POLITICA
Ma ‘sto referendum a chi serve?
Ecco perché dietro lo scambio di sorrisi e sguardi complici tra Giorgia Meloni e Vincenzo De Luca potrebbe celarsi una strategia comune sull’autonomia differenziata e funzionale agli interessi di entrambi. Sarebbe anche la migliore risposta all’idiozia politica di quei parlamentari di centrodestra che hanno votato la riforma Calderoli in Aula ma sui territori chiamano alla mobilitazione contro i tagli alla sanità
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Siamo proprio sicuri che dietro quello scambio di sorrisi tra Giorgia Meloni e Vincenzo De Luca a Bagnoli non ci sia altro che la reciproca volontà di rasserenare i toni dopo le violente polemiche dei mesi scorsi, di ripristinare un clima di civile dialettica istituzionale? Può darsi.
Tuttavia se la forma è sostanza sono diversi gli elementi che ci inducono a ritenere possibile che dietro quella stretta di mano e quella foto, dietro quegli sguardi complici, ci può essere molto di più.
Solo l’altro venerdì, nel corso della consueta diretta, De Luca ha chiarito che la battaglia contro l’autonomia differenziata non va affrontata ideologicamente, che il quesito referendario è chiaro ma che qualora il governo intervenisse per escludere la possibilità che venga riconosciuta alle Regioni la possibilità di proporre contratti integrativi in sanità e per definire i Lep con relativa copertura finanziaria, allora il Sud avrebbe il dovere di accettare la sfida dell’autonomia, dell’efficienza, della sburocratizzazione. Nulla di nuovo, perché De Luca ha sempre affermato che la Campania è pronta a ad accettare e vincere la sfida dell’autonomia a patto che le storture irricevibili del decreto Calderoli vengano rimosse o corrette.
Il punto è che ha pronunciato quelle parole alla vigilia del vertice di Bagnoli, nello stesso momento in cui Forza Italia cominciava a smarcarsi proprio sull’autonomia, con le dichiarazioni del governatore calabro Occhiuto e l’istituzione di un comitato scientifico volto a verificare eventuali ricadute negative della riforma per il Mezzogiorno, nello stesso momento in cui Giorgia Meloni si trovava alle corde, stretta tra Vannacci e Ursula. Insomma, è come se il governatore avesse voluto in qualche modo aprire ad una mediazione con il Presidente del Consiglio, come se le avesse voluto offrire una possibile via di fuga dalla conta referendaria che nel Mezzogiorni si risolverebbe inevitabilmente in un bagno di sangue per il governo e in primis per Fratelli d’Italia.
D’altro canto l’autonomia differenziata viene vista dai patrioti come un male necessario, come una riforma che nei fatti punta a porre le condizioni per una secessione per via istituzionale, per il compimento di quello che fu il sogno di Bossi. Ma oggi lo scenario è cambiato e se la premier ha deciso si isolarsi in Europa, di mettere a rischio la tenuta del sistema Paese votando contro la rielezione di Ursula Von der Leyen, lo ha fatto con il solo scopo di coprirsi a destra, di serrare i ranghi della sua base elettorale, di non lasciare a Salvini spazio per sottrarre consenso a Fratelli d’Italia. Così facendo ha regalato praterie a Forza Italia, che è nelle condizioni di riposizionarsi, uscendo dal cono d’ombra della Fiamma, sulla linea dettata da Marina Berlusconi una ventina di giorni fa e ripresa dal fratello Pier Silvio la scorsa settimana.
Se si è coperta a destra sa che deve mollare più di qualcosa al centro e in questa prospettiva si è messa nelle condizioni di potersi fare carico dei dubbi e delle perplessità forziste sulla riforma Calderoli, dubbi e perplessità ancora più sentite tra i governatori e i sindaci di Fratelli d’Italia, oltre che tra la base. Esiste uno spazio per aprire un confronto sulla necessità di puntellare la riforma per scongiurare lo scontro referendario, esiste uno spazio per costruire una convergenza trasversale, sul piano istituzionale, volta a correggere le storture di questa autonomia, dunque a svuotare il quesito referendario per arrivare ad un testo condiviso se non con il Pd e le opposizioni parlamentari, almeno con i governatori meridionali. E sarebbe davvero molto complicato per la Lega contestare quelle modifiche, le stesse chieste da De Luca, posto che l’impianto della riforma rimarrebbe il medesimo.
Questo consentirebbe a Giorgia di evitare una pesante sconfitta al referendum, di non compromettere il premierato, di rispondere alle ansie dell’elettorato meridionale, di non concedere ad Elly Schlein lo spazio per compattare ulteriormente il campo progressista alla vigilia delle elezioni regionali, di salvaguardare la tenuta della maggioranza ridimensionando Salvini e la Lega. De Luca, di contro, ne uscirebbe come un gigante, come l’artefice della pacificazione nel nome di un Mezzogiorno che non china il capo, che non si lamenta, che accetta la sfida del progresso e dell’efficienza, come il regista di una straordinaria vittoria politica per il Pd e per il centrosinistra, una vittoria che anche Elly Schlein finirebbe con il subire.
La migliore risposta, inoltre, all’idiozia politica di quei parlamentari di centrodestra che l’autonomia differenziata l’hanno votata ma che sui territori continuano a gridare indignazione e a mobilitare sindaci e amministrazioni per protestare contro i tagli alla sanità, contro la chiusura di questo o quell’ospedale.