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Opinioni

Ricchezza e Povertà

Per questa destra garantire la dignità ai poveri di questo Paese con un sussidio vuol dire comprarne il consenso. Premiare gli evasori, abbattere la tassazione sui redditi più alti percorrendo la strada della tassa piatta, favorire la precarietà del lavoro, vuol dire, invece, operare per la crescita del Paese

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L’abolizione del Reddito di cittadinanza era in cima alla lista dei propositi di Giorgia Meloni in campagna elettorale, ragione per la quale nessuno può dirsi sorpreso per la decisione assunta dal governo. La sorpresa, tutt’al più, sta proprio nel fatto questa è l’unica promessa elettorale mantenuta dall’esecutivo patriota nel corso di questi primi dieci mesi. Insomma, non eravamo abituati.

Si dirà che la sorpresa non sta tanto nell’abolizione dello strumento ma nella brutalità con la quale il governo ha agito, tagliando il sussidio alla grande maggioranza dei percettori con un gelido sms senza aver nemmeno predisposto, nei tempi necessari, una mappatura del disagio e gli ammortizzatori sociali funzionali a garantire la pace sociale, scaricando il costo di questa decisione sulle gracili spalle delle amministrazioni comunali. Nemmeno questa, a ben vedere, è una verità.

Questa brutalità non è semplicemente figlia dell’improvvisazione e dell’incompetenza. E’, piuttosto, figlia di una visione di mondo e di società secondo cui la povertà è una devianza al pari dell’omosessualità o dell’anoressia, una visione di mondo e di società che non contempla la persona, che non contempla il diritto alla dignità. Una visione darwinistica in ragione della quale l’ordine è determinato dalla legge del più forte, ovvero del più ricco. Una visione secondo cui quei cittadini sono colpevoli della propria fragilità, hanno la colpa di essere quel che sono, sono poveri che meritano di esserlo, che non vanno accompagnati e sostenuti ma vanno, appunto, condannati alla solitudine e puniti.

Una destra sociale e legalitaria avrebbe agito in senso diametralmente opposto. Sarebbe intervenuta per ridefinire completamente un impianto normativo scritto con i piedi, per correggere le storture, per rendere efficienti e capillari i controlli. Una destra sociale e legalitaria non avrebbe nemmeno discusso sulla necessità di confermare un sussidio che ha garantito dignità a milioni di cittadini, sottraendo manovalanza ai poteri criminali, avrebbe tutt’al più programmato ingenti investimenti per riorganizzare i centri per l’impiego e, contestualmente, sarebbe intervenuta sui salari, avrebbe affrontato con risolutezza e determinazione il tema dello sfruttamento e del lavoro povero.

Questa è una destra di potere, forte con i deboli e debole con i forti. Una destra che fa i condoni, premia gli evasori, ignora l’esistenza di 4 milioni di lavoratori poveri e nega il salario minimo, è la destra che vuole spaccare l’Italia, che cancella il Sud dal Pnrr e che, ovviamente, abolisce il reddito di cittadinanza per porre fine al cortocircuito clientelare congeniato dai Cinque Stelle di governo.

Già, per questa destra il reddito di cittadinanza è clientela di Stato e la dimostrazione sarebbe da ricercare nelle percentuali ottenute dal Movimento Cinque Stelle nelle regioni del Mezzogiorno, dove si registrava la grande maggioranza dei percettori. Ma lo stesso principio, evidentemente, non vale per la delega fiscale appena approvata che straccia il patto sociale, non vale per la Flat tax, per i condoni e per il decreto lavoro, non vale per la guerra al pizzo di Stato.

Garantire la dignità ai poveri di questo Paese con un sussidio vuol dire comprarne il consenso. Premiare gli evasori, abbattere la tassazione sui redditi più alti percorrendo la strada della tassa piatta, favorire la precarietà del lavoro, vuol dire, invece, operare per la crescita del Paese.

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