Salute
Carlo Iannace, il senologo dei sorrisi ‘patrimonio’ delle aree interne: ‘Alle pazienti provo a dare speranza e a restituire normalità’

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Dove c’è una donna, c’è una storia. E dove c’è una storia, c’è un medico come Carlo Iannace. Ogni anno in Italia oltre 55.000 donne ricevono una diagnosi di tumore al seno: è la neoplasia più frequente nella popolazione femminile, un numero che parla di vite sospese, di paure silenziose, di battaglie combattute spesso in solitudine. Ma in mezzo a questi numeri ci sono anche volti, mani che curano e parole che confortano. Una di queste mani è quella di Carlo Iannace, senologo sannita, primario ad Avellino, e – soprattutto – uomo capace di trasformare la medicina in missione, la cura in relazione, la lotta contro il cancro in speranza condivisa. Molto più che un medico: in Irpinia e nel Sannio, Iannace è un simbolo di dedizione, un punto di riferimento per le donne che affrontano il percorso della malattia, e un promotore instancabile della prevenzione come atto d’amore per la comunità. Lo incontriamo nel giorno della fiaccolata dedicata ai malati oncologici a Pietrelcina, sotto la luce della speranza, per parlare non solo di medicina, ma di impegno, di coraggio, e di quella umanità che non si insegna, ma si sceglie ogni giorno.
Dottor Iannace, lei è una figura molto nota nel Sannio e in Irpinia, sia come medico che come uomo impegnato nel sociale. Come nasce la sua vocazione per l’oncologia e per la cura delle donne?
La vocazione di servizio all’altro è iniziata sin da piccolo, quando al mio paese, a San Leucio del Sannio, davamo una mano alla Pro Loco. Una vocazione che è maturata nel tempo: ho sempre desiderato fare il medico e quando è arrivato il momento di scegliere, ho capito che volevo provare a fare del bene scegliendo una branca che potesse avere un risalto più sociale. Così scelsi Senologia, che aveva un impatto importante anche sul piano psicologico per quanto concerne l’aiuto concreto alle persone.
Fa riflettere l’attenzione che dedica alla prevenzione, in particolare attraverso campagne di sensibilizzazione sul territorio. Quanto è importante la prevenzione nella lotta contro il tumore al seno?
La prevenzione è sempre importante, ma per quanto riguarda il cancro al seno ancora di più, perché abbiamo la possibilità di trovare malattie sempre più piccole, e questo significa trattamenti meno invalidanti. Purtroppo il tumore al seno, spesso e volentieri, è molto subdolo e colpisce anche persone molto giovani, diventando sempre più difficile da diagnosticare. Bisogna lavorare sempre di più per superare errori dovuti alla diagnostica.
Al Moscati di Avellino guida l’Uoc “Breast Unit”. Quali sono oggi le sfide più importanti che un primario oncologo deve affrontare, sia sul piano clinico che umano?
La sfida più importante sul piano clinico è avere un approccio sempre più multidisciplinare, perché la lotta al tumore al seno è maggiormente efficace quando ci sono più professionalità – oncologo, radioterapista e altri – che combattono insieme e partecipano alla cura. Anche i trattamenti oggi stanno cambiando molto velocemente: penso alle terapie adiuvanti, farmaci immunoterapici, terapie ormonali nuove o gli anticorpi monoclonali. La cura della malattia ha bisogno di specialisti e, ahimè, di trattamenti estremamente costosi. A volte la gente non si rende conto di quanto costi questo percorso: è necessario dunque che la sanità rimanga pubblica, stiamo lottando perché sia sempre così. Purtroppo, però, alla sanità vengono destinati sempre meno fondi da parte dello Stato, basti pensare alla percentuale del PIL destinata alla spesa pubblica sanitaria: in Italia, è attualmente al 6,2%, un valore inferiore alla media OCSE del 6,9%.
Nel suo percorso professionale ha assistito a molti casi complessi. Qual è stato il momento più significativo o commovente?
Sono tanti i casi che mi hanno segnato: i giovani che muoiono lasciano sempre il segno, ogni paziente che si presenta da me lascia un segno. A volte, purtroppo, quando non ce la fai e la malattia va in progressione, rimane il segno di una sconfitta, che però non è mai personale. L’obiettivo è fare il mio lavoro e farlo bene, aiutando le persone a tornare alla vita di tutti i giorni, a restituire loro una normalità. Questa è la cosa più importante.
Lei è da sempre promotore di marce rosa. Oggi pomeriggio sarete a Pietrelcina per la fiaccolata dedicata ai malati oncologici. Che ruolo ha il sostegno psicologico e la vicinanza umana nel percorso di cura?
Il sostegno psicologico e la vicinanza umana nel percorso di cura sono fondamentali, tanto più quest’anno in occasione del Giubileo, Anno Santo della Speranza. Dare conforto è importantissimo per aiutare le donne ad affrontare la malattia. Le nostre iniziative devono essere un volano: strutture e associazioni sul territorio si trovano a ricoprire un ruolo straordinario di testimonianza, ma anche nel sensibilizzare le persone a fare prevenzione e a partecipare agli screening. E a rendersi partecipi di un problema che deve essere condiviso e affrontato insieme. Faccio un esempio sull’importanza della testimonianza: quando da medico parlo della malattia ad una signora è probabile che non mi recepisca del tutto, ma se si dovesse confrontare con una donna che ha vissuto la sua stessa esperienza, il risultato sarebbe diverso.
Ha avuto anche un’esperienza in politica come consigliere regionale. Cosa pensa oggi del rapporto tra sanità e politica?
La politica deve impegnarsi per creare una sanità di eccellenza e un utilizzo corretto delle risorse. Allo stesso tempo, è necessario un impegno sui risvolti sociali che una patologia può avere: penso ad una paziente che ha perso il lavoro o che è stata abbandonata dal marito a seguito della malattia. Questo è un aspetto che non va ignorato: la politica tutta – dal consigliere comunale agli incarichi più alti – deve essere vicina alle persone e ai loro problemi.
Guardando alla sanità pubblica in Campania e al Sud in generale, quali crede siano le priorità da affrontare per migliorare l’assistenza oncologica?
C’è tanto da fare, puntando sempre all’eccellenza. Le strutture del Nord Italia la fanno ancora da padrona per quanto riguarda qualità del servizio, offerta sanitaria e assistenza oncologica, anche se il divario con il Sud si sta notevolmente riducendo. C’è da comprendere però anche un discorso che riguarda accesso alle cure e distribuzione delle risorse nel sistema sanitario: se ti curi altrove, come ad esempio negli ospedali del Settentrione, quei fondi della spesa pubblica sanitaria non saranno distribuiti in maniera uniforme.
Il suo approccio è molto empatico e diretto. Come riesce a mantenere questo equilibrio tra professionalità medica e umanità nei rapporti con i pazienti? E soprattutto cosa la spinge ad andare oltre il “dovere professionale”?
Viviamo in piccole realtà dove il rapporto con le persone è diretto ed immediato, dove si entra in stretta connessione con i pazienti, con i loro pensieri e i loro bisogni. Capire quali siano le situazioni che vivono e che sono inevitabilmente connesse alla malattia, è un aspetto importante della cura. Davanti a noi abbiamo persone che sentono la necessità di un rapporto umano. Avere questo tipo di relazione è fondamentale, così come è fondamentale la formazione scolastica: nel mio paese ho avuto la fortuna di avere ottime insegnanti che mi hanno dato la possibilità di poter essere all’altezza delle situazioni che oggi affronto quotidianamente.
Concludendo, qual è il messaggio che vuole lasciare alle donne che stanno affrontando la malattia e a chi ogni giorno combatte per una sanità più giusta e accessibile?
In Campania abbiamo delle realtà veramente importanti che possono dare risposte di qualità per la lotta al tumore. Spesso guardiamo all’orto del vicino, senza accorgerci che la qualità sta anche in casa nostra. Quando c’è qualità nella risposta sanitaria, possiamo affidarci con fiducia ai percorsi da intraprendere. I risultati sul trattamento arrivano quando ci sono formazione, empatia paziente-medico e struttura sanitaria all’altezza.