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ECONOMIA

Nel Sannio più pensionati che lavoratori: il tempo stringe e il dato è preoccupante

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Agli inizi dello scorso mese di dicembre vi avevamo raccontato dell’inverno demografico del Sannio. Un articolo nel quale commentavamo la ricerca condotta dalla Fondazione Think Tank Nord Est che raccontava di come in Italia e, soprattutto, nel Mezzogiorno avviene una costante ed inesorabile riduzione del numero di residenti e di nascite.

A questo approfondimento, oggi aggiungiamo un altro tassello grazie alla Cgia di Mestre che ci racconta che nel Sannio, ma anche a livello nazionale, il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi. I dati sono riferiti al 1° gennaio 2022. In sostanza, ci sono più pensionati che lavoratori: uno squilibrio che non fa bene al Paese e che rischia di affossare ulteriormente le economie delle aree più deboli come la nostra.

Nel dettaglio, i numeri dicono che nella provincia di Benevento il saldo è negativo per 34mila unità. In altre parole, il numero di pensioni erogate (115mila) sono 34mila in più rispetto al numero di occupati che si fermano ad 81mila. Un dato che accomuna l’intera regione che registra un saldo negativo pari a -226mila. Napoli è maglia nera con un saldo tra pensioni e occupati di -137mila,  segue Salerno con -38mila, poi il Sannio ed chiudono Avellino con -13mila e Caserta -5mila.

A livello territoriale tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati – spiega la ricerca -. In termini assoluti le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania, Calabria (-234 mila), Puglia (-276 mila) e Sicilia (-340 mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (- 36 mila), Umbria (- 47 mila) e Liguria (-71 mila) presentano una situazione di criticità. Per contro, tutte le altre sono di segno opposto: le situazioni più “virtuose” – vale a dire dove i lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate – si scorgono in Emilia Romagna (+191 mila), Veneto (+291 mila) e Lombardia (+ 658 mila).

In linea di massima – sottolinea lo studio – le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Per quanto concerne il risultato “anomalo” del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore e che spesso molti pensionati emigrati al nord tornano per godersi il meritato riposo nei loro paesi di origine aumentando la platea degli anziani. Va infine evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di un milione e 700 mila occupati che dopo essere andati in pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l’attività lavorativa in piena regola.

Questa situazione ci porta ad un’altra considerazione: non solo ci sono più pensionati che lavoratori, ma quelli che sono nel Sannio guadagnano anche di meno rispetto alla media nazionale. L’ultima rilevazione del 2015 raccontava che nella provincia di Benevento la media era di 14.642 euro annui con uno  scarto del – 969 euro rispetto al resto del Paese.

Ancora: l’aumento dei pensionati, la riduzione dei giovani in età produttiva e un reddito più basso potrebbero portare al cortocircuito economico per alcuni settori in particolare. A livello nazionale, l’attenzione si concentra in particolar modo sulla crescita della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura/assistenza alla persona. A livello locale, invece, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, invece – spiega la Cgia -, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, facendo così “felici” molti istituti di credito. Una situazione complessa, dunque, ma che necessità di risposte immediate a tutti i livelli istituzionali.

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