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“I giovani sono vittime di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti”.

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    “I giovani sono vittime di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti”. Così Umberto Galimberti ripercorre a Benevento il viaggio intrapreso nel mondo giovanile nel libro “L’ospite inquietante” (Feltrinelli, 2007). Una conferenza organizzata dall’Adisu dell’Università degli Studi del Sannio che è stata anche un dialogo a più voci con il folto pubblico presente.

    Introdotto dal rettore dell’Ateneo sannita Filippo Bencardino, e dal presidente dell’Adisu Paolo Ricci, Galimberti ha parlato di una società povera di riferimenti e di valori in cui i giovani vedono il futuro imprevedibile come una minaccia nell’epoca del nichilismo e della retorica della televisione. “I giovani – ha detto – stanno male ma non sanno nominare la loro sofferenza. Il loro malessere non è di natura psicologica ma culturale nella società del denaro, dei molteplici stimoli e dell’efficientismo. Hanno raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non consente di riconoscere i propri sentimenti e di chiamarli per nome”. Sono i giovani parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, quelli che la società, nel massimo della loro forza biologica, non riesce a impiegare per generare vita, idee, speranze. E poi un invito implicito agli insegnanti, già dalle scuole elementari: “I ragazzi vanno catturati su base affettiva. Bisognerebbe sottoporre i professori a esami di personalità, per capire se sono in grado di comunicare e ingaggiare il percorso emotivo degli studenti”. L’unico capace di interessarli e coinvolgerli veramente.
    Non è mancato il riferimento alla gerontocrazia. “Il potere è concentrato intorno ai nonni, una terza generazione che non ha più la capacità di costruire un futuro per gli altri. Bisogna ritirarsi, uscire dalla storia del potere e allora avremo dei giovani motivati che vedranno qualcosa di cui essere protagonisti”.
    Sulla condizione dell’Università, stimolato del rettore Bencardino, Galimberti è stato chiaro: “L’Università è diventata povera. Sono state ridotte le offerte culturali e le motivazioni dei ricercatori. Se non si investe culturalmente si decade”. E “se un popolo ignorante è più utile al potere” diventa un assioma incontrovertibile.

    Al centro della riflessione del filosofo anche la questione della tecnica, luogo della razionalità assoluta, in cui non c’è spazio per le passioni o le pulsioni, ma solo la funzionalità e l’organizzazione guidano l’azione. “La tecnica – ha ribadito – ci circonda e risponde a quelle regole di razionalità, come efficienza ed organizzazione, che non esitano a subordinare le esigenze proprie dell’uomo alle esigenze specifiche dell’apparato tecnico”. Come uscirne? Hanno chiesto insistentemente gli studenti in sala. Come evitare l’omologazione? “Non se ne esce – ha spiegato il professore Galimberti -. A meno che non si riesca a fare entrare un po’ di umanità”. Nella capacità di creare gruppi di socializzazione, diversi da quelli caotici del consumo e del divertimento imposti dal mercato, ha rintracciato infine una possibilità di fuga per imparare a parlare e riprendere un’alfabetizzazione emotiva.

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