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Occupazione scuole, la lettera di un ex liceale: “Apriamo gli istituti, non li chiudiamo”
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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un ex liceale, Danilo Travaglione, in merito all’occupazione degli istituti scolastici beneventani.
“In questi giorni abbiamo visto ragazzi e docenti scendere in piazza, organizzare lezioni alternative, partecipare ai cortei per protestare contro la situazione gravosa che il nostro Paese sta attraverso e in particolar modo contro il ddl 953 (ex Aprea) e sulla cosiddetta riforma Profumo; tutto fatto con grande dignità, nello spirito che deve caratterizzare un’agitazione studentesca.
La protesta in questo fine settimana, però, si è evoluta con modalità, sicuramente ben conosciute al mondo della scuola, ma differenti da quelle con cui si era partiti.
Non intendo discutere sulla legalità delle azioni di forza che stanno caratterizzando la scuola beneventana; anche perché credo che non sia questo il punto su cui bisogna discutere, almeno in questo momento.
Il problema focale è la scuola stessa. Dobbiamo interrogarci sull’effettivo ruolo della scuola in un momento di crisi, come questo, che vede studenti stufi ma anche dirigenti, professori e personale Ata indignati.
Spesso si ritiene che la scuola abbia perso quel valore che dovrebbe essere proprio di un’istituzione così importante, e spesso la colpa viene imputata a leggi, provvedimenti e atti normativi; personalmente, però, credo che ciò che sta accadendo in queste ore sia l’esempio di una scuola che sta decadendo, di una scuola che non vuole elevarsi a luogo di confronto democratico tra i vari componenti.
Nel corso della mia esperienza scolastica, mi sono sempre chiesto quale fosse il ruolo della scuola italiana e sono giunto alla conclusione che questa deve offrirci strumenti di consapevolezza per capire la realtà esterna e per meglio districarsi tra le tante difficoltà che la vita quotidiana ci presenta.
Ho sempre creduto che la scuola non deve selezionare i più forti, ma deve, tra l’altro, fortificare i più deboli; ma per ora non vedo che scuole occupate non per volontà della maggioranza degli studenti, bensì per un gruppo che, forse neanche così convinto, ha visto nell’occupazione l’unica modalità per far sentire la propria voce, o più semplicemente perché lo fanno gli altri istituti.
L’occupazione, oggi non può che rappresentare una chiusura; la società beneventana si è depauperata proprio in queste ore, in questi giorni sotto i nostri occhi, perché ha visto venir meno una sua fetta importante: quella del mondo scolastico, che non può non arricchirla.
I ragazzi hanno deciso di chiudersi in un microcosmo, dove potrebbe anche verificarsi un momento di confronto e di dialogo, ma chiuso e non condiviso con il resto della comunità scolastica, che ha preso le distanze dall’occupazione come modalità di protesta.
Difficilmente i giovani vengono ascoltati, ma se ci si chiude al mondo esterno, il nostro pensiero si ferma entro le mura dell’istituto scolastico.
Apriamo le scuole, non le chiudiamo! Facciamo tutti insieme uno sforzo affinché la scuola pubblica venga difesa per davvero, facendole riacquistare ciò che fin ora ha perso; per questo spero, ma ne sono certo, che professori e ragazzi continueranno a protestare contro questi barbari cambiamenti che vedono vittima la scuola italiana, ma lo facciano non occupando ma coinvolgendo tutti, senza barricarsi in quattro mura.
Noi ragazzi purtroppo siamo il bersaglio più ghiotto di barbarie e di manipolazione, soprattutto in questo momento dove la foga oscura le menti, ma è giunto il momento di dire basta.
Non si può continuare a farci credere che, in una visione impropriamente machiavellica, i fini giustificano i mezzi; si rischierebbe di far passare il messaggio che per difendere un diritto possiamo limitare tutti gli altri.
Per questo non mi resta che auspicare, agendo, seppur nel mio piccolo, un effettivo cambiamento di pagina, nel solco di un nuovo percorso che vede i ragazzi protagonisti di un vero processo di cittadinanza attiva e, per quello che la giovane età ci consente, anche consapevole”.