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Opinioni

Il trappolone

Proprio quando la tregua sembrava raggiunta, dopo l’apertura del commissario Misiani sulla celebrazione del congresso regionale del Pd, il governatore ha fatto saltare il tavolo con il suo attacco furibondo all’indirizzo del Nazareno. Una strategia costruita con sapienza anche sulla testa dei suoi stessi colonnelli. Una strategia resa possibile dalla circostanza per la quale, a queste latitudini, il centrodestra non esiste

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Il Commissario del Partito democratico della Campania, onorevole Misiani, è caduto inerme nella trappola del governatore De Luca. Il quale non ha mai davvero cercato la tregua con il Nazareno ma ha mandato avanti i suoi uomini, a partire dal primogenito, per costringere il commissario a cedere sulla celebrazione del congresso regionale, condizione irrinunciabile per scongiurare il rischio di un bagno di sangue alle prossime europee. Insomma, la riconquista del partito regionale in cambio della fedeltà alla causa democratica nelle urne.

Giovedì 28 settembre, non a caso, a Napoli si è tenuta una riunione tra tutti i consiglieri regionali democratici e i più fidati uomini del governatore a margine della quale Misiani è stato messo spalle al muro con l’esplicita richiesta di parole chiare ed inequivocabili sulla celebrazione dell’assise regionale entro il mese di gennaio del prossimo anno. Parole che Misiani avrebbe dovuto pronunziare l’indomani, ad Agnano, dove avrebbe aperto la Festa dell’Unità di Napoli.

Il commissario, come noto, ha eseguito. E manco a dirlo, a distanza di due giorni, dallo stesso palco De Luca ha lanciato il suo infuocato attacco all’indirizzo del Nazareno annunciando un tour in tutto il Paese per promuovere un’altra idea di partito. La stessa idea, evidentemente, che ha provato a sintetizzare nel libro in uscita il prossimo 24 ottobre dall’emblematico titolo “Nonostante il Pd”.

A dirla tutta più di un consigliere regionale è rimasto spiazzato dall’uscita del governatore, proprio perché l’apertura di Misiani aveva posto le condizioni per una tregua, per una ricucitura funzionale per un verso a restituire al Pd campano organismi nuovamente legittimati e, per altro, a ricomporre il rapporto con il Nazareno in vista delle europee e delle amministrative. Questo era il piano ma il governatore ha fatto saltare il tavolo quando ormai l’obiettivo era raggiunto. Molti consiglieri si sono sentiti usati ed ingannati ma tant’è, nelle condizioni date non c’è altra opzione se non quella della fedeltà al capo.

Il punto è che De Luca non ha mai davvero cercato la pace. Ha sin dal principio individuato nella vittoria di Elly Schlein ai gazebo una straordinaria opportunità, ha compreso immediatamente che nella contrapposizione con la segretaria e il nuovo gruppo dirigente avrebbe potuto trovare nuova centralità, le condizioni per riguadagnare il centro dell’arena, per riprendere a dettare l’agenda nel Paese, la forza e la spinta propulsiva per condurre una campagna elettorale permanente di qui al 2026.

Certo, la vittoria di Stefano Bonaccini gli avrebbe garantito la certezza del terzo mandato, probabilmente un ruolo di primo piano nel partito, la serenità per poter continuare a governare e a gestire in santa pace. Ma venuta meno quella prospettiva il governatore, che è un animale politico di rarissima intelligenza, ha compreso che la determinazione della Schlein a mettere in discussione il terzo mandato, passando per il commissariamento del Pd campano, gli avrebbe potuto restituire praterie sul piano mediatico e politico.

De Luca è stato perfetto, perché dopo aver reagito con furore agli attacchi del Nazareno, nelle settimane e nei mesi appena successivi alle primarie, ha progressivamente abbassato i toni come a voler aprire ad una necessaria mediazione sul congresso regionale. S’è fatto agnello per trasformarsi in lupo al momento opportuno.

In realtà ha scommesso sul tempo, che in politica è tutto. Ha compreso che con il passare dei mesi Elly Schlein si sarebbe trovata in grande difficoltà, vittima di una fisiologica crisi di rigetto, ed ha semplicemente atteso che si determinassero le condizioni per la resa del commissario. E quando Misiani ha ceduto è passato al contrattacco.

Ma intanto ha potuto adottare questa strategia sulla testa dei suoi stessi colonnelli, intanto ha potuto scommettere sulle difficoltà della segretaria del suo stesso partito, perché nella sua Campania il centrodestra non esiste. Se De Luca si fosse trovato nelle condizioni di fronteggiare l’attacco del Nazareno al suo sistema di potere dovendo contestualmente tenere testa ad una opposizione riconoscibile non avrebbe potuto far altro che giocare in difesa, non avrebbe avuto alternativa a cercare una tregua, il giusto compromesso con il suo partito.

De Luca sa che gli basterà ottenere la ricandidatura per restare al timone della Regione anche dopo il 2026 perché del centrodestra che fu non è rimasto nulla e quel che è rimasto è organico al suo sistema di potere. Sa che questo Pd non può fare a meno di lui, dei suoi voti e del suo potere, sa che anche qualora Elly Schlein dovesse sopravvivere alle europee dovrà comunque, in un modo o nell’altro, adeguarsi alla legge dello Sceriffo. Perché il grande errore che la segretaria ha commesso è stato quello di immaginare che dinanzi al diktat del Nazareno sul terzo mandato molti deluchiani avrebbero abbandonato il capo. Ha scommesso sul dovere dell’appartenenza senza considerare che a queste latitudini chi ti dà il pane ti è padre. Dunque non esiste appartenenza senza gestione.

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