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Rosario Fragnito e la sua ‘Taverna Paradiso’: ‘Porto avanti una storia familiare fatta di sapori antichi e piatti delle nonne’

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Rosario Fragnito è un omone di due metri. A guardarlo di primo acchito ti dà l’idea di un gigante burbero e scontroso. Con tutti i tic, gli umori e le abitudini del classico oste di casa nostra. Magari è proprio questa l’idea che si sono fatti giovani studenti e passanti di via Mario La Vipera, a Benevento, che spesso lo trovano seduto sull’uscio del suo regno, con il grembiule, ad organizzare la giornata di lavoro. Basta però andare un attimo al di là delle apparenze per scoprire un uomo schietto e genuino come la sua cucina, ma soprattutto un cuoco preparato, legato sì al territorio e alla tradizione ma sempre con uno sguardo rivolto all’innovazione. Rosario ha saputo creare e portare avanti un posto speciale, meta da 34 anni di turisti e beneventani. Sì, perché la Taverna Paradiso fa parte a pieno titolo della grande storia culinaria della nostra città. Ne è fondatore e ultimo geloso custode, tramandando ai posteri una lunga tradizione familiare che si è intrecciata al suo progetto di ristorazione. Entrare nella sua cucina significa respirare il profumo di cose cucinate per bene, è un pensiero felice di verdure fresche, vino locale, frattaglie e tagli di carne che aspettano solo di essere ingurgitati. E’ un po’ come vedere ai fornelli le nostre nonne che preparavano il cardone, la padellaccia beneventana, la genovese o che mettevano il ragù a ‘pippiare’. La storia di questa domenica è dedicata a lui: uno che nella vita è caduto tante volte e altrettante volte si è rialzato. Perché, si sa, le storie interessanti sono fatte di incagli, crepe, cadute e tentativi di rimettersi in piedi.
Come nasce la passione per la cucina?
Provengo da una famiglia storica per quanto riguarda il settore della ristorazione. Papà ha fatto sempre questo lavoro, così come i miei zii e mia nonna. Subito dopo la guerra avevamo una piccola fattoria con mucche e maiali nei pressi di piazza San Modesto: vendevamo il latte e facevamo il vino, che mio nonno poi consegnava ad attività e privati in città. Con l’esproprio dei terreni per la costruzione del Rione Libertà e l’allargamento della città, si trasferirono nella casa dei coloni a Santa Clementina. Anche lì un nuovo esproprio di terreni. Mia zia, insieme con il marito, appartenente alla famiglia Pontillo, aprì uno dei primi ristoranti in città, in via Avellola: si chiamava ‘La Rosetta’ ed ospitava i calciatori della mitica San Vito. Anche mio padre fece lo stesso, aprendo un ristorantino in via Napoli, subito dopo il parco Appia: si chiamava ‘Da Arturo’. In seguito venne la pizzeria storica che tanti ancora ricordano.
E tu cosa sognavi di fare?
Sono sempre stato uno che ha scalpitato e che non voleva rimanere a Benevento. Ho girato il mondo: Canada, Stati Uniti, Australia, dove avevo gli zii. L’intenzione era rimanere proprio dall’altra parte del mondo: fu la mia ex moglie a riportarmi nel Sannio. Dal mio rientro – parliamo dell’inizio degli Anni 90 – nacque la Taverna Paradiso, un progetto realizzato con i miei fratelli Alfredo e Paola.
Perché il nome ‘Taverna Paradiso’?
Non sapevamo come chiamare questo posto. Una Vigilia di Natale eravamo seduti tutti insieme a tavola: in tv davano il film ‘Taverna Paradiso’ di Sylvester Stallone. Ci guardammo in faccia e decidemmo insieme che quello sarebbe stato il nome. Da 34 anni siamo in via Mario La Vipera, nel centro storico di Benevento: oggi sono l’unico superstite di questa avventura. Mio fratello Alfredo è scomparso a causa del covid, mia sorella ha lasciato quando entrò nella Polizia Penitenziaria e si trasferì a Milano.
Che ricordi hai degli inizi?
Nascevamo come una taverna-pub, attività innovativa per il periodo: papà Arturo faceva le pizze e avevamo le focacce cotte nel forno a legna. Piano piano, con l’aiuto dei miei genitori, siamo diventati a tutti gli effetti una trattoria. Aperti a pranzo e con una selezioni di vini. Insomma, tra le prime enoteche in città. Di ricordi ce ne sono tanti: tra i più belli il periodo di ‘Quattro notti e più…’. C’era grande fermento con un centro storico vivo e pieno di gente. Potevi trovare a pranzo gente come Maurizio Costanzo e Pippo Baudo. Stesso discorso con l’apertura di piazza Vari, che è stato un luogo di grande aggregazione giovanile. Eravamo in pochi: noi ristoratori, residenti e artigiani con le botteghe. Successivamente il centro storico si è trasformato, è cambiata la fisionomia del luogo e delle attività: oggi c’è un melting pot culturale e tanti localini che servono alla movida. Manca però quell’anima storica, che viveva grazie alle botteghe e al vicinato. Da posto familiare è diventato luogo di passaggio.
Tu e tuo fratello siete ricordati anche con la maglia biancoceleste del Benevento Rugby…
Con mio fratello Alfredo abbiamo fatto parte della storico Rugby Benevento, la gloriosa Imeva che militava nelle categorie importanti contro squadre blasonatissime. La stessa ‘Taverna’ era un luogo di aggregazione per noi rugbisti. Con la mia ex moglie, australiana, ospitavamo i primi stranieri che venivano a giocare in città. Eravamo un riferimento per tanti.
Periodicamente a Benevento aprono diversi ristoranti, che poi chiudono con la stessa rapidità. Altri, pochi, quelli storici, resistono. Quali le difficoltà?
Le difficoltà sono per lo più di natura tecnica. Dopo il covid le cose sono cambiate: in primis la ricerca del personale, che è diventata difficilissima. La città non offre tantissimo e molti puntano su cocktail e drink per giovani e giovanissimi. Per quanto concerne la ristorazione, si apre e si chiude velocemente perché, a volte, c’è tanta improvvisazione dietro al progetto. E manca una storia da tramandare. Di iniziative imprenditoriali fallite ne ho viste tante nel corso del tempo. La ‘Taverna Paradiso’ ha conservato questa storia, fatta di tipicità e tradizioni: tutto il lavoro fatto in questi anni sta qui, tra queste mura, in questa cucina. Tempo e destino, però, mi hanno tolto la forza portante della mia famiglia e ora sono rimasto solo a resistere.
Qual è stato il periodo più brutto che hai vissuto?
Il covid mi ha portato via mio fratello ed è stato un periodo terribile. Ma non dal punto di vista lavorativo: ho lavorato molto, in modo differente, con l’asporto e con i tavoli all’esterno. E’ stata dura, ma da solo me la sono cavata.
Qual è il piatto per il quale vai più fiero?
Amo la tradizione ma anche l’innovazione, che ho appreso viaggiando in giro per il mondo e lavorando per attività importanti. Quello che più amo però è respirare l’aria del mercato, parlare con i contadini, acquistare verdure. La tradizione, che hai nel sangue, non la perdi. Oggi è difficile trovare ristoranti tipici che ti propongono piatti della tradizione che cucinavano le nostre nonne e le nostre mamme: il cliente non rinuncia mai a queste pietanze. Se devo pensare ad un piatto speciale, però, ti dico i carciofi. Amo cucinarli in tutti i modi.
Quali le soddisfazioni più belle?
Ti faccio un esempio: poco tempo fa ho ospitato una famiglia da Bergamo che ha origini beneventane. Gli ho preparato talli di zucchine e patate. La signora si è emozionata e mi ha detto: ‘Mi hai fatto ritornare indietro di 40 anni quando questo piatto me lo preparava mia nonna’. Potere dei sapori speciali che toccano le corde delle emozioni, attivano ricordi importanti, agiscono da macchina del tempo. Il cibo è convivialità, stare insieme a tavola, è anche ricordare momenti di festa e persone che abbiamo amato e che non ci sono più. Da sempre provo a fare questo con i miei clienti.
Come vedi il futuro della città?
Ho sette nipoti, cinque dei quali vivono fuori. Vanno via tutti, non solo i giovani. Anche gli adulti partono per cercare nuovi sbocchi occupazionali. Benevento è una città tranquilla, si vive bene, ma credo che bisogna spingere ancora di più nella direzione della crescita turistica. Siamo ancora legati ad un turismo ‘mordi e fuggi’ con visite di poche ore. Siamo sempre una tappa veloce verso un’altra destinazione. Dobbiamo lavorare in sinergia per rendere le visite dei turisti più lunghe con pernottamenti e pacchetti ad hoc. Potremmo puntare realmente sull’enoturismo, ma non abbiamo in città una cantina che si occupa di degustazioni e accoglienza. Così come non c’è una enoteca nel centro storico, luogo di riferimento per i turisti, dove poter acquistare o assaggiare vini locale. C’è tanto ancora da fare. Abbiamo delle eccellenze, ma non le curiamo.
Qualche idea?
Dobbiamo fare rete per valorizzare le eccellenze gastronomiche del nostro Sannio: penso ai funghi, al caciocavallo di Castelfranco e la salsiccia di Castelpoto, il carciofo di Pietrelcina. Prendiamo esempio dal boom di presenze e anche dalla eco mediatica della Sagra dei Funghi a Cusano Metri, che è stata un grande successo. Puntiamo nuovamente e in modo concreto su manifestazioni come BenTorrone che valorizzano il nostro settore dolciario. E poi permettimi una cosa…
Prego…
Lasciamo perdere manifestazioni come quelle a piazza Risorgimento dove mangiare carne di canguro e di coccodrillo. Valorizziamo quello che fa parte della nostra tradizione culinaria locale: creiamo un evento con le nostre tipicità, coinvolgendo i ristoratori della città e facendo da vetrina ai prodotti di eccellenza della nostra terra.
Le passioni della cucina e del rugby sono state trasferite ai tuoi figli con risultati eccellenti…
Il mio primo figlio, dopo otto anni da chef a Milano, dove ha lavorato prima da Bulgari con lo chef stellato Di Pinto e poi da Armani, si è trasferito lavorativamente a Lugano, in Svizzera, dove con la sua squadra ha portato il ristorante ‘Meta’ a conquistare la stella michelin. Il secondo è uscito di casa a 16 anni per giocare a rugby: oggi è nelle Fiamme Oro, ha fatto tutte le nazionali, anche la maggiore, sfiorando il debutto. E’ stato capitano dell’Under20. Ora ha 28 anni e disputa il campionato d’Elite. Entrambi sono il mio orgoglio.
Qual è il futuro della Taverna Paradiso e di Rosario Fragnito?
Tocchi un tasto dolente. Sono rimasto solo a lottare. Aspetto un socio o un collaboratore che abbia la mia stessa passione e che voglia sposare con me il progetto della ‘Taverna Paradiso’. Oggi vivo alla giornata, non prendo impegni a lungo termine. E al futuro non voglio neanche pensarci.