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POLITICA

Abolire o no le province: il contesto istituzionale

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Su abolizione delle Province e rilancio dell’idea Molisannio riportiamo di seguito la riflessione che Antonio Simiele ha affidato a Radio Città (www.radiocittà.net).
***

Già nei primi anni settanta, sorte finalmente le Regioni previste dalla Costituzione Repubblicana, si sviluppò un serrato dibattito su quale dovesse essere il più  funzionale assetto istituzionale dell’Italia e sull’opportunità  o meno di far vivere ancora le Province.

Valutando che non si potesse fare a meno di un Ente intermedio tra Regione e Comuni, si pensò in un primo momento di sostituire le Province con i comprensori socio-urbanistici, s’ipotizzarono le comunità di valle, insieme alla nascita delle Comunità Montane con funzioni riferite alla particolarità  delle economie dei Comuni montani. Alla fine si convenne di mantenere le Province, definendone meglio i compiti e, ove consigliabile, ridisegnandone i confini. Rimase aperta la discussione sulla dimensione ottimale delle Regioni.

Negli anni a seguire non sono state fatte le scelte e le decisioni conseguenti. Invece, in maniera incontrollata, si sono moltiplicate le Province, si sono modificati composizione e compiti delle Comunità Montane, si sono sovrapposte competenze, sono state trasferite non compiutamente e con colpevole ritardo le funzioni, favorendo, così, l’intuibile confusione e un’immagine d’inefficienza.

Si è verificato quello che spesso avviene in questo nostro Paese, che cioè al vecchio non si sostituisce in tempi ragionevoli il nuovo deciso, ma si determinano lunghe fasi di vuoto, d’incertezze che affievoliscono la fiducia verso il nuovo e alimentano o la nostalgia verso il vecchio o la richiesta di ulteriori, spesso immotivati, cambiamenti.
Oggi la questione si ripropone con forza e con l’urgenza dettata dalla necessità non solo di razionalizzare ma anche di ridurre drasticamente i costi.

Ricordo che le città metropolitane, previste dall’articolo centoquattordici della Costituzione repubblicana, non sono state ancora realizzate. Ricordo anche che la stessa Costituzione affida all’ente pubblico territoriale Provincia la funzione di “un’ampia capacità di programmazione e di coordinamento dello sviluppo della comunità di cui è ente esponenziale” difficilmente surrogabile.

Io ritengo che la strada da percorrere sarebbe quella, valutando ottimale la dimensione medio-grande, di ridurre il numero delle Regioni che, come prevedeva uno studio della Fondazione Agnelli, può essere non superiore a dodici.

Si dovrebbero abolire le Province coincidenti con le città metropolitane e, delle rimanenti, riproporre solo quelle definite, subito dopo la seconda guerra mondiale, in considerazione di ragioni storiche, culturali, economiche e geografiche. La composizione delle Comunità Montane dovrebbe riguardare esclusivamente i Comuni montani. Si dovrebbe obbligare i Comuni piccoli, preferibilmente limitrofi, a gestire in forma associata alcuni servizi.
Sono riforme per le quali non si richiede alcuna modifica costituzionale, per cui, se c’è la volontà,  è possibile realizzarle in tempi strettissimi.

Si possono fare scelte diverse, quello che importa è che siano guidate da una visione complessiva e organica dell’assetto istituzionale, definendo con chiarezza competenze, contrappesi e controlli, senza restringere gli spazi di democrazia e le opportunità di partecipazione.

Stabilire quanti e quali enti pubblici territoriali devono esserci non sono questione solo organizzativa e amministrativa; ha a che vedere con la possibilità che ognuno di essi, salvaguardando la storia, l’identità culturale, le risorse, la vocazione, riesca a innescare sul proprio territorio un processo di sviluppo che sia insieme economico, politico, culturale, etico, capace cioè di coinvolgere tutto l’uomo e tutti gli uomini.

E’ in questa dimensione che si pongono utilmente le scelte da fare per il futuro della provincia di Benevento. Il Molisannio è una risposta vecchia e inadeguata, figlia di una visione distorta dello sviluppo. Rincorrerlo serve solo a preservare un ceto politico che pensa di avere maggiori occasioni e che, così facendo, confessa la propria inadeguatezza rispetto a quello di Napoli e del resto della Campania.

Non serve per far crescere le capacità  produttive, per valorizzare le potenzialità e le tante risorse della nostra Provincia, per aumentare le occasioni di lavoro e offrire una prospettiva vera, concreta e stabile ai giovani. Per raggiungere questi obiettivi, l’essere parte di una grande Regione con la presenza di una metropoli come Napoli è una condizione di vantaggio, presenta una difficile problematica, ma è anche un’opportunità che sta a noi, alla nostra capacità di fare innovazione, alla forza dei nostri progetti, riuscire a tradurre in un’occasione di sviluppo. Napoli offre un terreno impareggiabile di ordine culturale ed è per noi pure un formidabile, insostituibile, mercato.
Semmai, si tratta di valutare l’opportunità  di coinvolgere una parte del Molise, che già nel passato orientava i propri interessi su Benevento e Napoli, nella costruzione di una nuova, più grande e funzionale Regione Campania.

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