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Aree interne, l’associazione Ditaubi: “Il futuro alle spalle o il presente del futuro?”

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“Per le Aree interne il futuro può trarre forza dal passato. O potrebbe ricalcare il presente, di spopolamento e desertificazione sociale, anche per la netta flessione dei nuovi nati: quella denatalità che è fenomeno nazionale ma colpisce più che altrove, inducendo saldi negativi tra vivi e morti sempre più preoccupanti. Il PNRR fornisce (meglio fornirebbe) le risorse finanziarie per cambiare storia. Ma servono idee e coordinamento che invece non sembrano ispirare le scelte delle amministrazioni locali e degli ambiti ottimali, oggi i veri soggetti depositari del proprio destino”. Lo scrivono in una nota Michele Perucci e Giuseppe Nenna, rispettivamente presidente e assistente coordinatore dell’associazione Ditaubi, a margine della riflessione dei vescovi sulle “Aree interne”, in programma fino ad oggi pomeriggio al Centro La Pace di Benevento.

“Idee non difficili da individuare – spiegano Perucci e Nenna – ma non così facili da tradurre in fatti, anche implementando modelli di governo del territorio emulativi delle migliori pratiche, o del tutto nuovi: si tratta di migliorare la mobilità, le viabilità e la connettività ultraveloce ovunque, realizzare nuovi servizi di assistenza in emergenza, potenziare la capacità amministrativa degli enti locali e le competenze che vi operano.

E tuttavia la riflessione avviata dalla Chiesa beneventana, che interroga la Chiesa italiana, pone una questione cruciale per le aree interne meridionali ma che ormai tocca anche le ricche valli alpine così come i comuni della dorsale appenninica, spesso gioielli destinati all’estinzione od all’abbandono se non si cambia sguardo e capacità di assumere le scelte migliori. Le tecnologie aiutano. E tuttavia non sostituiscono le scelte.

La finanza privata idem, le PPP pure. Anche solo ipotizzando la diversificazione ed il rinnovamento delle vocazioni territoriali, l’impatto dei cambiamenti climatici che potrebbero spingere a nuovi incastellamenti: sempre che le reti di servizi essenziali siano adeguate ad accogliere tanto le popolazioni residenti che quelle intermittenti, non necessariamente di ritorno, anche di scoperta, in quanto capaci di vivificare e trasformare quelle comunità: forse non tutte, certamente parecchie di quelle, per la qualità delle culture materiali che si stanno perdendo e le nuove culture della sostenibilità, ambientale ed alimentare, provano a non disperdere, come emerge in molte espressioni dei nuovi stili di vita, lenti, inclusivi anche nei confronti dei bersagli della cultura dello scarto, e/o del turismo dolce (un universo di esperienze e pratiche di buon vivere o sportive che coinvolge milioni di appassionati, che tessono mille diverse reti relazionali).

Si può o si potrebbe? Si può e si potrebbe se si vuole e se ci si impegna duramente e pressantemente, senza cincischiare e con intelligenza. Esaltandone le differenze e le specificità”, concludono Perucci e Nenna.

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