Opinioni
Migranti, la soluzione finale per le aree interne
D’ora in avanti ogni straniero che metterà piede sul suolo italico illegalmente verrà rinchiuso in un centro di permanenza fino a 18 mesi. Dodici per i richiedenti asilo a meno che non siano nelle condizioni di versare 5mila euro allo Stato. Manco a dirlo i nuovi centri verranno realizzati nelle aree marginali e isolate, con bassa densità di popolazione, ovvero di elettori. Proprio laddove, in questi lustri, è stato possibile sperimentare percorsi di vera integrazione che hanno cambiato il volto, i rumori e la prospettiva di borghi e comunità
Ascolta la lettura dell'articolo
Visto e considerato che il blocco navale proprio non si può fare, tenuto conto che il globo terraqueo è troppo grande; che lo storico accordo con il dittatore tunisino non ha sortito gli effetti sperati ed annunciati; considerato, infine, che l’invasione di carichi residuali via mare prosegue, e per quanti ne muoiano ne arrivano comunque troppi, le geniali menti di Palazzo Chigi hanno messo a punto la soluzione finale: d’ora in avanti chiunque arriverà in Italia illegalmente, contravvenendo alla legge Bossi – Fini, secondo cui potrebbe entrare in Italia solo chi ha già un lavoro, sarà trattenuto nei centri di permanenza anche per diciotto mesi prima del rimpatrio.
Dodici per i richiedenti asilo ai quali, tuttavia, in ossequio a quanto stabilito dal decreto Cutro, è doveroso concedere un’occasione in più offrendo la possibilità di evitare il Cpr in attesa della definizione della pratica, a fronte di un bonifico di circa 5mila euro. Una giusta cauzione per scampare ai centri di permanenza, per il lusso di sfuggire alla detenzione.
“L’idonea garanzia finanziaria” – così la definisce la norma – per garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilità: a) di un alloggio adeguato, sul territorio nazionale; b) della somma occorrente al rimpatrio; c) di mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona”.
Ovviamente, si saranno detti a Palazzo Chigi, perché la soluzione finale possa essere attuata è necessario, prima di ogni cosa, realizzare nuovi centri di permanenza, in numero sufficiente a rinchiuderli tutti, a debita distanza dai grandi centri urbani e dalle aree metropolitane, in luoghi isolati e a bassissima densità demografica dove è più facile esercitare il necessario controllo, dove ci sono pochi elettori.
Insomma, se non c’è verso di fermarli allora li arrestiamo e li nascondiamo in tanti centri di detenzione, tanti lager disseminati nelle aree interne, nei territori marginali, dove è più facile soffocare una sommossa senza passare per i tiggì, dove non c’è il rischio di rivolte popolari, di manifestazioni di piazza, dove il corpo elettorale di ogni comunità corrisponde a quello di un condominio della periferia romana o milanese.
La nuova Snai del governo Meloni, potremmo dire ironizzando. La risposta a due decenni di studi e di analisi sul futuro dei territori interni, di risposte inefficaci e dispendiose per provare ad arginare lo spopolamento, di chiacchiere al vento sul turismo lento, sulla valorizzazione delle risorse primarie da cui dipende l’esistenza stessa del Paese, sulle zone economiche speciali e sulla sfida infrastrutturale. Una risposta concreta e immediatamente attuabile per riconoscere alle aree interne una funzione strategica a servizio della nuova Italia patriota, a garanzia della sicurezza degli italiani.
E apparirebbe quantomeno strumentale provare a richiamare la vostra attenzione, cari lettori, su ciò che in questi lustri è accaduto, da Nord a Sud, nei territori dove dovrebbero essere realizzati i nuovi centri di detenzione per migranti illegali e richiedenti asilo poco abbienti. Porre l’accento sugli innumerevoli esempi di vera integrazione che si rintracciano nelle aree marginali e a bassa densità demografica, sulle ricadute del modello SPRAR, oggi SAI, sulla vita dei nostri borghi, vorrebbe dire cedere alla pretestuosa demagogia. Provare a raccontare come sono cambiati questi territori in questi anni, in che modo queste esperienze e questi percorsi hanno restituito vita e rumore alle nostre piazze desolate, iscrizioni alle nostre scuole, manodopera alle nostre imprese, percorsi di scambio e di crescita collettiva, vorrebbe dire teorizzare la sostituzione etnica pianificata, la resa dell’italica stirpe, il ratto delle italiane. Discendiamo dai romani, certo. Ma ‘sti millenni passati saranno pur serviti a qualcosa, o no?