POLITICA
Per dettare le condizioni al Pd serve l’accordo con i Cinque Stelle: la via per la pace della famiglia De Luca
Prima l’endorsement alla piazza di Roma contro il riarmo, poi il pranzo a due tra Piero De Luca e Giuseppe Conte a Roma. Mercoledì la Consulta si pronunzierà sul terzo mandato e De Luca si prepara al peggio cercando il gioco di sponda con gli eredi di Beppe Grillo: sì a Fico o a Costa a patto che ogni veto cada sulla sua persona e sulle sue liste. Chiuso l’accordo Schlein non potrà che adeguarsi e festeggiare
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Ormai ci siamo signore e signori. Mercoledì la Corte Costituzionale discuterà finalmente il ricorso del governo contro la nuova legge elettorale campana che consentirebbe a Vincenzo De Luca di correre per il terzo mandato consecutivo alla presidenza della Regione. E se appare molto complicato delineare scenari su quel che potrebbe accadere nel caso in cui De Luca dovesse restare in campo, e candidarsi a capo di una sua coalizione, decisamente più semplice prevedere quel che accadrà nel caso in cui, invece, De Luca dovesse vedersi costretto a rinunciare al terzo mandato.
Nel primo caso il centrodestra, nonostante i ritardi accumulati e le difficoltà che paga sui territori in termini di peso istituzionale, potrebbe ragionevolmente ambire al colpaccio, sfruttando la spaccatura del fronte opposto, scommettendo sulla capacità di De Luca di strappare consensi soprattutto a sinistra. E a quel punto salirebbero inevitabilmente le quotazioni del Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che certamente non potrebbe essere sacrificato per una contesa complicata, per una sconfitta molto probabile.
In questo scenario il Governatore punterebbe ad allargare i perimetri del suo fronte, andando ben oltre le liste del presidente, provando in primo luogo a spaccare il campo largo. Operazione tutt’altro che semplice, perché nel contesto dato l’unico partito che potrebbe decidere di seguire il governatore sulla via terzopolista è Azione, non certo Italia Viva, che ha un peso molto più rilevante. L’ostinazione con la quale Matteo Renzi insiste sulla necessità di lavorare all’unità di tutte le forze di opposizione, proprio a partire dalle regionali, non lascia margini a ripensamenti in Campania.
Diverso il ragionamento per Carlo Calenda, che ha escluso ogni possibile convergenza con il Movimento Cinque Stelle, che a suo dire andrebbe cancellato. Ma seppure Calenda dovesse decidere di seguire De Luca non è detto che i suoi consiglieri in Campania sarebbero disponibili ad obbedire, perché a quel punto ognuno avrà il solo obiettivo di salvaguardare il proprio destino. Certo, il ragionamento va fatto al contrario anche per Italia Viva, che in Campania è rappresentata in primo luogo da deluchiani, ma le garanzie che Renzi potrebbe dare ai suoi anche in vista delle politiche scoraggerebbero rotture, fermo restando che scegliere De Luca sarebbe comunque un azzardo, nel senso che una vittoria del governatore uscente sarebbe tutt’altro che scontata.
Dopo di che, è chiaro che con De Luca in campo cambierebbe anche la prospettiva del centrosinistra, che dovrebbe necessariamente puntare su di un candidato sufficientemente forte da poter contrastare il governatore uscente, e soprattutto del Pd, che dovrebbe mettere in campo ogni sforzo per contrastare l’opa di De Luca serrando le fila. Il ruolo di Gaetano Manfredi, in tal senso, sarebbe determinante. La partita, come è ovvio che sia, si giocherà in primo luogo nella città metropolitana.
Venendo al secondo scenario, invece, i giochi, per quel che ci riguarda, si fanno molto più semplici. Perché proprio in questi giorni il governatore è uscito allo scoperto, manifestando totale sostegno e piena adesione alla manifestazione promossa dal Movimento Cinque Stelle contro il riarmo, investendo Piero, suo figlio, della responsabilità di aprire direttamente la mediazione con Giuseppe Conte. Galeotto un pranzo romano tra i due a certificare il dialogo in essere che le smentite di entrambi non hanno fatto altro che confermare.
De Luca sa che se le cose vanno male, se la Consulta gli sbarrerà la strada, dovrà necessariamente arrivare alla mediazione con il Pd e non ci può arrivare inerme, concedendo al Nazareno l’alibi dei veti alleati, innanzitutto del Movimento Cinque Stelle che in Campania, come noto, esprimerà il candidato. Uno tra Roberto Fico e Sergio Costa. Dunque lo sceriffo è da lì che deve partire, puntando a far cadere ogni veto da parte di Conte e soci sulla sua persona, ovvero sui suoi candidati e sulle sue liste, ed è per questo che non ha messo sul tavolo il proprio sostegno al candidato che il Movimento indicherà, è per questo che non ha avuto remore a dare pieno sostegno alla manifestazione contro il riarmo di sabato scorso. Di contro, Conte ha tutto l’interesse a coltivare il dialogo con De Luca perché i voti si contano e non si pesano.
La legge del contrappasso o, se si vuole, la logica della politica che cancella il passato, che non contempla nemici con cui non si possa arrivare alla pace. Se Conte, fino a poco tempo fa, era per De Luca un truffatore mediatico, il capo politico di un partito di ciucci con cui non si governa, sostenuto da forze oscure, soggette a inquinamento camorristico, oggi non è più così, o almeno così non può più essere, perché il gioco di sponda con i Cinque Stelle è necessario, irrinunciabile per arrivare ad una pace sostenibile con il Pd. D’altro canto, come si dice, la pace si fa con i nemici. Vale per le guerre che fanno morti, come in Ucraina, vale per la guerra per il potere, come in Campania.
A conti fatti, dunque, se e quando arriverà il momento della mediazione con il Nazareno De Luca potrà far valere l’accordo già definito con Conte e i suoi, potrà dirsi disponibile persino Costa, e porre come unica condizione le dovute garanzie per il futuro di Piero. Schlein non potrebbe far altro che accettare la mediazione e festeggiare, perché con De Luca dentro la vittoria in Campania sarebbe quasi scontata e la Campania vale tutto. Tanto le basterebbe, anche se De Luca rischierebbe di uscire rafforzato dal voto, persino di portare a casa un voto in più del Pd e ritrovarsi nelle condizioni di controllare la futura maggioranza e di rivendicare l’assessore al bilancio. L’ottimo è nemico del bene e Schlein lo sa.