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Cittadini

Luigi Trusio tra calcio, politica e movida: Benevento negli aneddoti e nei pensieri di un giornalista di strada

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“Ho trasformato le mie passioni nel mio lavoro”. Da anni, ormai, la sua firma e il suo volto sono associati ai colori giallorossi. Da bordocampo, dagli studi televisivi e dalle pagine de ‘Il Mattino’ Luigi Trusio ha raccontato gioie e dolori della Strega. Dalla C alla A.  E continua a farlo. Non c’è solo il Benevento, però, nel suo percorso umano e professionale. C’è Benevento in tante delle sue sfaccettature. Da quella leggera della movida a quella impegnata da Consigliere Comunale a palazzo Mosti.

Un viaggio iniziato negli anni Novanta, tempi in cui non c’erano i siti e le occasioni per provare a fare il giornalista non erano certo tante.

Ho iniziato con “Il Giornale di Napoli”, nel 1995. A guidare la redazione beneventana c’era Bruno Menna, il mio maestro. Lui ad aprirmi la mente, insegnandomi che un buon giornalista deve saper scrivere di tutto. Lezione che mi ha aiutato tanto nel mio percorso professionale, proseguito con il “Quotidiano di Benevento”. Quanto al calcio, invece, considero Rino Di Dio la mia guida: i suoi pezzi erano dei veri e propri editoriali. Fu un amico a chiedermi di dare una mano, consapevole della mia grande passione per il calcio. Passione nata da bambino, spulciando gli almanacchi di mio padre: conoscevo tutte le formazioni e i nomi di tutti gli stadi d’Italia. Non potevo immaginare, all’epoca, che molti poi li avrei visitati, da tifoso e da cronista. La prima partita seguita, però, fu Real Airola-Caudina Casale, giocata a Montesarchio, campionato di Promozione: 2 a 0 per l’Airola. Poi tanta carta stampata ma anche televisione, con Media Tv – con Reno Giananntonio ma anche Stream”.

Non solo sport, dicevamo. Di te ricordiamo ancora la rubrica per “Il Mattino” sulla movida nel Sannio, eravamo agli inizi degli anni Duemila. Quanto è cambiata la Benevento del divertimento?

“Tutto ebbe inizio su impulso di un amico, Pietro Palermo, all’epoca gestore del Simbé. Dopo qualche articolo sulle iniziative nel suo locale, al giornale mi chiesero di ampliare lo sguardo. Nacque così ‘Premiata Notteria Sannita’, rubrica pubblicata anche sulle pagine di Avellino, Caserta e Salerno. Un modo per invitare la gente a frequentare Benevento. Funzionò e tanti locali aderirono, inviandoci i programmi delle serate. Era una movida diversa, andavano forte le discoteche. Oggi non è più cosi, penso per un dato generazionale: i giovanissimi hanno altre esigenze e chi frequentava in quegli anni le discoteche è cresciuto: cerca ancora il divertimento, ma in luoghi e forme diversi. Il resto lo ha fatto il Covid”.

Quanto ha influito il Covid nella rielaborazione del nostro modo di trascorrere il tempo libero?

“La pandemia e i coprifuoco hanno spinto tante persone a muoversi prima perché poi bisognava rientrare a casa. Questa abitudine è rimasta, almeno a Benevento. I locali si sono adeguati e così sono cresciuti gli aperitivi, le apericena e le cene-spettacolo, un po’ sulla scorta di ciò che già accadeva al Nord. E poi registro un ritorno ai ‘live’. La gente rivuole i concerti, come accadeva anni fa”.

Può essere utile anche a una ripresa della scena musicale beneventana

“Siamo sulla buona strada. Basta chiedere a un cantante o a un gruppo quante serate impegnate aveva prima e quante ne ha ora. Ti risponderà che è cambiato tutto. La musica dal vivo si è ripresa il suo spazio nelle serate. E la qualità sta crescendo, vedo anche tanti ragazzi approcciarsi a sonorità nuove, contemporanee. Fortunatamente, però, c’è ancora chi suona il rock del passato. Che poi è quello che amo io e che mi porta a girare l’Italia e l’Europa per seguire concerti”.

Giacché parliamo di musica, è d’obbligo una domanda su Riverberi – ci sarà nel 2023? – e sulla sua collaborazione con Luca Aquino

“Riverberi ci sarà. Il lavoro è ancora in una fase embrionale perché sono uscite le linee guida dei POC, ma il bando ancora no. Anche con Riverberi, per collegarci a quanto detto prima, proveremo a uscire un po’ dallo steccato prettamente jazz per abbracciare diverse influenze musicali. Quanto a Luca, ci siamo trovati nel 2009 quando moderai la conferenza stampa di presentazione del suo album, Lunaria. La nostra collaborazione è iniziata così e va ancora avanti. Luca è un ragazzo di una sensibilità straordinaria, artistica e personale. La musica è parte della sua anima, altrimenti non ti spieghi come sia possibile per un autodidatta raggiungere l’eccellenza. Il Sannio deve tenerselo stretto. Per me è un motivo di orgoglio essere al suo fianco. E poi mi deve il titolo di un album”.

Racconta

 “Eravamo al bancone di un pub, davanti a una birra. Cercava il nome per il suo primo album in acustico. Più “Aqustico” con la ‘Q’ di te non ce n’è – gli dissi. Accettò il consiglio. Nei credits infatti c’è il ringraziamento a Luigi Trusio per la ‘Q’.

Veniamo al Benevento Calcio: un anno terribile, oggi potrebbe concretizzarsi matematicamente la retrocessione in C…

“Una tristezza infinita. Un dispiacere che non si può raccontare a parole. Ci hanno sottratto un patrimonio inestimabile. Un dramma sportivo e sociale, un danno inquantificabile per la città e la provincia. Mi riservo di fare analisi più lucide nei prossimi giorni, perché in questo momento, a caldo, potrei dire cose spiacevoli e prevalere il tifoso che è in me. Due volte in vita mia ho pianto per il Benevento. Una è stata ieri. L’altra il 30 aprile 2016, ma di gioia. Un disastro in progressione, con una serie interminabile di errori e scelte sbagliate che ci ha condotto a questo tragico epilogo. Un vero peccato, perché bastava davvero poco per mantenere la categoria. Il conto più salato lo pagano i tifosi veri, quelli che sono sempre stati vicino alla squadra e ci hanno creduto, illudendosi, fino all’ultimo istante. Non sappiamo neppure cosa ci riserverà il futuro. Una retrocessione purtroppo strameritata: le ultime 11 gare senza mai vincere, unica squadra ad avere questi numeri terrificanti. Una resa incondizionata prima del tempo, senza neppure lottare, da vigliacchi. Per fortuna la carriera di alcuni di questi calciatori, viziati e superpagati, si chiude qui, perché non li vorrà più nessuno. Altri purtroppo resteranno sul groppone, perché con quei contratti sarà difficile mandarli via. Che dire, sono a pezzi come tutti gli innamorati del Benevento che ho sentito e incontrato in queste ore”.

Ne è trascorso un po’ di tempo da quando hai cominciato a scrivere di Strega e a parlarne in Tv. Nel frattempo ha scalato tutte le categorie professionistiche, fino addirittura alla Serie A: è cambiato anche il tuo modo di raccontarne le gesta?

“E’ cambiato il contesto. Prima per avere un’intervista era sufficiente andare allo stadio e aspettare la fine dell’allenamento. Allenamento che era sempre a porte aperte e per noi giornalisti era dunque un continuo ritrovarsi. Le trasferte si organizzavano insieme, allo stadio si andava insieme: eravamo un gruppo di eterni ragazzini. Consentimi allora di ricordare amici che purtroppo, in questo percorso, abbiamo perso: Antonio Buratto, Marco Santamaria, Gianluca Mannato, Guerino Pietraroia. Chissà quante ne starà dicendo, l’amico Buratto, a me e a Ettore Intorcia. Lo prendevamo in giro: “Vedrai che ti dedicheranno la Tribuna Stampa”. Ora che è successo davvero ci manca tantissimo. Altri tempi, il calcio è cambiato e lo rimpiango. Quanto a me, resto affezionato al giornalismo di strada. Ancora oggi utilizzo poco i social e tratto senza entusiasmi un comunicato stampa. La notizia mi piace cercarla, scavarla, darla in anteprima. Più è folle il modo con cui ci arrivo e più mi diverto”.

E raccontiamola qualche follia

“Una decina di anni fa, per seguire un allenamento a porte chiuse e avere dritte sulla formazione mi arrampicai su un albero e… caddi, facendomi male alla gamba. Ma quella che ancora mi diverte riguarda la mancata riconferma di Bucchi. Venni a sapere che si sarebbe incontrato in un ristorante con Vigorito: pagai il pranzo a due amici che si sedettero vicino, raccontandomi poi tutto. La mattina seguente, dopo aver letto l’articolo, il mister mi chiamò per chiedermi se mi fossi nascosto sotto al tavolo”.

Ai giornalisti sportivi spesso si rimprovera di essere troppo amici dei calciatori: c’è un giocatore del Benevento con il quale hai costruito un legame personale importante, proseguito anche una volta terminate le vicende calcistiche?

“Con un calciatore amico lo ero già prima e parlo ovviamente di Imbriani. Un’amicizia iniziata da bambini: abbiamo giocato insieme nel Parco De Santis prima e nella Vigor Sannio poi. Nel 1990, al termine della finale del campionato provinciale esordienti giocata al Santa Colomba e persa ai rigori contro il Club Napoli Foglianise (segnai anche il gol dell’1 a 1) venne negli spogliatoi Pasquale Casale: voleva far fare un provino per il Napoli al nostro numero 5: era Carmelo. Una delle emozioni più forti della mia vita l’ho provata la sera in cui tornammo da Perugia – dove avevo pianto tutte le lacrime che avevo – per l’ultimo saluto tra Carmelo e i tifosi. Parlai alla curva con le mani che tremavano, non riuscivo a tenere il microfono. Ancora mi chiedo dove trovai la forza per parlare e l’unica risposta che trovo è che a guidarmi fu Carmelo”.

E amicizie con calciatori conosciuti a Benevento?

“Due: Con Mimmo De Simone, a cui presentai anche la sua attuale moglie, e con Mario Massaro con cui c’è stata sempre un’intesa speciale. Parlavamo sempre in dialetto ma in realtà per intenderci era sufficiente uno sguardo. Avevo poco più di venti anni, crescendo sono stati più gli screzi che i legami”.

Passiamo agli screzi, allora

“Ce n’è uno che non mi vede direttamente protagonista. A una festa per l’ultimo dell’anno, Mastrolilli – forse perché euforico – prese di mira un collega nella convinzione che fossi io: gliene disse di ogni. Il giorno dopo lo chiamai per chiedergli se mi aveva cercato, ma ritrattò tutto. Sempre per Mastrolilli, poi, litigai con Rumignani che lo schierò subito da titolare, appena acquistato, ‘panchinando’ Sossio Aruta. Criticai fortemente quella scelta e in una trasmissione in Tv il mister arrivò a intimare il conduttore di togliermi il microfono. Per restare alle scelte di campo, anche Menolascina mi tolse la parola – non rispondendo più alle mie domande – perché sollecitavo l’impiego di un giovane prodotto del vivaio, Alessandro Bruno”.

Calcio, musica, movida: è il momento di parlare di politica

“Una palestra di vita. Per dieci anni sono stato Consigliere Comunale ed è stata un’esperienza bellissima. Il mio contributo pure l’ho dato, penso alla questione di ‘Santa Clementina’, dove abbiamo evitato una inutile colata di cemento con un progetto di housing sociale che non aveva senso di esistere; alla vicenda della ‘San Filippo Neri’, partita proprio con una mia iniziativa e oggi all’attenzione della magistratura; all’impegno per il decoro delle mura della Città. E’ tanto? E’ poco? La realtà è che quando entri in Consiglio pensi di poter cambiare il mondo, ma poi ti scontri con il muro della burocrazia che spesso frena tutti gli entusiasmi. E poi…”.

E poi?

“La politica, lo dicevo prima, ha contribuito alla mia formazione. E mi ha portato a fare tanti incontri piacevoli. Ma condiziona troppo i rapporti umani. E io non concepisco il principio secondo cui “o sei con me o sei contro di me”. Mi spiego: in un Consiglio Comunale, confronto e scontro rappresentano il sale della discussione: non devono mancare. Ma non possono trasformarsi in odio e in livore una volta fuori dalle mura di palazzo Mosti. Le idee e i convincimenti personali non dovrebbero incidere sui legami personali”.

Ci stai dicendo che escludi ogni ipotesi di ritorno all’impegno diretto?

“Attualmente non ci penso proprio. Per il futuro mai dire mai. Vivo molto di sensazioni e istinti e poco di programmazione”.

Chiudiamola così: cosa cambieresti di Benevento e a cosa – di Benevento – non rinunceresti mai?

“Sono innamorato di questa Città, con i suoi pregi e i suoi difetti. Se proprio devo, di Benevento cambierei quella tendenza alla critica costante e continua, che prescinde dal merito delle questioni e non è suffragata da elementi né da approfondimenti. Che si parli di una persona o di una iniziativa. L’essere contro per sentito dire proprio non riesco ad accettarlo. Quanto alle rinunce, io non potrei mai fare a meno dei rapporti umani che qui ho costruito. Dalla famiglia alle amicizie. E infatti a 65 anni – ho già avvisato tutti – aprirò un pub che fa musica per invecchiare bene con i miei amici. Alla Città, invece, auguro di non rinunciare mai alla sua identità, alla sua storia, alla sua grande bellezza”.

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