientato in gran parte a Benevento, citando fatti e personaggi realmente accaduti ed esistiti – degli internati e dei reduci, del loro calvario, delle loro speranze, del loro tormentato tragitto verso la normalità.

È la trama di vite solo in apparenza minuscole, minoritarie, dissipate ma, in realtà, straordinariamente vivide in una fase terrificante della vicenda italiana, in un Dopoguerra, per tanti e troppi versi divisivo e lacerante, in un Paese intento, tra macerie e miserie, a scontare prima l’Armistizio, poi la penitenza internazionale; infine, a coniugare ricostruzione materiale e morale. E in cui, in attesa del boom economico, che avrebbe pianificato desideri e bisogni, era fortissimo il rischio di lasciare indietro chi, dopo la segregazione e l’agognato ritorno nella Patria liberata, si ritrovava costretto a muoversi tra burocrazia e pietismo, difficoltà e affanni, diffidenze e ostracismi per “rientrare” a pieno titolo nei ranghi della vita civile e sociale, per ri-trovare lavoro e casa, per riguadagnare amicizie e affetti, per ritagliarsi aspettative e futuro, per essere risorsa e non gravame letargico della sconfitta bellica.

“Il dono della libertà” si basa su testimonianze dirette o ricavate da testi di memorialistica, da cui sgorgano lettere, ricordi e scritti dalla tessitura accorata, palpitante, immersiva ma mai rassegnata, senza dimenticare l’elettricità emotiva di autori come Italo Calvino, Mario Rigoni Stern, Alfonso Gatto, Tonino Guerra.

La bibliografia comprende, inoltre, giornali dell’epoca e provvedimenti governativi, in particolare dal 1943 al 1948, dall’8 settembre alle prime elezioni dell’Italia repubblicana.

Centrale, dirimente, sanguinante è, tuttavia, la relazione al Parlamento del ministro Facchinetti che, nella primavera del 1947, scoperchiò il vaso di Pandora, ruppe la congiura del silenzio e disvelò l’impressionante numero di un milione e trecentocinquantamila prigionieri (all’epoca, in grandissima parte rientrati in Italia), senza tener conto di chi non aveva più dato notizie di sé, di coloro che erano stati falcidiati da malattie e brutalità e di quanti si erano avventurati da soli per l’Europa ridotta in rovine.

Il libro si sofferma anche sul ruolo dell’associazionismo combattentistico e del volontariato laico e cattolico per l’attività di primo sostegno (dalla ricerca dei dispersi ai treni speciali; dall’assistenza a vedove e orfani al “soccorso giornaliero” alle famiglie; dall’allestimento dei centri di assistenza nei porti e nelle stazioni al ricovero nei convalescenziari; dai pacchi-viveri al vestiario per gli indigenti; dal riconoscimento delle patologie contratte all’assegnazione degli indennizzi) e, in seguito, per la sacrosanta riaffermazione e il pieno rispetto dei diritti dei provenienti dai campi di prigionia.

Il lessico scelto è moderno, attuale, “social”, al fine di avvicinare i millennial alla conoscenza di un vissuto che, pur studiato in uno con le tragedie bibliche del Novecento, risulta troppo spesso oscurato, quando non rimosso dalla coscienza popolare (come nello sviluppo drammaturgico della “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo) o dissacrato (basti pensare al pur tragico “Tutti a casa” di Luigi Comencini, con Alberto Sordi).

Un linguaggio adottato per non appesantire il testo del surplus di dolorosa pratica algebrica, che non sempre ha agevolato la fruizione di una vicenda che, invece, conserva e irradia, dopo 70 e più anni, una formidabile traiettoria di umanità, insegnamenti, sentimenti.

Un’eredità che non va dispersa e che, nella parte conclusiva, richiama l’incessante azione di Papa Francesco, solitario pellegrino di pace, e consente un devastante aggancio alla terribile realtà dei nostri giorni, quella dei rifugiati, dei richiedenti asilo, di uomini, donne e bambine, in fuga da conflitti, bombardamenti e povertà, in cerca del dono della libertà. Il dono che bramavano i soldati dopo la deportazione, la fine della ostilità e la pur tumultuosa certezza di poter riabbracciare confini e destini d’Italia.

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