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SOCIETA'

L’impatto del primo lockdown sulla vita degli italiani: la ricerca dell’Unifortunato

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Durante il primo lockdown vissuto in Italia a causa della pandemia da Covid-19 le persone hanno percepito e valutato in modi molto diversi quanto stava accadendo: c’è chi ha invocato l’intervento nelle istituzioni, chi, al contrario, ha avuto un sentimento apocalittico e si è sentito paralizzato dalla paura di ammalarsi, chi ha valutato più opportuno un atteggiamento individualista interessato a tutelarsi autonomamente, e chi ha sentito importante mantenere una visione responsabile, equilibrata e con uno spiccato senso di solidarietà collettiva. Queste modalità rappresentano dei profili dal punto di vista psicosociale e culturale. Ad esplorarli ed individuarli è stata una ricerca condotta su un vasto campione di 2.125 persone sotto la guida del prof. Raffaele De Luca Picione, dell’Università Giustino Fortunato di Benevento, con la collaborazione delle professoresse Elvira Martini e Sara Cicchella dell’Unifortunato e con la partecipazione di colleghi dell’Università norvegese di Oslo e dell’Università australiana di Sydney. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica ‘Community Psychology in Global Perspective’.

A sorpresa il profilo più ampio degli intervistati, ben il 46,4%, fa parte del gruppo dei responsabili e solidali, mentre gli individualisti sono stati il 21,5% del campione, gli apocalittici il 19,3% e gli interventisti il 12,6%.

La ricerca è stata condotta attraverso un questionario durante il primo lockdown italiano, tra il 9 marzo e il 4 maggio 2020, periodo che – come ricordiamo – è stato caratterizzato da forti restrizioni della vita individuale, familiare e sociale, ma soprattutto da un diffuso stato di incertezza e disorientamento. Lo scopo dello studio è stato quello di “esplorare la percezione psicosociale del rischio associato alla diffusione del Covid-19 durante il lockdown in Italia e analizzare un’esperienza totalmente nuova per tutti i partecipanti, che è stata caratterizzata da una profonda di crisi di significato” ha osservato De Luca Picione che è professore associato di Psicologia Dinamica e responsabile del Corso di Laurea Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche dell’Università Giustino Fortunato. La ricerca ha avuto inoltre l’obiettivo di “individuare possibili modelli ricorrenti delle modalità di percezione e valutazione della situazione di emergenza, al fine di mappare profili che non si riferiscano tanto all’identità di singoli individui ma a specifici modelli socio-culturali, capaci di dare un senso all’esperienza della crisi pandemica. Ovvero, identificare modelli simbolico-affettivo-cognitivi che esprimano modalità ricorrenti all’interno del campione esaminato”.

Il questionario presentava una serie di domande sulla paura, il sentimento di disorientamento e di incertezza, la fiducia verso la politica e la scienza, il sentimento di spiritualità e di fede, le aspettative verso il futuro, il sentirsi capaci di decidere e di agire, il senso di solitudine e quello di solidarietà, etc.

Dalla ricerca sono emersi quattro profili che fanno riferimento a diversi modelli di valutazione della situazione e della percezione di rischio:

Responsabili e Solidali (46,4% del campione intervistato). Rispetto alla percezione del rischio, la posizione espressa dalle persone aderenti a questo profilo sembra contrastare il senso generale di allarmismo. Lo Stato è considerato il principale ente preposto alla gestione della crisi e c’è un buon ottimismo sull’esito, sia nell’immediato che nell’ulteriore futuro.

Individualisti (21,5%). Secondo le valutazioni di questo profilo le misure di sicurezza adottate non sono state tempestive e, inoltre, la loro efficacia è stata modesta. Gli individualisti hanno avuto grande paura del contagio e di ammalarsi. Hanno sperimentato disorientamento, ansia e incertezza e non sono stati molto ottimisti per il futuro. Non si è provata fiducia nelle scelte e nelle azioni dello Stato, così come anche il sentimento religioso non è stato di alcun conforto. L’orientamento è stato quello di tutelarsi autonomamente.

Apocalittici e disorientati (19,3%). Questo profilo è caratterizzato da un’intensa preoccupazione che ha invaso ogni ambito delle attività in questione. C’è grande paura, grande ansia e un senso di mancanza di controllo a causa dell’incertezza. Queste persone hanno ritenuto impossibile tornare alla normale vita quotidiana e di riprendere le normali relazioni sociali. Anche secondo questo profilo le misure di sicurezza e prevenzione adottate dalle istituzioni sono considerate intempestive e inefficaci.

Coercitivi e interventisti (12,6%). Questo profilo è caratterizzato dalla piena fiducia nella gestione dell’emergenza con il pugno fermo da parte delle istituzioni politiche. La caratteristica di questo profilo è il pieno ottimismo sulla risoluzione della crisi e una buona fiducia nel futuro con la certezza di un pieno ritorno alla normalità.

La ricerca ha messo in mostra come sia stata riscontrata una correlazione tra i diversi profili e alcune caratteristiche sociodemografiche dei partecipanti. Ad esempio il profilo dei Responsabili/Solidali è stato quello preferito dai giovani e dai lavoratori autonomi, mentre quello dei Coercitivi/Interventisti è stato preferito dagli anziani. I profili degli Individualisti e quello degli Apocalittici/Disorientati presentano invece principalmente una correlazione significativa con il genere femminile, il ruolo di casalinga, la residenza nel Sud Italia. Questi aspetti, ha rilevato il prof. De Luca Picioneforniscono delle informazioni molto interessanti perché ci invitano a fare diverse considerazioni, ad esempio: i giovani sono coloro che hanno sentito maggiormente il senso di responsabilità e l’importanza di una soluzione attenta e solidale verso le esigenze di tutti. Inoltre coloro che già valutavano la loro precedente condizione come caratterizzata da una serie di vulnerabilità e difficoltà connesse al loro genere, allo status e al contesto sociale di appartenenza hanno esperito maggiormente un senso di fragilità, di abbandono e paura”. La ricerca ha contribuito a mettere in evidenza la complessità e la diversità delle reazioni (in termini cognitivi, affettivi e relazionali) che le persone hanno vissuto, fornendo anche elementi di comprensione di quanto continua a succedere rispetto all’evoluzione dell’emergenza sanitaria.

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