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Opinioni

Lo spettacolo del disumano

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La storia di Benito e Annibale ci ha scosso profondamente, lasciandoci perlopiù senza parole di fronte ad una tale violenza omicida: un uomo che decapita il fratello con un’ascia e poi aspetta l’arrivo dei carabinieri con la testa del parente tra le mani è una scena inimmaginabile, da film dell’orrore.

Allo stesso modo, però, nell’epilogo della tragica storia di cronaca c’è dell’altro che fa indignare e soprattutto discutere su quanto misera sia diventata l’umanità: qualche ora dopo il fratricidio di Pannarano, sono iniziate a circolare via whatsapp due fotografie che riprendono la scena del delitto e la testa decapitata della povera vittima.

Due scatti rubati – saranno eventualmente gli inquirenti a giudicarne veridicità e responsabilità dell’autore – che rappresentano a pieno lo ‘sdoganamento delle mostruosità’ per un voyeurismo estremo e irrispettoso che purtroppo è diventato fenomeno irrinunciabile, dove trionfano umiliazione e disumanizzazione delle vittime.

In un tempo dove l’unico spazio che si ambisce a colmare è quello dei social, veri e propri luoghi di nessuno, dove mettiamo in mostra ciò che nel mondo reale sarebbe guardato con perplessità, dove sono finite oggi la commiserazione, lo sdegno, il rispetto del dolore altrui?

Uno studio di qualche anno fa, portato avanti dall’University of Central Florida (Captive and Grossed Out: An Examination of Processing Core and Sociomoral Disgusts in Entertainment Media), ha analizzato la diffusione e la reazione del pubblico a quelli che sono video, amatoriali e non, che mostrano violenze, torture, stupri e uccisioni reali. Nel lavoro si esaminavano le reazioni di 130 soggetti a tre diversi tipi di video disgustosi: il primo era a tema socio-morale—atti di razzismo, sessismo, omofobia—, il secondo riguardava deiezioni umane come feci, il terzo era di tipo splatter-gore, con torture, budella, sangue e morte. La conclusione dell’analisi è che il disgusto che noi proviamo verso video splatter-gore agisce più a livello fisico che mentale, innescando un meccanismo di repulsione verso ciò che è un tabù, che da una parte noi dobbiamo rispettare, dall’altra dobbiamo sconsacrare per conoscere da vicino le azioni che non dobbiamo assolutamente compiere nella nostra vita. Quindi, uno dei motivi per i quali i video a contenuto violento continuano ad essere così tanto visualizzati è perché vogliamo vedere ciò che non potremo e non dovremo mai fare; la visione esplicita diventa una sorta di forte divieto da cui non possiamo più discostarci. Ma non è la sola motivazione, a quanto pare. Tra i motivi c’è anche una sorta di piacere edonistico nell’osservare la sofferenza altrui, soprattutto quella estrema e gratuita: ci fa sentire al sicuro e al riparo, certi che a noi una cosa del genere non potrà mai accadere.

In questo voyeurismo macabro l’uomo non è cambiato, se non in peggio e forse è peggiorato in tutto. Durante il Medioevo c’erano folle che si radunavano sotto le forche e i capestri per godersi le esecuzioni dei condannati. Oggi avviene lo stesso, ma seduti sul divano del nostro salotto, attraverso il buco della serratura della tv, attraverso lo schermo di uno smartphone.

Ci stiamo abituando all’immagine del dolore? Si potrebbe parlare di assuefazione da immagini che rappresentano la sofferenza tanto da esserne ormai indifferenti? Come può essere letta l’immagine di una tragedia? È sempre bene mostrare il dolore senza alcun tipo di mediazione “morale”? Diversi sono gli interrogativi per poter dare una giustificazione ad una azione così tanto deplorevole. C’è davvero poco da giustificare: cancelliamo quelle foto arrivate su whatsapp e vergogniamoci.

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