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Fortore

Reino e il suo appuntamento con la storia…Sannita

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Reino cala i suoi assi nel percorso – mostra “Reino al tempo dei Sanniti e dei Romani” dal 29 luglio al 17 agosto, inserito nel più vasto programma della 40ª edizione della Festa dell’Emigrante “Rotte che si incontrano” finanziato dal POC Campania – programma operativo complementare 2014-2020 – linea strategica rigenerazione urbana, politiche per il turismo e cultura – avviso pubblico programma unitario di percorsi turistici di tipo culturale, naturalistico, ed enogastronomico di portata nazionale ed internazionale e che vede il partenariato dei comuni di Baselice, Molinara, Montefalcone di Val Fortore, Reino con capofila Foiano di Val Fortore.

E’ stata la volta della professoressa Paola Di Giannantonio cultrice, saggista e studiosa di tradizioni popolari, usi e costumi, ad inaugurare i giorni agostani degli eventi reinesi con la mostra – convegno “La Tavola Osca e la religiosità degli antichi Sanniti”, uno studio profondo e lungo su tradizioni, linguaggi, idiomi, usi e costumi delle popolazioni pre-romaniche nell’area vasta di Campania, Molise e Abruzzo, attraverso un viaggio fisico e documentale che diviene da semplice curiosità e interesse, un ventennale viaggio dovuto al proprio dna, ricostruendo, trovando ed “incollando” tasselli di un puzzle che non si insegna nelle scuole.

Riappropriazione dell’orgoglio e della dignità dei Sanniti, e non voler dare manforte a quel Silla, il quale non contento dei tremila uomini barbaramente uccisi, decapitò i condottieri sanniti e mariani, nel cieco intento di volerne annientare persino il ricordo. Ma una pagina scritta, a maggior ragione se con il sangue, seppur a brandelli, è parte di un libro che va letto e arricchito con ricerca storica, indagini meticolose, contestualizzato, poi smembrato e ricomposto, diffuso, per una ricostruzione fedele del dna storico, territoriale, sociale ed economico, e in qualche modo ristabilisca l’autentica verità in una rilettura del concetto di partecipanti, vincitori e vinti.

La Di Giannantonio ne La “Tavola osca di Capracotta”, questo il titolo del suo lavoro editoriale, affronta la traduzione del testo scritto in osco, la lingua parlata dai sanniti pentri, alla fine del primo millennio a.C. e dona al lettore la consapevolezza di quanto già, circa 2.200 anni fa, vi fosse una visione moderna della sacralità della terra e sue manifestazioni, quanto il miracolo della “madre” fosse elemento da preservare, unitamente al rispetto dei suoi ritmi. Nell’appuntamento reinese incanta con i suoi toni entusiasti e ricordi fervidi, aneddoti e poi dovizia di particolari, sono tra i “ricostituenti” della manifestazione. Sanniti, pentri, marsi, peligni, piceni, Viteliu è richiamo per Nicola Mastronardi. Termini cari, motivo di orgoglio e fervore, passione e ragione di una vita, in questo appuntamento con la storia reinese. “E’ gioia e onore averlo a Reino in questa occasione”, dischiara Antonio Zerrillo, presidente dell’APS-ETS Universitas Terrae Reginae, da anni impegnato nel dibattito sui popoli preromanici apportando un valido contributo in termini di ricerca ed analisi storica sull’argomento. Con loro al tavolo dei relatori la professoressa Adele Calzone 

che con parole di ammirazione, spesso rotte dalla commozione, hanno rapito un pubblico attento, partecipativo per oltre due ore, ragionando insieme, dentro e fuori la storia, difronte alle testimonianze ed un unico soggetto, i sanniti. Nicola Mastronardi, classe 1959 è nato ad Agnone (IS). Laureato in Scienze politiche a Firenze, e’ membro dell’Accademia dei Georgofili di Firenze per gli studi storici sulla civiltà pastorale appenninica. È scrittore, giornalista e autore di importanti programmi televisivi per la Rai. Il suo romanzo d’esordio Viteliú. Il nome della libertà, è divenuto un caso letterario, ha vinto cinque concorsi letterari tra cui il Premio “Salvatore Quasimodo” 2017 ed è alla quarta ristampa. “Viteliú”, termine osco da cui derivò la parola latina Italia, è un viaggio nel poco noto e meno indagato mondo dei popoli italici.

E’ affermazione di libertà, autodeterminazione e coraggio. E sono proprio gli italici i protagonisti di questo romanzo d’esordio: i sanniti, i marsi, i peligni, i piceni, i valorosi dodici popoli dell’Appennino centrale, che scatenarono la prima guerra civile a Roma, in nome di un sogno chiamato libertà. Il romanzo inizia diciassette anni dopo quel tragico genocidio, i protagonisti un vecchio cieco, l’embratur sannita Papio Mutilo e il nipote Marzio, i due ripercorrono la strada della memoria delle genti che costruirono la prima nazione cui fu dato il nome di Italia. Quella memoria che non ha bisogno degli occhi, ma di tutto il sentire dell’anima, affondare nei meandri del proprio io, confrontarsi e scontrarsi con l’altro da sé. Si leggono con pathos brani tratti dal libro affidati alla soprano Ninfa De Masi e al cultore di storia locale, cantautore e animatore del gruppo folk reinese “A Ziarella”, Giovanni De Nunzio.

Segue ampio confronto con il pubblico, rapito ancora una volta dalla straordinarietà della storia e dalla determinazione dell’autore, impegnato nel terzo libro-saga. Parla poco di sé, ma si dilunga, con occhi accesi, sull’importanza del parlarne nelle scuole di interessare i ragazzi, perché solo dalla conoscenza del passato si può costruire un futuro migliore, mai figlio di ripercorsi storici atroci. A sugello, il saluto del sindaco e professore Antonio Calzone – “Reino e i suoi cittadini, anche in questa occasione, vogliono essere portatori sani di cultura e di ricerca storica, lo fanno con abnegazione ed impegno civico. La conoscenza è salvifica, è un’arma potente, che unitamente al coraggio e all’orgoglio sono in grado di scacciare il mostro della guerra, è nostro dovere ribadirlo”.

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