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CULTURA

Padre Riggio: ‘La politica generativa esercita potere capace di cambiare le cose in meglio’

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Il Laboratorio per la Felicità pubblica si è avvalso del contributo di Padre Giuseppe Riggio, gesuita e neodirettore della rivista “Aggiornamenti sociali” sul tema: “Impegnarsi per la migliore politica al servizio della comunità”. Il dibattito si è svolto ieri pomeriggio sulla pagina Facebook dedicata al Laboratorio per la felicità pubblica

L’espressione “la migliore politica” che ha dato il titolo all’evento, sottolinea Ettore Rossi coordinatore del Laboratorio per la felicità pubblica, è presa a prestito dall’Enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco da cui si può mutuare l’idea che una politica che sia generativa debba necessariamente superare forme di individualismo a favore del recupero del concetto di comunità. L’ottica della fraternità può e deve ispirare logiche di intraprendenza politica capace di alimentare il capitale sociale, per una politica che sia concretamente al servizio della comunità. 

Nelle parole di Rossi sono evidenti i riferimenti alle esperienze di impegno del gruppo che oggi anima il Laboratorio per la Felicità Pubblica, con alcune riflessioni riportate in un articolo pubblicato sulla rivista “Aggiornamenti sociali” di febbraio. “Quando ci si confronta con la politica, capita di realizzare che l’impegno e la passione non sono sufficienti a colmare il divario tra gli ideali e la realtà esperita sul campo, in cui si innescano dinamiche altre, non considerate”, chiarisce.

Padre Giuseppe Riggio prova a definire quali siano le dinamiche per la migliore politica. Il primo banco di prova per un politico, dice, è la capacità di ascolto. Essa è la parola chiave. Si può essere capaci di dare risposte al territorio solo se si è capaci di leggerne dinamiche, contesto e necessità. Una capacità spesso inficiata dai pregiudizi, dal passato e dal vissuto di ciascuno che, come filtri, possono arrivare a congelare la comprensione dell’altro e precludere la possibilità di intervento. Sono paragonabili agli idola baconiani i pregiudizi cui si riferisce P. Riggio, quelli che rendono difficile l’accesso alla verità. La realtà ci educa. Non si può raggiungere il bene comune facendo a meno degli altri. Uno sguardo attento e umile può servire a squarciare il velo di Maya e porre fine alle interferenze che alzano muri tra visioni diverse ed interessi lontani, non giustificati quando si viva nello stesso territorio. Il passaggio dall’io al noi è fondamentale per la concretezza dell’azione politica. 

Ancora una volta Papa Francesco indica la via, nelle parole del direttore. Le parole riportate del Santo Padre sono quelle pronunciate nel corso del suo recente viaggio ad Atene, quando ha detto che occorre passare dal parteggiare, cioè dal restare chiusi negli interessi del proprio gruppo di appartenenza, al partecipare, cioè al riconoscimento che la propria storia si integra con quella di un gruppo più ampio senza stare nella posizione di difesa della stessa, contribuendo con altri per raggiungere il bene comune. A voler scomodare Dante, potremmo ricordare come il Sommo riservi l’Inferno agli ignavi; dunque, è compito del politico intraprendere azioni concrete e incisive. 

Il potere è da intendersi non per la gestione personale della res publica, ma come la capacità di cambiare le cose in meglio. A volte, però, è proprio sui risultati che si determina un cortocircuito, con il rischio di decidere di non decidere. Anche perché l’essenza di fare politica e prendere delle decisioni. Ci dobbiamo chiedere quante vere decisioni si prendono e quali decisioni sono solo apparenti. L’attesa, la sospensione, il tirare a campare non possono costituire la soluzione. Il modello opposto non può essere neppure Don Chisciotte e la sua lotta contro i mulini a vento: il politico deve piuttosto individuare con coerenza le scelte più opportune per la comunità. Maturità e trasparenza nella comunicazione sono variabili da considerare, perché la comunità sia edotta sullo “stato dell’arte” dell’azione politica. 

Mattarella e il suo richiamo alla sobrietà, e David Sassoli con la sua espressione: “Noi siamo la speranza” sono gli esempi di politica generativa citati come invito a far germogliare il seme della ripartenza.

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