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‘Ho lasciato Benevento per costruirmi un futuro. Sento la mancanza di tante cose, ma…’

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Per concludere il nostro appuntamento stagionale con la rubrica psicologica “Voce ai Silenzi”, abbiamo deciso di dare ampio spazio alle lettere di concittadini che, purtroppo o per fortuna, si sono ritrovati a emigrare verso altre città italiane o straniere. Lasciamo spazio alle loro lettere, e diamo voce a questi silenzi, perché possano essere utili anche a noi tutti, per riflettere istituzionalmente, immedesimarsi ed empatizzare, comprendere quanto sta accadendo, è accaduto e accadrà nella nostra realtà, e non solo.

LETTERA 1 – Cara Melania, Ormai sono un po’ di anni che vivo e lavoro all’estero. Si dice che ci sono due tipi di ‘expat’: quelli che lo hanno voluto, e quelli a cui questa vita è stata imposta. Io rientro nella prima categoria, questa vita all’estero me la sono scelta, non mi è stata imposta da nessuno, e per questo mi devo assumere tutte le responsabilità per questa mia decisione. Non ho nessuno con cui lamentarmi e da recriminare. Quando decisi di lasciare Benevento, la mia città, l’ho fatto per vari motivi. La realtà mi andava stretta, non mi lasciava respirare. La mancanza di lavoro dopo anni di studi, la chiusura di una provincia troppo piccola per i miei sogni. Non e’ stata una scelta facile, ma è stata la scelta giusta per me. Vivere lontano dal posto in cui si è cresciuti ti porta ad avere una doppia vita a tutti gli effetti. La difficoltà più grande quando si lascia la propria città sono gli affetti, e la distanza da questi. La famiglia, i parenti, gli amici di sempre. Le strade dove sei cresciuto. Tutte quelle cose che fino al momento della partenza fanno parte delle tue giornate. Sono proprio quegli elementi che fanno soffrire di nostalgia. Ma noi siamo umani, e sappiamo adattarci. Mio papà mi dice spesso “ci si abitua a tutto” e non c’è cosa più vera. E così quando decidi di vivere e lavorare all’estero ti ritrovi a scoprire tutto nuovo: amici, paesaggi, opportunità. Tutto è nuovo: ci si sveglia con la curiosità di un bambino. Ti crei una nuova dimensione fino a quando questa diventa parte della tua vita. E quindi si diventa protagonisti di una doppia vita: quella che ho lasciato a casa, e quella della nuova casa. La mente di apre, e si adatta. Ti manca sia il vecchio che il nuovo. Manca vivere la mia città, vedere la mia famiglia tutti i giorni, i miei amici di sempre, e non vedo l’ora di ritornare e riabbracciare tutti quelli che mi aspettano. Ma mi sento sempre con un piede da una parte e uno dall’altra. C’e’ una domanda che tanti si chiedono: e se non fossi mai partito? Difficile, se non impossibile rispondere, ma io la vedo così: la lontananza mi ha cambiato in meglio, e allora va bene così. Sono felice. E ho imparato che la lontananza crea un tempo di qualità tra i rapporti. Ogni cosa è un piacere quando torno, e me la godo più di prima: una cena con la famiglia, delle chiacchiere con mia sorella, una birra con gli amici di sempre, un semplice giro per le strade di Benevento, tanto criticata, ma che sempre bella resta.

LETTERA 2 – Gentile Melania, la mia sofferenza è iniziata prima di partire 15 anni fa, anche perché stavo meditando di andare via e però immaginavo di lasciare molta comfort zone…Poi quando vai via molti processi son particolari, tipo ti mancano molto gli affetti, specie nei momenti che non sei impegnato a fare qualcosa o tipo la domenica che vorresti stare seduto a mangiare con i familiari…questo è un problema che mi porto sempre dentro, però poi ragiono in modo costruttivo e penso anche che sto facendo qualcosa per me sperando che un giorno faccia qualcosa per gli altri, per i miei figli e se un giorno tornerò potrò dare il mio contributo e l’esperienza ed anche la forza di volontà che sto usando tutti i giorni. Poi quando vivi periodi così complessi a livello mondiale e lo fai lontano dalle tue origini le situazioni di vita sono più complesse…Io penso che è il momento al sud come al nord ci sia da cambiare la cultura nei giovani anzi già da bambini bisogna lavora negli stimoli a creare qualcosa con le loro forze…il rammarico è vedere posti con storia millenaria che stanno perdendo la loro identità perché sono i tuoi luoghi del cuore e vederli peggiorare ti fa stare male anche se sei lontano e non ci vivi più quotidianamente. Penso che la anche la fede religiosa possa coadiuvare a costruire di nuove una comunità che appunto ha uno scopo comune nel fare crescere il proprio territorio ma principalmente far vivere bene le persone di quella comunità…Io personalmente non vivo di rimpianti, certo che avrei preferito crescere i miei figli vicino ai nonni, ma ripeto auspico in un cambio di rotta e che i genitori educhino i figli a farli creare e lasciarli sbagliare e non più solo viziare, perché i vizi dati quando si è piccoli diverranno poi pretese da grandi…pretese che poi creeranno distorsioni nella società e quindi nella comunità in cui vivi. Spero di avere dato il mio piccolo contributo…viva il Sannio.

LETTERA 3 – Cara Melania, ti scrivo questa lettera, come non succedeva da tempo, per condividere con te e con tutta la redazione parte del mio percorso. Come te faccio parte dei “millenials”, una generazione cresciuta con il boom economico e che dopo percorsi di studi lunghi, faticosi ed impegnativi è stata in grado di adattarsi velocemente a nuovi contesti e situazioni. Questo continuo adattamento ha sviluppato in me un senso d’indipendenza ed ormai sono diversi anni che lavoro in maniera autonoma, dedicando alla mia attività gran parte della giornata. Il lavoro è alla base della mia quotidianità e della mia famiglia, infatti la mia compagna è anche la mia socia in affari, e per poter portare avanti un’attività “familiare” c’è sì bisogno di un forte legame di coppia, ma anche di un benessere psicofisico individuale da entrambe le parti, benessere che riesca a sostenere sia la persona che la coppia che l’attività. Il raggiungimento di questo equilibrio, per me, è stato frutto di un percorso iniziato, come ben sai, da giovanissima. Per poter portare avanti la mia crescita personale ho sentito l’esigenza di muovermi fisicamente verso luoghi che mi avrebbero permesso di vivere e conoscere la mia persona in maniera più approfondita e non ti nego che il fatto di poter esprimere liberamente la mia sessualità sia stato il filo conduttore di questa ricerca di benessere. Ho lasciato Benevento subito dopo il liceo, grazie all’università ho scoperto Roma, dove ho vissuto per diversi anni anche dopo l’università, lavorando intensamente e godendomi la compagnia delle persone che facevano parte della mia routine; mi sono poi trasferita in Grecia ed ho vissuto in Spagna per poi ritornare in Italia e vivere a Milano. Se da una parta ho avuto la fortuna di conoscere nuove realtà dall’altra ho dovuto lasciare gli amici di sempre, i loro abbracci e le loro certezze, affrontare situazioni di lutto in cui l’unica cosa che puoi fare data la distanza è inviare un messaggio o una mail, avere sempre un piccolo salvadanaio per le emergenze e privarti di quelle “chiacchiere” che puoi fare solo con chi ti conosce bene. Tutte queste mancanze ovviamente hanno portato ad uno scompenso che nel mio caso si è riversato sul lavoro ed anche sulla coppia. Dopo mesi molto nervosi, ho preso la decisione di intraprendere una terapia con il supporto di una psicologa. Nel mio caso non si è trattato di una terapia profonda, di quelle dove racconti la tua vita, ma di un supporto che potesse darmi gli strumenti necessari per poter affrontare le ansie e le paure in modo adeguato. Grazie alla terapia ed al mio impegno ho ritrovato quella dimensione di benessere di cui parlavo prima e soprattutto ho accettato che nella vita ci sono alti e bassi e che chiedere aiuto non è un segno di debolezza ma, al contrario, è il primo passo per una vita serena.

LETTERA 4 – Ricordo ancora il giorno in cui andai via: una valigia, i 900 euro donati dai miei per la stanza a Roma, il treno che si metteva in moto lento, le lacrime di mia madre. Eppure questa sceneggiatura da film di serie B oramai è oggi sempre più inflazionata: la leggi nelle strade vuote di Benevento, nei treni Italo che arrivano e partono sempre pieni, negli smartphone che si scaricano troppo velocemente per le videochiamate. È da Amsterdam che ora scrivo, mia ennesima partenza e cambiamento. Ennesima sfida raccolta di chi – forse scambiando un monologo per un dialogo – mi diceva: “non potrai mai farlo”. Per migliorare bisogna cambiare” diceva Churchill e di fatti così è: emigrare ed affrontare i cambiamenti che questo comporta ti apre la mente e ti arricchisce di doni altrimenti difficilmente ricevibili e comunque mai gratuiti; ti fortifica attraverso un percorso di lacrime e sacrifici dove devi ricostruire tutto: le amicizie, una famiglia, una casa… persino quei contatti – servizi e professionisti vari – che nella propria città di origine si ritengono scontati, quando arrivi in un nuovo posto non lo sono e vanno con fatica costruiti. Tutto da zero. Questo cambiamento però ti contamina a tal punto che inevitabilmente quel mondo a cui appartenevi lo vedi con altri, critici, occhi. E quella prima partenza (scelta di fatto quasi inconsapevole), alla luce di quello che questi nuovi occhi vedono, diventa invece una scelta consapevole di non ritorno. Tu sai cosa hai vissuto e non vuoi che i tuoi figli subiscano lo stesso…così metti da parte il tuo egoismo per non vederli andar via come hanno fatto i loro nonni (tuoi genitori) con te, sperando che la loro eventuale scelta di emigrare sia una scelta consapevole e non forzata dalle circostanze. Probabilmente tutto questo suonerà stonato alle orecchie di qualcuno, ma d’altronde Uno ben prima di me profetizzò che “non si è mai profeti in patria”.

LETTERA 5 – Cara Melania, Dei miei 40 anni, solo 17 li ho vissuti a Benevento. Il resto è stato un altrove, ma vissuto andando e venendo, con tutta la felicità dei rientri, del riabbracciare alcune persone care, del raccontare il frattempo, ma anche dell’amarezza dello scoprire di essere stati messi da parte, ‘disconosciuti’, non solo nella persona ma insieme a tutta la propria storia, alla goccia data a quell’oceano specifico. Se mi chiedi di dove sono e dove è casa mia, rispondo comunque Benevento. Mi sento un aggettivo più che un sostantivo. Migrante, come gli aironi sul lungofiume, più che immigrata. Chi sei è la voce che parli, i profili che ti hanno insegnato a sognare ma anche quelli che ti hanno accolto e da cui hai sentito la mancanza, hai imparato cosa vuol dire, l’hai riconosciuta e fatta tua. Se mi chiedi, io sono beneventana e mi sento beneventana al pari di chi ci ha vissuto tutta la vita senza muovere un passo. Eppure, per molti beneventani io sono straniero. Straniero a cui dare la possibilità solo della lamentatio senza effetto, senza voto, anche se non mi sono mai sentita straniera, ma solo strana, ma quello anche prima della partenza. Se si fanno cose che hanno a che fare con me, con quello che facevo qui a Benevento, con quello che faccio per lavoro altrove, se si invitano persone a me amiche a dare un contributo, a quasi nessuno di Benevento viene in mente di chiamarmi. Come se la distanza mi avesse incollata per sempre al passato, a una dimensione altra, un metaverso in cui non ho spessore ma posso essere utile solo come tramite o in una dimensione fuori Benevento, per appoggi o contatti o favori. Per il resto vengo dimenticata, a volte senza cattiveria, ma comunque vengo dimenticata. Mentre chi è via a volte si sente in colpa per quello che non funziona o che non funziona più, perché forse avrebbe potuto dare un contributo anche a distanza e in maniera gratuita, quelli che sono rimasti accolgono ma solo a parole, difficilmente si aprono davvero, ti fanno sentire minaccia, qualcuno che vuole rubare il lavoro, qualcuno venuto probabilmente a fare profitto. Su chi, su cosa, non si capisce benissimo. E così, si viene accettati di più in città in cui ognuno appare diverso – come se non lo fossimo ovunque – in cui, anche se non se ne ha bisogno, si prende quasi tutto quello che chiunque può lasciare e si cerca di farne ricchezza o almeno esperienza, si ha più difficoltà a casa propria. E così, si è spesso contenti di essere andati via. Con dispiacere. Perché un migrante riesce a proseguire il cammino, così come il trapezista riesce a saltare nel vuoto, solo perché sa benissimo da dove viene, conosce la solidità della rete che può sostenere una caduta. E sa che, qualunque cosa accada, potrà sempre tornare a casa. A presto, Sara Tufo.

LETTERA 6 – Sono andato via da Benevento dopo la maturità, a 19 anni. Ricordo anni di profondo senso di tristezza e malessere che si palesavano ogni qualvolta ritornavo “in patria” per poi lasciarla nuovamente dopo pochi giorni. Troppo forti le radici, troppo forte il richiamo, le connessioni e i legami con familiari e amici. Mi ricordo in particolare il senso di vuoto che mi assaliva non appena mettevo piede a Milano. E questo malessere era così forte che mi impediva di vivermi la mia nuova città, che infatti per anni non ho conosciuto affatto! Vivevo Milano unicamente come il posto in cui ero costretto a vivere, e dunque mi limitavo a rimanerci solo per rispettare i miei obblighi, che in ordine erano: studiare e lavorare. Ma la vita vera, per me, si poteva tranquillamente descrivere come l’intervallo che intercorre tra due treni frecciarossa, con la stazione di Milano Centrale a fare da tasto “Play/ Pause” della mia vita. Insomma, non c’era nessun altro posto in cui avrei voluto stare se non Benevento! Ma poi, ma poi ho iniziato a rendermi conto di quanto Benevento rimanesse sempre uguale a se stessa negli anni, di quanta depressione inconsapevole ci fosse tra i miei coetanei che non erano “espatriati”, di quanto la città si fosse arresa ad un lento declino economico ma soprattutto sociale. Certo potremmo parlare di come la politica cittadina in questi anni abbia contribuito a tutto questo. Ad esempio attraverso una totale assenza di iniziative volte a favorire la permanenza di giovani come me, oppure demonizzando/ combattendo con tutte le forze la “movida” di vicoletti e zone limitrofe senza comprendere che questa guerra nel frattempo danneggiava da un lato molti imprenditori (costretti a chiudere ed andarsene) dall’altro giovani (magari universitari) che, anche per questo motivo, hanno deciso di cambiare città per proseguire gli studi, o attraverso la totale assenza di politiche serie di valorizzazione dell’IMMENSO PATRIMONIO storico della città, da sfruttare in chiave turistica, o mille altre cose. Ma non mi sembra la sede opportuna. Ho quindi iniziato a vedere Benevento per quella che è, una città bellissima, di una bellezza quasi decadente, ma purtroppo ferma e chiusa alle novità, ai cambiamenti, ai nuovi stimoli, e soprattutto alle aspirazioni professionali. Che prospettive ci sono per un laureato? Zero. E chiarisco che “il posto fisso” (miraggio, tra l’altro) non può essere considerata un’aspirazione né tantomeno una prospettiva. Tutto questo mi ha destabilizzato, perché nel frattempo la mia base era Milano, una città in continua evoluzione, che cambia giorno dopo giorno, piena di stimoli ed influenze da ogni parte del mondo. Oggi ritorno volentieri a Benevento, ma consapevole che il mio futuro non può essere lì, e quello che era malessere si è trasformato in una tenera nostalgia.

Cari concittadini,
grazie per aver condiviso con me, con noi tutti, le vostre emozioni, esperienze e sensazioni, facendoci immaginare partenze, arrivi e ripartenze da un punto di vista diverso, umano e psicologico. Queste lettere sono intrise di profondi significati. C’è chi ha espresso consapevolezza, chi sofferenza, chi soddisfazione mista a rammarico per ciò che si potrebbe fare, in particolare, il comun denominatore dei vostri messaggi è sicuramente il cambiamento.


Al di là di quelli che possono essere i talenti, le capacità di resilienza e problem solving, la sicurezza personale, credo che in queste riflessioni a cuore aperto si celino desideri, aspettative, speranze di giovani, giovanissimi, adulti, famiglie beneventane che si sentono tali ma che non lo sono più.

Lascio ai nostri lettori, ed alle istituzioni italiane, regionali e provinciali, libera e profonda interpretazione di questi messaggi che richiedono uno sforzo empatico, un’attenzione, una lettura attiva, ed una metariflessione, particolari. Resterò a disposizione degli utenti e della redazione per eventuali altre comunicazioni o richieste che arriveranno nei prossimi mesi. Sperando di aver portato sostegno, con questo progetto, sia al singolo che all’intera collettività, ringrazio la collega Teresa Ciarlo e la redazione di Ntr24.tv, augurando a tutti una splendida estate.

Per concludere, godere ogni piccolo istante, ogni singolo giorno, ogni piccola emozione, prendersi cura di sè, dell’altro, dell’ambiente, orientandosi ogni giorno verso alti valori sociali, è un allenamento continuo ed un percorso individuale, prima ancora che di comunità.

Con immensa stima,
Dott.ssa Melania Catillo
Per un consulto o ulteriori info: email melaniacatillo@gmail.com
Telefono: 3201988263

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