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POLITICA

Marchi d’origine per olio sannita, Abbate: ‘Polemica scivolosa. Dop o Igp, cui prodest?’

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“Quando ho proposto di lavorare per una DOP dell’olio del Sannio, pensavo alla piccantezza dell’Ortice e non alle reazioni piccate di qualche promotore dell’IGP Campania. Non sapevo che in questa campagna elettorale ci fosse chi ha l’autorevolezza di distribuire patenti di credibilità alle proposte altrui. E ammesso che ci sia, continuo a ritenere che è sempre meglio argomentare piuttosto che lasciarsi prendere da reazioni nervose. Viviamo tempi difficili e ci vuole un po’ di serietà.” Così la candidata alle Regionali per Fare Democratico, Giulia Abbate che interviene sulla vicenda del marchio per l’olio sannita.

“Per far crescere l’olivicoltura di un territorio come il Sannio – prosegue – bisogna percorrere tutte le strade e non ne esiste una migliore dell’altra. I progetti camminano sulle gambe degli uomini e delle donne, non hanno virtuosità già scritte.

Il successo si costruisce con l’impegno e il lavoro quotidiano. E il Sannio può e deve esprimere un grande protagonismo nel mercato dell’olio extra vergine d’oliva di alta qualità.

D’altronde già Virgilio nelle Georgiche ammoniva: “Iuvat olea magnum vestire Taburnum” (conviene rivestire di oliveti il grande Taburno). Ma veniamo ai fatti e alle argomentazioni. Punto primo: non ho mai detto, scritto o pensato che il processo di riconoscimento dell’IGP sia un errore o una perdita di tempo. Anzi, è cosa buona e giusta a cui auguro tutto il successo. Ma una cosa non esclude un’altra, anzi. L’Italia si vanta di possedere il maggior numero di prodotti a marchio europeo, ma improvvisamente scopriamo che non valgono niente. Punto secondo: DOP e IGP non sono la stessa cosa. Un primo tentativo sulla DOP di un olio sannita è stato esperito una quindicina di anni fa, con un comitato promotore presieduto da Roberto Costanzo, che non ha bisogno di presentazioni. Un progetto che si è incagliato al Ministero dell’Agricoltura, ma che potrebbe ripartire, magari con qualche modifica. Per capire bene qual è la differenza tra DOP e IGP, riporto di seguito le definizioni di Altroconsumo.

DOP: Denominazione di Origine Protetta – La sigla DOP (Denominazione di Origine Protetta) indica un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità e caratteristiche siano essenzialmente, o esclusivamente, dovute all’ambiente geografico in cui viene prodotto. Come “ambiente geografico” si intendono sia i fattori naturali (come ad esempio il clima), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo e artigianalità) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori della zona produttiva. Tutta la produzione, la trasformazione e l’elaborazione del prodotto devono avvenire nell’area delimitata. Il marchio DOP estende la tutela del prodotto a tutto il territorio europeo e con gli accordi internazionali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (o WTO), anche al resto del mondo.

IGP: Indicazione Geografica Protetta – La sigla IGP (Indicazione Geografica Protetta) identifica anch’essa un prodotto le cui caratteristiche dipendono dall’area geografica di origine. In questo caso, però, a differenza della DOP è sufficiente che una sola tra le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione avvenga nell’area geografica delimitata. In altre parole, un prodotto IGP può essere ad esempio preparato in una determinata area geografica, ma con una materia prima che ha una diversa origine.

“Si comprende con facilità che DOP e IGP – continua Abbate – sono percorsi molto diversi, entrambi difficili e da monitorare per evitare rischi di speculazioni. Non è un caso che per la Mozzarella si è scelta la DOP e non l’IGP. Basta fare un rapido ragionamento e si comprende bene la differenza. Lo stesso vale per il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, etc etc.

I marchi di origine non sono tutti uguali e non hanno la stessa filiera. Se il logo proposto per l’IGP Campania è una stilizzazione del Vesuvio, una DOP del Sannio dovrebbe quanto meno usare il profilo del Taburno, richiamando le parole di Virgilio. Già solo visivamente cambierebbe tutto. Poi ci sono anche altre vicende che riguardano la realtà organizzativa dei territori. Oggi è la provincia di Salerno quella più avanti nella filiera dell’olio, ma anche Avellino si difende bene. Nel Sannio c’è ancora una forte parcellizzazione produttiva. Avere una DOP dell’olio sannita significa valorizzare le cultivar autoctone, che sono un presidio di biodiversità e garantiscono la non imitabilità sul mercato. Questa è il mio punto di vista. Giusto? Sbagliato? Discutiamone. Ma le affermazioni apodittiche lasciamole a De Luca, che se lo può permettere.”

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