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POLITICA

Fico non è De Luca. Non è una colpa ma un fatto: giunta politica o caos

Fico è il Presidente di una coalizione politica nell’ambito della quale il ruolo dei partiti sarà decisivo, determinante. Dunque non sarà il governatore ma il presidente della giunta regionale, un primus inter pares che dovrà farsi carico del peso della mediazione, dovrà governare collegialmente. Potrà escludere i consiglieri eletti solo se sarà capace di costruire una giunta di altissimo profilo, di coinvolgere personalità talmente autorevoli da svuotare le ragioni del malcontento. Non ci pare, alla luce dei nomi che circolano, che queste condizioni possano determinarsi.

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Non siamo del tutto convinti che Roberto Fico tirerà dritto fino alla fine dando vita ad una giunta regionale composta esclusivamente da esterni. Continuiamo a ritenere che sarebbe un errore. Certo, ricercare l’equilibrio senza pescare in assise, senza aprire la partita dei subentri, potrebbe apparire la soluzione più logica per scongiurare un pericoloso effetto domino. Il punto è che quando, con l’approssimarsi delle prime scadenze elettorali sui territori, gli apparati saranno chiamati a misurarsi e le pretese sul piano della gestione si faranno più pressanti, quando i singoli consiglieri regionali saranno chiamati a confermare la propria egemonia, quando chi è rimasto fuori dal Palazzo cercherà la via della rivalsa, Fico si ritroverà, con ogni probabilità, prigioniero della sua stessa maggioranza, costretto nella palude dei compromessi a ribasso, dei veti incrociati e dei ricatti.

Si dirà, giustamente, che Fico, escludendo i consiglieri di maggioranza, non farebbe altro che scegliere la via della continuità. Ma De Luca era il Presidente di una maggioranza a sua immagine e somiglianza, nell’ambito della quale i partiti avevano un peso del tutto marginale. Tutto ruotava attorno alla leadership dello sceriffo e i consiglieri regionali, sulla scorta di un rapporto diretto con l’ex governatore, agivano come ambasciatori di Palazzo Santa Lucia sui territori, come i collettori degli interessi degli amministratori, con ampi margini di agibilità sul piano della gestione. Erano loro i veri assessori e non a caso, fatti salvi un paio di profili, sarebbe complicato per qualsiasi cittadino campano, persino per gli addetti ai lavori, ricordare i nomi di quanti hanno affiancato De Luca in giunta nel corso di questi anni.

Fico non è De Luca e questa non è una colpa, tutt’altro. Tuttavia è un fatto.

La sua è una leadership collettiva, è il Presidente di una coalizione politica nell’ambito della quale il ruolo dei partiti sarà decisivo, determinante. Dunque non sarà il governatore ma il presidente della giunta regionale, un primus inter pares che dovrà farsi carico del peso della mediazione, dovrà governare collegialmente. Potrà escludere i consiglieri eletti solo se sarà capace di costruire una giunta di altissimo profilo, di coinvolgere personalità talmente autorevoli da svuotare le ragioni del malcontento. Non ci pare, alla luce dei nomi che circolano, che queste condizioni possano determinarsi.

Sul punto si gioca una partita decisiva, perché se la vittoria di Fico in Campania ha rappresentato un passaggio decisivo per la costruzione dell’alternativa alla destra sul piano nazionale, una vittoria che “imbullona” il Movimento Cinque Stelle al campo progressista, che rafforza la prospettiva unitaria e alimenta quella di un nuovo centro a destra del Pd, l’implosione di questo schema sui territori, e quindi in assise regionale, comprometterebbe quell’orizzonte dimostrando che il campo largo altro non è che una formula algebrica con la quale forse si possono vincere le elezioni ma non si può governare.

Questo, in fin dei conti, ha detto Clemente Mastella quando ha manifestato dissenso rispetto alla linea scelta dal Presidente. Se la maggioranza è politica allora la giunta deve essere politica, espressione in primo luogo della rappresentanza. Escludere gli eletti vuol dire tradire i territori, escluderli per evitare il domino dei subentri vuol dire non riconoscere ai partiti la dovuta centralità, perché l’elezione di un consigliere trova genesi anche nel consenso degli esclusi. Un partito è la sua classe dirigente e Fico è il Presidente dei partiti che lo hanno sostenuto.  

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