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CULTURA

Le fettuccine di Vasco Rossi, Lucio Dalla tra i fornelli: ‘Gino e Pina’ raccontano cent’anni di cucina

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E qui per i ricordi un cassetto non basta. Un solo passo nel locale e una parete di foto e ritagli di giornali ti mette subito sull’attenti. Sembra ammonirti: “Questa non è una storia tra le tante”. A rafforzare il concetto, poi, una scritta che riporta al 1940 la data di inizio attività. “Ma in realtà il primo ristorante è del 1920, era alla stazione”. Un racconto lungo un secolo. Quattro generazioni di ristoratori. Ma si riassume facile, il tempo di dire “Gino e Pina”. Eccolo un altro luogo del cuore dei Beneventani. Un monumento fatto di cucina, tradizione, passione, aneddoti. E sacrifici. “La prima volta in cucina? Sessant’uno anni fa. Dopo l’infortunio di suo padre” – spiega Pina. “Si fece male al braccio” – aggiunge Gino. Intervistarli è come seguire una partita di ping pong, con la pallina a rimbalzare tra l’esuberanza di lui e l’accortezza di lei. Due voci differenti che si compenetrano fino a darsi un equilibrio, fino a diventare una cosa sola: GinoePina, senza spazi.  

Cominciamo, allora. Anzi, cominciate: come inizia questa storia?

“Coi nostri nonni, con il primo ristorante alla Stazione. Poi dopo l’alluvione il trasloco in piazza Commestibili e dal 1992 siamo qui, in viale dell’Università. Da Angelo Palmieri a Salvatore, da Salvatore a Luigi e ora da Luigi a Salvatore e Maurizio. Quella attuale, però, doveva essere una sistemazione provvisoria”.

In che senso?

 “Dopo il terremoto dell’80 l’intero complesso del mercato fu spostato qui ma noi restammo in piazza, d’altronde eravamo in uno dei fabbricati laterali: investimmo tanto in quel locale. Nel 1992, però, ci spostarono perché dovevano ultimare i lavori. “Trasferitevi per sei mesi”, ci fu detto. “Poi una volta completato il mercato tornate…”.

E sono trascorsi più di trent’anni: in Italia nulla è più definitivo del provvisorio

“E sì: siamo partiti da una stanza, abbiamo ristrutturato tutto. Ora qui stiamo bene”.

Il vostro ingresso nel ristorante?

“Io ho iniziato subito dopo l’infortunio di suo padre (parla Pina), avevo 14 anni.  Ho iniziato piano, da sola, facendo tesoro degli insegnamenti di mia madre che aveva lavorato al ristorante quando era alla Stazione. Mio padre, calabrese, mi aveva invece inculcato la cultura del gusto e non del risparmio. Così ho iniziato e così sono andata avanti. Mi piace il buono, mi piace la tradizione ma anche improvvisare, innovare. Per me la cucina è invenzione, non una scienza scritta. Su una cosa, però, non si transige”.

Ovvero?

“La qualità dei prodotti, la freschezza. E infatti lavoriamo da cinquant’anni con le stesse persone. Mai pensato di cambiare qualcosa per risparmiare un po’. Anche perché sarebbe un peccato sprecare la fortuna che abbiamo, quella – cioè – di poter contare su prodotti buoni. Penso ai carciofi di Pietrelcina, meravigliosi: un fascio l’ho usato per abbellire il ristorante”.

C’è un piatto che vi rappresenta?

“Ne facciamo talmente tanti, non saprei indicarne uno. Magari c’è qualche piatto più richiesto, come il Cardone. La grande Carla Fracci ne era innamoratissima”.

Una bella soddisfazione

“Assolutamente, ma quelle – le soddisfazioni – non sono mancate (parla Gino). Pensi che Franco Alberti impose all’Ente Provinciale per il Turismo di andare a mangiare da Pina per il Premio Strega. E lei preparava dei buffet che ancora oggi quando guardo i filmini mi chiedo come ci sia riuscita. Ricordo ancora che Alberti insisteva per organizzarli anche a Roma, in occasione della finale, ma a quei tempi era impossibile”.

Vi siete mai chiesti perché la gente continua ad andare da Gino e Pina?

“Non lo so (risponde Pina). Però ricordo quello che mi disse una signora: “Pinarè, da te veniamo per mangiare bene. E poi (parla Gino) qui si sta in famiglia. E ad aiutarci è stato il passaparola”.

E la pubblicità?

“Mai fatta. Il passaparola è stata la nostra pubblicità, la migliore possibile assieme al modo di trattare i clienti. Ora i nostri figli qualcosa stanno facendo, ma non chiedetemi cosa: io penso solo alla cucina”.

In effetti non è raro vedervi a fine serata tra i tavoli con i clienti

“Sono qui da quando avevo 14 anni (parla Pina). Dalle 9.30 di mattina alle 15.30/16 e poi dalle 19 a fine serata, oggi magari stacco un po’ prima perché un po’ di stanchezza si sente. Questo per dire che per me il rapporto con il cliente, la chiacchierata a fine cena, ha rappresentato  negli anni anche una forma di socialità”.

Tanti i sacrifici

“Per capirci: i nostri figli, da piccolini, li tenevamo qui, al ristorante: nei cartoni delle banane”.

Sulla vostra parete delle foto c’è il meglio della musica, dello spettacolo e del cinema italiano. Qualcosa dobbiamo raccontare: cominciamo da Vasco Rossi?

“Eravamo in piazza Commestibili a quei tempi. In cucina era rimasto ancora un po’ di cardone e quando mi avvisarono che sarebbero venuti qui lo misi da parte. Ma erano cinquanta persone e non poteva bastare. “Che stai preparando?” – mi chiese Vasco Rossi (parla Pina). “Un sugo per le fettuccine con vitellino, funghi e pomodorini freschi” – risposi. “Dagli il mio nome” – mi disse. E così sono nate le fettuccine alla Vasco Rossi. Ogni tanto ancora le propongo. La cosa che mi colpì (parla Gino) fu la gente fuori dal locale, fortuna c’era il cancello all’ingresso del mercato, dovemmo chiuderlo. E nei giorni seguenti continuarono a venire giovani, sembrava un pellegrinaggio: volevano sedersi al posto dove aveva mangiato Vasco. Che poi si dicevano tante cose sul suo conto, a me fece una buona impressione. Gli regalai pure un capocollo quando andò via”.

Altri artisti che vi hanno lasciato un bel ricordo?

“Molti, siamo stati fortunati. Però (parla Gino) voglio ricordare Gianni Morandi: una serata – non l’ultima volta che è stato a Benevento ma qualche anno fa – era già andato via ma tornò per stare un po’ di tempo con un bambino con disabilità. Gli parlava, ci scherzava e ogni tanto lo baciava. Una lezione di umanità che ancora oggi mi fa commuovere. E poi (mentre scorriamo le foto) c’è quest’altra persona qua che pure veniva spesso”.

Beh, Lucio Dalla

“Lui era praticamente di casa, veniva spesso a Benevento anche perché molto amico di Paladino. Di Dalla ricordo in particolare la sua immagine nella nostra cucina, con le mani nelle pentole perché voleva assaggiare tutto”.

Lo lasciavate fare però

“E che facevi? Cacciavi dalla cucina Lucio Dalla? Con quella faccia poi…”.

Andiamo avanti?

“Racconto l’ultima (parla Gino). Mino Reitano, era spesso ospite di Clemente e Sandra Mastella, venivano a prendere le pizze qui e noi mandavamo sempre qualcosa da assaggiare. Qualche anno dopo venne al ristorante un beneventano che era stato ricoverato a Roma. “Gì ma che hai fatto mangiare a Mino Reitano? L’ho sentito in una trasmissione radio, per mezz’ora ha parlato soltanto di voi”.

Parlavamo prima dei tanti sacrifici, possiamo dire che ne è valsa la pena

“Sì, assolutamente. E mai smetteremo di ringraziare i beneventani, i nostri clienti. Questa Città ci ha dato sempre grande affetto. Poi qualcuno che ti vuole male lo trovi, c’è sempre. Ma è così dappertutto”.

Il periodo migliore?

“Personalmente (parla Pina) rimpiango sempre la stagione della grande lirica a Benevento, con le serate organizzate al Teatro Romano. Che serate, che ricordi: restavamo a parlare anche fino alle cinque del mattino. E poi quanta gente che veniva anche da fuori per quei concerti”.

La cosa più bella di questi sessant’anni in un ristorante?

“Quando senti di beneventani che vivono fuori e che quando si incontrano finiscono a parlare di ‘Gino e Pina’”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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