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POLITICA

‘Non basta appellarsi alle ideologie’

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera scritta dal docente Nicola Sguera al candidato sindaco di Benevento Carmine Nardone:

 

 

 

"Onorevole Nardone, mi rivolgo a Lei per esternarle lo stupore, il rammarico, l’incredulità, credo non solo miei ma di tanti beneventani.
Ci siamo incrociati tre volte negli ultimi mesi: alla bella manifestazione per le donne del 13 febbraio, alla presentazione del libro di Viroli, La libertà dei servi, alla commemorazione di Pasquale Martignetti. Tra i primi due avvenimenti e il terzo è accaduto l’impensabile. A febbraio si vociferava di un “patto” tra lei e Pasquale Viespoli. Vi ho ritenuto, e l’ho detto pubblicamente, i migliori politici espressi dal Sannio degli anni che io ho vissuto. Viespoli era in quel momento protagonista di un’esperienza che non pro domo (politica) mea consideravo coraggiosa: il tentativo di fondare una destra non berlusconiana in Italia. Sarebbe stata un’alleanza inedita e suggestiva, attraente per chi, come me, avrebbe avuto difficoltà a votare un candidato, Fausto Pepe, per il quale non si era approntato il doveroso lavacro delle primarie (di partito o di coalizione o entrambe), pur richieste da alcuni partiti della sinistra sannita, soprattutto in virtù dei trascorsi di Pepe e della rottura politica intercorsa durante la sua sindacatura.
 

E, dunque, avrei esercitato la libertà del voto disgiunto, dando preferenza a un partito di sinistra e scegliendo lei come mio Sindaco… Poi venne Marzo, mese pazzo per antonomasia. Pasquale Viespoli rompeva con Fini, tornava nell’alveo, dunque, del berlusconismo. E all’alleanza in nome del territorio si univa Clemente Mastella… Leggo le sue analisi. Non mi convincono. Nell’intervista a “Messaggio d’oggi” cita proprio il libro di Viroli. Si appella al socratico “sapere di non sapere”. Ma ci sono cose che non si possono non sapere. Ad esempio, dimentica di dire che quel libro è il più spietato atto d’accusa contro la “servitù” degli Italiani e lo strapotere (economico, mediatico e, dunque, politico) di Silvio Berlusconi, del cui potere “signorile” i suoi alleati sul territorio sono puntelli decisivi. Come può da una parte concordare con Viroli e dall’altra allearsi con chi contribuisce a perpetuare uno dei peggiori regimi politici della storia italiana (se “Micromega” può dedicare tre numeri al parallelismo tra berlusconismo e fascismo), sebbene tenuto insieme ora solo dallo sputo dei c.d. (e quanto mai famelici) “Responsabili”? Lei parla solo del territorio per occultare una dimensione ben più ampia… E non basterebbe il fatto che Clemente Mastella è responsabile dell’omicidio politico del governo Prodi? E non basterebbe, al di là dell’esito giudiziario, il quadro desolante del mastellismo come modalità di esercizio del “potere”? E rimarco questa parola.
 

Quando l’allora Ministro di Grazia e Giustizia si dimise (gennaio 2008), a seguito dell’indagine giudiziaria, disse che, trattandosi di scegliere tra la famiglia e il potere, lui sceglieva la famiglia («Fra l’amore della mia famiglia e il potere scelgo il primo»). In questo modo confermando una visione terribile, almeno dal mio punto di vista (e, ripeto, al di là dell’esisto giudiziario), della politica, che si risolve, appunto in mero esercizio di costruzione e conservazione del consenso. Lei sostiene, nelle riflessioni di questi giorni, che l’UDEUR è stato determinante nella sua esperienza alla Rocca, occultando, però, quella cesura netta (successiva alla sua esperienza) nella storia italiana che è la caduta del Governo Prodi e la vittoria di un Berlusconi che, pochi mesi prima, era un pugile alle corde, ridottosi alle «comiche finali».
 

Non può rivendicare l’autonomia del territorio dalle dinamiche nazionali, non quando i suoi potenti alleati sono “pezz’ i’ Novanta” dello scenario politico. Non basta appellarsi al superamento delle ideologie, se, in realtà, la storia italiana di questi anni (dal precariato lavorativo alle politiche culturali) dimostra che, sebbene da aggiornare, le categorie di destra e sinistra (r)esistono ancora. E quanto stridente, dunque, quanto, me lo lasci dire, doloroso per me, vederla alla celebrazione di Pasquale Martignetti, primo traduttore di Marx in Italia…
Se è sincero (e non ne dubito) il suo appello al metodo socratico, al socratismo come messa in discussione delle certezze, ascolti la voce di chi l’ha stimata e l’avrebbe con convinzione votata.
Con l’auspicio di un suo ripensamento, in totale dissenso politico ma con amicizia, la saluta"

 

 

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