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POLITICA

La fine dell’impero

Lo sceriffo sbraita, prova ad alimentare la suggestione di uno strappo ma non è più nelle condizioni di porre condizioni, di ricattare il partito e la coalizione. Ormai i buoi sono scappati dalla stalla, non solo quelli del Pd. Non è più lui l’interlocutore del Nazareno ma è suo figlio, il segretario regionale in pectore, che esprimerà le uniche liste nelle quali il governatore uscente potrà eventualmente candidarsi

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Italia Viva non sarà presente alle elezioni regionali d’autunno con liste autonome. I candidati che fanno riferimento al partito di Matteo Renzi confluiranno all’interno della lista dei Riformisti. In Campania come in buona parte delle altre regioni chiamate al voto, certamente in Puglia e in Toscana, probabilmente nelle Marche. Le prossime elezioni regionali, dunque, si risolveranno anche nel passaggio fondativo della quarta gamba popolare e riformista del centrosinistra, che nella testa di Franceschini e Bettini, è necessaria per allargare strutturalmente i perimetri del cosiddetto campo largo, per strappare all’astensione e al centrodestra quote consistenti di elettorato moderato.

Non solo la possibile convergenza di forze politiche che già gravitano a destra del Pd, ma una rete di amministratori e consiglieri regionali, aperta al contributo di personalità provenienti dall’universo cattolico e liberale, dal terzo settore e dal mondo accademico. Un’operazione che sui territori avrà significative ripercussioni, certamente in Toscana, dove Renzi pesa ancora tanto, ma anche, e forse soprattutto, in Campania. Italia Viva, a queste latitudini, esprime il terzo gruppo di maggioranza, una folta pattuglia di riferimenti capaci di intercettare un consenso diffuso, un gran numero di sindaci ed amministratori che in questi anni si sono mossi all’ombra del governatore De Luca ma che oggi cercano una nuova prospettiva nel dialogo con il sindaco di Napoli, primo sponsor di Roberto Fico, vero vincitore della partita che si è giocata tra il Nazareno e Palazzo Santa Lucia in questi mesi.


Tutto molto logico, perché quella a cui stiamo assistendo è la fine inesorabile del lungo impero deluchiano sulla Campania e all’apertura di una fase nuova per il campo progressista italiano, impegnato nella costruzione di un’alternativa credibile per il governo del Paese. E non ci sentiamo affatto di escludere l’ipotesi di una convergenza di Noi di Centro nella lista Riformista, posto che lo spazio occupato da Italia Viva in giro per la Campania nel Sannio lo occupa il partito di Mastella. Per ora la priorità è serrare i ranghi, aliare la macchina del consenso sui territori, poi si vedrà.

In tale quadro vanno collocati gli strali scomposti di Vincenzo De Luca degli ultimi giorni, il tentativo del governatore di mettere in discussione la candidatura, ormai blindata, di Roberto Fico alla presidenza della Regione, di negare i termini dell’accordo definito sul nome del figlio per la segreteria regionale. Il suo obiettivo prioritario è quello di piazzare in assise regionale un numero di fedelissimi sufficiente a commissariare la prossima maggioranza e la prossima giunta, ma ormai, tra i consiglieri uscenti del Pd e delle altre forze politiche di maggioranza, di fedelissimi se ne contano pochissimi.

Se Italia Viva confluirà con tutta la forza degli apparti di cui dispone nel nuovo cantiere riformista di Manfredi, aprendo un varco pericolosissimo nel composito universo centrista,nel Partito democratico, fatta salva l’enclave salernitana, dove pure è emersa per la prima volta un fonte alternativo, il governatore non tocca più palla già da tempo, da quando, cioè, e venuta meno la prospettiva del terzo mandato. Basta ragionare, a tal proposito, sul ruolo chiave che il capogruppo Mario Casillo ha giocato, già a partire dai mesi precedenti alla sentenza della Consulta, nel costringere il governatore alla mediazione con il Nazareno. Piero non potrà fare miracoli, non potrà far altro che assecondare i rapporti di forza sotto la rigida supervisione del Nazareno.

Dunque lo sceriffo sbraita, prova ad alimentare la suggestione di uno strappo ma non è più nelle condizioni di porre condizioni, di ricattare il partito e la coalizione. Non è più lui l’interlocutore del Nazareno ma è suo figlio, il segretario regionale in pectore del Pd campano, che esprimerà le uniche liste nelle quali il governatore uscente potrà eventualmente candidarsi. Lo ha detto Schlein, lo ha ribadito il suo uomo più fidato a Napoli, l’onorevole Marco Sarracino, a margine dell’assemblea pubblica promossa da Alternativa Democratica all’Hotel Ramada. E in qualche modo lo ha detto proprio De Luca nella diretta di venerdì scorso quando ha affermato, a proposito di quello che sta accadendo in Puglia, che Nichi Vendola non è un iscritto del Pd e può candidarsi dove e come vuole. Se tanto ci dà tanto, un iscritto al Pd non potrebbe fare altrettanto. Né in Puglia né in Campania, a prescindere dal cognome del segretario regionale.

Il governatore sta semplicemente cercando di tenere aperta una partita che in realtà è già chiusa, sa che più di una lista non gli sarà concessa, sa che il figlio non potrà eseguire pedissequamente i suoi ordini, sa che l’interesse di tutti, nel centrosinistra, è quello di ridimensionare il suo peso in termini di rappresentanza nel prossimo Consiglio regionale. Insomma, può contare solo sul suo esercito di fedelissimi e quindi si agita per preparare il terreno all’ultima mediazione. Proverà a far passare il principio che una sola lista a suo nome rischierebbe di fare ombra al Pd, mentre con due il primato del partito non sarebbe in discussione. Se esiste una logica si alzerà dal tavolo con una mano avanti e una dietro.

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