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Opinioni

La lingua morta che parla De Luca

Le parole sono importanti perché danno significato al mondo, plasmano la realtà. E molto spesso le parole spiegano molto più di quel che significano, soprattutto in politica. Proviamo, muovendo da questo presupposto, ad andare alle radici della contrapposizione tra il governatore della Campania e la segretaria nazionale del Partito democratico. Una contrapposizione insanabile che si risolve in un dialogo impossibile tra linguaggi inconciliabili

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Le parole sono importanti perché danno significato al mondo, plasmano la realtà. E molto spesso le parole spiegano molto più di quel che significano, soprattutto in politica. E’ nel linguaggio che sovente si trova la chiave per semplificare la complessità, per rispondere a quesiti che sfuggono ad una lettura superficiale dei fatti, perché il linguaggio disvela orizzonte ed intendimenti.

Proviamo, muovendo da questo presupposto, ad andare alle radici della contrapposizione tra il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, e la segretaria nazionale del Partito democratico Elly Schlein. Una contrapposizione insanabile che si risolve in un dialogo impossibile tra linguaggi inconciliabili.

Per un verso c’è un leader politico ormai sull’ottantina, un governatore al secondo mandato già candidato per il terzo, che considera il partito uno strumento a servizio di Palazzo Santa Lucia, che reputa la dimensione istituzionale prevalente su quella politica, che, in buona sostanza, nel corso degli ultimi tre lustri ha fatto del Pd regionale un partito a sua immagine e somiglianza, costruendo alleanze sul trasversalismo, prive di una cornice politica definita, e della Campania il suo principato. Un leader, De Luca, che di volta in volta si è trovato a ragionare con segretari nazionali, da Renzi in poi, partiti con l’ambizione di bonificare il Pd campano dall’egemonia dei signori delle tessere e dei cacicchi ma che alla prova dei fatti hanno ceduto senza colpo ferire alle sue pretese, si sono arresi dinanzi alla prospettiva di perdere il sostegno del sistema di potere deluchiano.

Dall’altra parte c’è invece una giovane segretaria, eletta nei gazebo a dispetto del voto dei circoli, una donna che non proviene dagli apparati, che non è ex di nulla e che s’è presa il partito promettendo di costruire un Pd nuovo, credibile perché fa quel che dice, libero dall’ossessione di governare, un Pd che cerca la via della credibilità nel rinnovamento, nella forza di parole radicali che ridisegnano la società, un Pd che ripudia il trasversalismo, che si ritrova nel primato delle regole condivise, che scommette sulla partecipazione di milioni di donne e uomini che in questi anni si sono rifugiati nel disimpegno o che hanno cercato altrove risposte possibili alle proprie istanze. Per Elly Schlein non esistono eccezioni possibili, la dimensione politica prevale sempre, a dispetto persino della convenienza contingente, su quella istituzionale. Non esistono personalismi ma esistono le regole, esiste la linea del partito a cui tutti devono adeguarsi costi quel che costi, perché la posta in palio è l’alternativa a questa destra, è la vittoria alle prossime elezioni politiche. Un obiettivo che pretende pazienza, lavoro, tempo e che va costruito passo dopo passo anche accettando il rischio di perdere nell’immediato pezzi di consenso strutturato.

Potremmo sintetizzare affermando che De Luca utilizza il linguaggio della conservazione mentre Elly Schlein parla la lingua della politica. Potremmo dire che il primo ricorre alla retorica dell’Io, mentre la segretaria a quella del Noi. Potremmo sottolineare che sino ad oggi De Luca non è riuscito ad argomentare le ragioni del proprio dissenso se non con il dileggio, non ha mai contestato nel merito la linea del partito su nessuna delle grandi questioni in cima all’agenda del Paese e del Mezzogiorno, perché non ha ragioni politiche da porre sul tavolo. La segretaria, invece, ha di volta in volta argomentato ogni decisione, dal commissariamento del Pd campano al ridimensionamento di Piero De Luca nell’ambito dell’ufficio di Presidenza alla Camera, rivendicandone la logica politica in funzione della linea sulla quale ha costruito la propria vittoria, ovvero della visione di partito che interpreta.

Ma in fin dei conti è la differenza di orizzonte che dà ragione delle parole dell’uno e dell’altra. Quello di De Luca è il tramonto, quello di Elly Schlein è l’alba. Per un verso l’oggi, per altro il domani.

E la sintesi perfetta di questo conflitto, paradossalmente, ci viene fornita proprio dal governatore, ovvero dalle poche righe con le quali volle commentare la disastrosa sconfitta alle elezioni politiche dello scorso settembre: parliamo una lingua morta, disse in un passaggio. Morta, proprio come la lingua che sta parlando da quando Elly Schlein ha preso il timone del Pd.

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