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CRONACA

‘Ha lavorato per gli altri fino alla fine’: l’ultimo abbraccio di Benevento e del Rione Ferrovia a don Pompilio Cristino

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C’è un silenzio diverso, oggi, nel cuore di Benevento. Un silenzio che parla, che commuove, che stringe il petto. È il silenzio dell’assenza, quello che resta quando se ne va una persona che c’era sempre. Don Pompilio Cristino non camminerà più tra le strade del Rione Ferrovia, ma il suo passo spedito continuerà a farsi sentire, lieve e profondo, nei ricordi, nelle preghiere, nelle vite che ha toccato con il suo amore semplice e incrollabile.

Questo pomeriggio, nella Cattedrale gremita fino all’inverosimile, Benevento ha pianto il suo parroco, il suo padre, il suo pastore. Non c’erano solo i fedeli: c’erano famiglie intere, volti segnati dal tempo, bambini in silenzio, giovani con gli occhi lucidi, amici, volontari, rappresentanti delle istituzioni, tutta la Chiesa sannita. Un popolo unito dal dolore e dalla gratitudine. Perché quando muore un prete come Don Pompilio, è come se un’intera comunità perdesse una parte di sé.

Don Pompilio non cercava applausi, né riconoscimenti. Ma sapeva stare accanto, sapeva esserci, con la discrezione dei giusti e la forza silenziosa di chi crede davvero in ciò che fa. È stato il volto amico di Dio per migliaia di persone, un riferimento costante, un sostegno nel dolore, una guida nel cammino.

Il Rione Ferrovia lo ha visto crescere e lui ha fatto crescere il Rione. Ha reso vive le strade, accese le speranze, concrete le parole del Vangelo. Non si è limitato a celebrare Messe: ha ascoltato, consolato, sostenuto, costruito. La sua parrocchia non era solo un luogo sacro: era una casa, era famiglia.

Nell’omelia, l’arcivescovo Accrocca ha scelto parole che sembravano scolpite sul cuore della folla: “Voi siete la sua opera: questa Chiesa piena, il pianto dei bambini, la presenza viva di un popolo che oggi lo saluta con amore. È morto sul posto di lavoro, come ha sempre vissuto: in servizio, per il bene di tutti.”

C’è chi lo ricorda a lavorare nella sua chiesa, a Santa Maria di Costantinopoli, chi lo ha visto consolare una madre disperata, chi gli deve un consiglio ricevuto sotto voce e mai dimenticato. E poi i ragazzi dell’ACR, i volontari delle iniziative solidali, i seminaristi che lo hanno avuto come guida: ognuno ha un frammento di lui nel cuore. E oggi, quel frammento fa male. Ma è anche luce.

Per 48 anni ha servito la sua Chiesa con dedizione, umiltà e passione. Ha camminato accanto a tre vescovi come vicario generale, ha formato generazioni di giovani, ha stretto mani, asciugato lacrime, acceso speranze. Non ha mai smesso. Fino all’ultimo istante, Don Pompilio era lì: al suo posto, con il suo popolo.

“Forse è morto come avrebbe voluto”, ha detto Accrocca. “Il suo carattere riservato avrebbe faticato ad accettare l’inattività. Ha lavorato fino all’ultimo, ed è così che si è congedato: in piedi, nel servizio. Servo buono e fedele.”

E poi, il momento più struggente. Il feretro che lascia il Duomo, lento e silenzioso, tra le mani dei confratelli. E un applauso lunghissimo, vibrante, pieno di lacrime e riconoscenza, che si alza verso il cielo come una preghiera collettiva. Quel suono ha squarciato il silenzio e, forse, ha accompagnato Don Pompilio nel suo ultimo viaggio, verso quella luce che lui ha insegnato a cercare ogni giorno.

Benevento ha perso un padre. Ma ha ereditato un esempio che non si spegne, un’eredità di fede viva, di amore concreto, di prossimità vera. La sua voce continuerà a risuonare nei canti dell’oratorio, nelle benedizioni delle case, nei gesti di chi decide, ogni giorno, di esserci. Come lui.

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