POLITICA
Se muoiono le nostre aree interne muore Napoli. Quindi muore la Campania, ovvero il Sud
Secondo il governo Meloni le aree interne sono condannate all’estinzione, vanno semplicemente accompagnate in un percorso di cronicizzato declino. Nessuno s’indigni, si tratta solo di palese ignoranza. Basterebbe leggere le prime pagine del Next Generation Eu per verificare come la grande sfida del futuro è quella della interconnessione tra i porti e dunque tra i mari, quella della infrastrutturazione delle aree territoriali interne, che fanno da cerniera tra le coste. Dunque la sfida della logistica, dei servizi, della mobilità. E la Campania, da questo punto di vista, fa scuola
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Il Ministro per le Politiche di coesione, Tommaso Foti, può provare a mettere tutte le pezze che vuole, ma nel nuovo Piano strategico nazionale per le aree interne, che porta la sua firma, c’è scritto a chiare lettere che «un numero non trascurabile di Aree interne non può porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza. Hanno bisogno di un piano che le assista in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento». È scritto così, senza giri di parole, nell’Obiettivo 4. E significa una cosa precisa: lo Stato ha deciso di accompagnare alla fine intere comunità, non più di salvarle.
Il che non deve necessariamente scandalizzare, perché i numeri sono numeri e ci dicono che effettivamente molti, moltissimi paesi delle nostre aree interne appaiono condannati all’estinzione. La storia ci dice che nel corso dei secoli le aree interne si sono spopolate e ripopolate ciclicamente e questo dovrebbe bastare per smontare la teoria del governo. Dopo di che, eccoci al punto, seppure volessimo considerare ineluttabile il destino di quei paesi una strategia per le aree interne sarebbe comunque necessaria. Perché il vuoto serve al pieno e viceversa, perché seppure volessimo considerare irreversibile l’agonia demografica delle aree interne, seppure partissimo dal presupposto che questi territori sono destinati alla desertificazione, quel deserto manterrebbe inalterata la propria funzione strategica ed irrinunciabile per tutto il Paese.
Quel che emerge dal nuovo piano è invece la determinazione a rinunciare ad una strategia. I numeri diventano l’alibi per la resa. Una resa insostenibile, perché le aree interne conservano e custodiscono le risorse primarie fondamentali su cui si regge la vita delle grandi aree metropolitane e dei centri urbani, garantiscono spazi e centralità logistica, sono il cuore del sistema Paese, sono lo scheletro su cui l’Italia si regge. Basterebbe leggere le prime pagine del Next Generation EU, il documento strategico dell’unione da cui discende il Piano nazionale di ripresa e resilienza, per verificare come la grande sfida del futuro è quella della interconnessione tra i porti e dunque tra i mari, quella della infrastrutturazione delle aree territoriali interne, che fanno da cerniera tra le coste. Dunque la sfida della logistica, dei servizi, della mobilità. E la Campania, da questo punto di vista, fa scuola.
Una regione di circa sei milioni di abitanti segnata da un drammatico squilibrio demografico. Per un verso l’Irpinia e il Sannio, aree interne spopolate e agonizzanti abitate da poco più di 700mila persone, per altro verso le fasce costiereiper-antropizzate, a partire dalla grande area metropolitana di Napoli, ormai satura ed estremamente fragile, costretta tra il Vesuvio e i campi flegrei, il super vulcano abitato da milioni di persone. Avvicinare i territori, offrire alla grande città metropolitana nuovi spazi, porre i presupposti per una progressiva decongestione della grande conurbazione metropolitana, per una riorganizzazione dei flussi e delle funzioni, è indispensabile ed è possibile solo ripensando la prospettiva delle aree interne nel più ampio contesto regionale e meridionale, spalancando le porte dei territori interni, che fanno da cerniera naturale tra Tirreno ed Adriatico.
Il vuoto serve al pieno nella stessa misura in cui il pieno serve al vuoto e in tal senso val la pena riflettere sulla proposta progettuale appena presentata la scorsa settimana, proprio mentre si discuteva della sentenza di morte del governo, per un collegamento diretto su ferro tra Napoli e Avellino, unico capoluogo privo di una stazione funzionante. Una proposta che smantella la teoria del governo, che dimostra per tabula l’esatto contrario. Lo studio è stato affidato alla Smithbarracco, a cui si devono opere strategiche fondamentali in tutto il Paese, la progettazione di parchi, di stazioni ferroviarie e di per la riqualificazione di aree cittadine come la Linea Metropolitana della Conurbazione Casertana, le Stazioni della Metropolitana di Napoli Capodichino, Terracina e San Paolo, dei Master Plan dell’Aeroporto Internazionale di Capodichino, dell’area Ex Italcementi di Civitavecchia e dell’ex nodo FS di Salerno.
Da Napoli centrale passando per Afragola, quindi per Cancello e poi per Nola sino a Baiano, rigenerando la linea Eav e le relative stazioni, per arrivare ad Avellino, attraverso un tunnel di semplice realizzazione che attraversa il Partenio, ovvero a Torrette di Mercogliano, dove sorgerà un primo snodo su cui si innesterà un anello tramviario, compatibile con l’assetto ferroviario e con quello stradale, quindi con il fondovalle, che seguirà il perimetro della città con diverse fermate sino alla stazione centrale, dunque alla linea elettrificata Salerno – Avellino – Benevento.
Una proposta progettuale la cui realizzazione garantirebbe per un verso il completamente della rete di collegamento all’alta velocità capacità, per altro il collegamento diretto tra Napoli e Avellino servendo tutti i territori di cerniera, dal nolano sino al Mandamento passando per il Vallo di Lauro, andando a ridefinire i ritmi, le funzioni e la vivibilità del capoluogo irpino che riscoprirebbe la propria centralità facendo da ponte tra le due principali direttrici dell’alta velocità/capacità, legandosi ad est, attraverso l’elettrificazione della linea Salerno Avellino Benevento, alla stazione Hirpinia e quindi a Bari, oltre che alla linea turistica Avellino – Rocchetta. Un’opera necessaria per completare la rete dei nuovi collegamenti su ferro, per sfruttare la centralità logistica dell’area vasta avellinese, porta delle aree interne ad ovest, per favorire la decongestione della grande area metropolitana implosa sotto il peso di una densità demografica insostenibile e di una fragilità che la crisi bradisismica di questi anni ha fatto emergere in tutta la sua drammaticità.
Collegare su ferro Napoli e la città di Avellino vorrebbe dire avvicinare i territori, offrire alla grande città metropolitana nuovi spazi, porre i presupposti per una progressiva decongestione della grande città, per una riorganizzazione dei flussi e delle funzioni, vorrebbe dire riaprire la porta delle aree interne, restituire centralità a quei territori e ridisegnare la funzione dell’area vasta di Avellino, quindi delle due province interne, nel più ampio contesto regionale.
Non è una sfida che riguarda solo Avellino e i comuni che fanno da cornice al capoluogo irpino, ma riguarda tutte le aree interne, riguarda il Sannio, che non può dare le spalle a Napoli, riguarda la Puglia e la conurbazione metropolitana di Bari. Il vuoto che salva il pieno, il pieno che salva il vuoto. La polpa che si regge sull’osso, l’osso che non ha senso senza polpa. Se muoiono le aree interne della Campania muore Napoli, se muoiono le aree interne muore la Campania.