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CULTURA

La gavetta, Bennato e Reitano, il successo. Gitano, unico sannita a Sanremo: ‘Un sogno cantare all’Ariston, chiusi gli occhi e pensai a mia madre’

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Soltanto due le volte in cui un sannita ha calcato il palcoscenico del teatro Ariston di Sanremo per cantare al Festival della canzone italiana. La prima volta di mercoledì, il 22 febbraio del 1989. “Sono arrivati gli zingari dell’Asia Mediterranea… “ – l’incipit del pezzo. Quarto posto nella classifica della sezione ‘Nuove Proposte’, vinta da una giovanissima Mietta. La seconda volta due anni dopo, sempre tra le novità: “Raffiche di vento quest’anima negra…”. Ancora suoni e parole da mondi lontani. D’altronde la voce è la stessa. Quella di un ragazzo che per raggiungere il suo sogno non ha inseguito scorciatoie. Che gli ottocento e passa chilometri che separano la Città dei fiori dalla sua Tocco Caudio li ha percorsi suonando, cantando e sudando. Con la sua chitarra e la sua passione. Ma per qualcuno tra i beneventani incollati al televisore, la sera del suo debutto al Festival, quel volto non rappresentava una novità: su Rai1 era già passato, sempre in prima serata, ma nel pieno degli anni Settanta e per un altro festival: Castrocaro. Ma con un nome diverso: Antonio Fusco. A Sanremo no. A Sanremo era arrivato Gitano. “Non dirò che è stata una scelta filosofica come probabilmente farebbero tanti dei miei colleghi nel motivare il proprio nome d’arte.  Semplicemente la mia canzone per Sanremo si chiamava Gitana. A Montella, il direttore della casa discografica Rca, poi divenuta Bmg – uno che tra gli altri aveva già lanciato Lucio Dalla, Renato Zero, Gianni Morandi – non piaceva Tonino Fusco. Sfogliando il mio book fotografico, allora, si soffermò su una foto: avevo una fascia in fronte. “Mi sembri uno zingaro” – mi disse. “Ti chiamerai Gitano e la canzone Pelle di Luna”.

Un lungo viaggio quello che ti ha condotto a Sanremo. Torniamo alla partenza: dove nasce la tua passione per la musica?

“Bella domanda… Dove nasce? Una passione viene fuori perché vive già dentro di te. Magari non ne sei neanche consapevole, la riconosci durante il percorso: quando cadi e ti fai male ma poi ti rialzi e riprendi il cammino.  Perché insegui un sogno. Oggi è diverso: si parla di obiettivi, si pianifica. La passione è un’altra cosa. E’ un cuore che sanguina fino a farti piangere. E io – dopo aver gioito per i miei successi – ho pianto tanto per la musica”.

I ricordi delle prime note?

“La mia era una famiglia numerosa. Ma le mie sorelle e mio fratello emigrarono e dunque rimasi solo con mia madre. Abitavamo a Tocco vecchia, nel cortile c’erano altre dieci famiglie. Ricordo che c’era un professore, Paolo Petraccaro, con una radiolina di marca Grundig: alzava il volume al massimo quando c’era Lelio Luttazzi che presentava la hit parade. Io cantavo dietro la radiolina e tutti i vicini ad applaudirmi. Zè Clementina cominciò a chiamarmi ‘Lu musico”. Cantavo ovunque: in chiesa, nelle feste scolastiche. A scuola il professore di matematica – materia che odiavo e che mi faceva perdere il sonno quando sapevo di essere prossimo a una interrogazione – per darmi almeno un sei, visto che facevo scena muta, mi chiedeva di cantare ‘Il ragazzo della via Gluck’. In classe e davanti a tutti”.

E lo guardavi Sanremo?

“Lo guardavo al bar di Zè Sofia, come tutti al paese. Ricordo il dolore nell’apprendere in diretta la notizia della morte di Luigi Tenco. Mia madre volle parlarmi: “Tu vuoi cantare – mi disse – ma sappi che a volte la musica può diventare una cosa tremendamente seria”.

Tua madre ti ha sempre sostenuto in questa scelta di fare il cantante?

“Impazziva per me come io impazzivo per lei. Una volta mi diede 250mila lire per farmi passare le vacanze in Inghilterra. Arrivato a Napoli, però, comprai una chitarra a 12 corde, rossa e gialla. Restarono giusto i soldi per il viaggio. Un viaggio indimenticabile”.

Racconta

“In metropolitana, a Londra, incontrai un menestrello che incantava tutti, me compreso. Suonava una chitarra identica a quella che avevo appena comprato. E infatti, parlandogli, mi disse che era di Napoli. Tornato in Italia, quasi un anno dopo, lo ritrovai in televisione: cantava ‘Salviamo il salvabile’, era Edoardo Bennato”.

Un riferimento per te

“Imitandolo, cominciai a comporre le mie canzoni. E iniziai a partecipare a tutti i concorsi per voci nuove che si organizzavano nei paesini”.

Vincendoli?

“La verità: tutti. Il più delle volte il premio consisteva in una coppa, 30mila lire e qualche bottiglia di liquore. Poi arrivò il momento di un concorso che proponeva un premio decisamente più importante. Dovevo vincerlo per forza, per ripagare mia madre che aveva speso molto per iscrivermi e comprarmi il vestito”.

Ci riuscisti?

“Sì. Ma c’è dell’altro”.

Cioè?

“Faceva parte della giuria una ragazzina, molto carina e tanto dolce. Ogni sera, però, mentre tutti mi davano ‘10’ lei si limitava al ‘6’. Dopo la proclamazione, comunque, andai a complimentarmi con lei. “Ma perché mi hai dato sempre il voto più basso?” – le domandai. “Perché sei un buffoncello” – mi rispose”.

E come è finita?

“E’ diventata mia moglie. La ricordo ancora al mio esame di stato all’istituto Commerciale, ad assistere portando in grembo Colomba, mia figlia”.

E come sei riuscito, invece, a emergere dai concorsi di provincia?

“Volevo arrivare più in alto e quei concorsi non mi bastavano più. E così, dopo aver superato una decina di selezioni, tra quattromila concorrenti in tutta Italia riuscii a conquistarmi un posto al festival di Castrocaro. Serata finale su Rai1, presentava Mike Bongiorno, 16 settembre 1975: terzo posto! Quella sera mi resi conto di quanto fossero belli gli occhi di mia madre”.

Fu la svolta

“Iniziarono i concerti. E anche qualche ‘monelleria’ di cui poi mi sono pentito. Ma il sogno di Castrocaro, bellissimo, fu interrotto da un episodio che ha finito col segnare per sempre la mia vita: persi mia madre, un maledetto incidente stradale. Da allora la cerco ogni giorno, e ogni giorno la trovo perché il dolore è rimasto lo stesso”.

Dal terzo posto a Castrocaro al tuo primo Sanremo di tempo ne è trascorso: la gavetta non finisce mai?

“Avevo una famiglia da portare avanti e le serate non bastavano. Mi iscrissi a Giurisprudenza e iniziai a lavorare. Lavorare sodo. Lo rivendico con forza e con orgoglio. Ovviamente continuavo anche con la musica: grazie a una persona buona e affettuosa come Eugenio Ripolini pubblicai un 45 giri. Le radio lo passavano e iniziai ad avere una certa notorietà in ambito regionale. Ma volevo Sanremo”.

E dunque?

“Avevo dei pezzi arrangiati dal maestro Angelo Cioffi. Iniziai a fare la spola tra Benevento e Milano. Il treno lo prendevo il sabato sera, dopo dodici ore di viaggio arrivavo a Milano: doccia in stazione e poi via a bussare alle porte delle case discografiche. Fino alla Fremus di Mino Reitano. A mettermi sotto contratto fu Gegè, il fratello di Mino. Ma nonostante l’interesse di Mino – che mi stimava tantissimo – Sanremo non arrivava. Mi fermavo sempre alle semifinali: la Fremus non bastava, serviva una major. E così – senza neanche dirlo a Gegè – iniziai a bussare ad altre porte nella Capitale e grazie anche all’interesse del marchese Gerini, stimato impresario romano, sottoscrissi un contratto importante con la Rca, poi divenuta Bmg”.

Finalmente Sanremo

“A settembre presentammo la canzone, ‘Pelle di luna’. Poi iniziarono giorni e notti di ansia. Praticamente chiamavo il marchese tutti i giorni, mi rispondeva sempre la sua compagna: Paola Quattrini, l’attrice. “Devi pazientare” – mi diceva. Poi fu un mio cliente di Tocco a chiamarmi e a darmi la notizia: l’aveva letta sul televideo. Fu una serata di festa per me e per tutto il paese. Mio padre girava con il mio bigliettino da visita con su scritto Gitano. E sul palco di Sanremo ci arrivai come un uragano di gioia. E cantando chiusi gli occhi e vidi mia madre. E dopo il Festival concerti su concerti, presenze in Rai e a Mediaset, il Disco d’oro, settimane in classifica”.

Il ricordo più bello di quella prima volta a Sanremo?

“Ne ho tanti ma quello più bello riguarda il mio arrivo: baciai l’asfalto sotto il cartello con la scritta Sanremo. Era il coronamento di un sogno. Oggi vedo ragazzi salire su quel palco con arroganza, come se il Festival gli fosse in qualche modo dovuto. Noi prima andavamo nelle piazze e poi – se andava bene – a Sanremo. Adesso molti vanno prima a Sanremo e soltanto dopo nelle piazze. E infatti stonano”.

Tu ci sei anche tornato a Sanremo: nel 1991, con Tamurè

“La seconda partecipazione me la comunicò mio padre, un anziano arzillo che mai ho lasciato solo. Così come mai ho lasciato la mia Tocco, anche negli anni del successo, quando mi chiedevano tutti l’autografo e mi tremavano le mani per la magia. Fu una comunicazione particolare, comunque, quella che mi diede mio padre”.

Perché?

“Io non sapevo ancora nulla, continuavo ad andare sul televideo in attesa che pubblicassero i nomi. Chiamai a casa e lui senza neanche sapere chi fosse al telefono iniziò a urlare: “Figlimo Ntonio è andato nardra vorta a Sanremo!”. E poi aggiunse: “Voi chi siete?”. “Papà sono io!”.

Stupendo: e tuo padre?

“Mi disse che stavano arrivando telefonate su telefonate. E poi mi chiese: “Ma stavolta lo presenta Pippo Baudo?”.

C’è qualche artista con cui hai legato in quel periodo?

“Colleghi-amici ne ho avuto sempre pochi, è un mondo dove di solito si preferisce starsene nel proprio orticello. Tra quelli con cui legai di più ricordo Renga, Paolo Belli, Raf. Ma l’incontro più bello fu con il mio vicino di camerino: io ero il 5 e al 6 c’era Ray Charles. Ovviamente andai a parlargli e a chiedergli l’autografo. Sul pullman di Radio Dimensione Suono, poi, fui intervistato con Gloria Gaynor: donna simpaticissima e alla mano”.

Perché non sei più tornato al Festival?

“Dopo la seconda partecipazione a Sanremo raggiunsi il picco della notorietà. L’impresario voleva mi trasferissi a Milano ma non lo feci. Non potevo lasciare solo mio padre e comunque non volevo andare via da Tocco Caudio. La verità? Non me ne sono mai pentito. Ma se i concerti di piazza continuavano, le apparizioni in tv erano sempre meno. E quando esci da un certo giro poi tutto si fa più complicato. Quanto a Sanremo, non mi piace l’idea di diventare come i tanti che ogni anno insistono in presentazioni che non hanno possibilità di essere accolte: senza una major che ti sponsorizza le porte restano chiuse. Lo scorso anno, però, un pezzo l’ho presentato: “Non ho tempo”. Parlava di problemi sociali e penso fosse – e ovviamente lo è ancora – una bella canzone. Non è andata bene. Un amico, poi, mi ha confidato che Amadeus preferisce evitarli certi temi al Festival”.

Tutti ti ricordano per la tua musica, pochi sanno che hai avuto un discreto successo pure con la scrittura

“Con le ‘Cento Novelle Tocchesi’ vinsi anche premi letterari importanti, come il ‘Francesco Flora’ e il ‘Contursi Terme’. Diedi vita anche ad alcune commedie teatrali, satira in vernacolo. Nel 1999 partecipai anche a Benevento Città Spettacolo, quando il direttore artistico era Maurizio Costanzo. A volermi fu Giordano Montecchi”.

E poi “L’inkazzautore”

“Con quello mi sono fatto male. Il libro raccontava in maniera nuda e cruda il retroscena della musica leggera italiana e del mondo dello spettacolo in generale. Un successo incredibile, anche perché Antonio Ricci – dopo averlo acquistato in autogrill – volle pubblicizzarlo con ‘Striscia la Notizia’. Il risultato? Più di centomila copie vendute. Ancora oggi la Feltrinelli lo propone. Ma quel libro è stata croce e delizia… me l’hanno fatta pagare”.

Oggi che fa Gitano?

“Da poco è uscito il mio album “Non ho tempo”. Quindici brani con musica e testo scritti da me e arrangiati dal grande maestro Nuccio Tortora, fatta eccezione per “Non passi mai”, arrangiato dal maestro Carlo De Maria. Ora aspetto qualche data per l’estate. E nel frattempo dipingo, altra mia grande passione”.

Martedì inizia il Festival: lo vedrai?

“Sanremo lo guardo sempre. Anzi: me lo ‘spolleco’ – per utilizzare una nostra espressione – dalla prima all’ultima nota. Non sto amando particolarmente i festival di Amadeus: alcuni dei giovani che sponsorizza sembrano più bulli che artisti. Di certo seguirò tutte le direzioni d’orchestra di Enrico Melozzi, un talento eccezionale e un ragazzo d’oro. Con lui vinsero i Maneskin. E’ stato un mio chitarrista. Ed è stato lui, qualche tempo fa, a contattarmi via whatsapp: “Sei Gitano di ‘Pelle di Luna’? Ho suonato per te a Teramo”. Ecco: sono queste le carezze che mi piace raccogliere per strada. Perchè fanno bene all’anima e mi aiutano nella  missione oggi per me più importante: stare accanto a mia moglie”.

 

 

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