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“I cattolici per essere significativi devono saper leggere le attese e le potenzialità del territorio”

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Ieri si è svolto il primo appuntamento con il Laboratorio per la felicità pubblica coordinato da Ettore Rossi, che ha chiamato a questa iniziale tavola rotonda social illustri esponenti del mondo cattolico italiano per riflettere sul tema del ruolo dei cattolici nella stagione della ripartenza. Sono intervenuti Daniela Ropelato (Docente di Scienze Politiche presso l’Istituto Universitario Sophia e della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino), Edoardo Patriarca (Presidente Nazionale A.N.L.A.), Don Matteo Prodi (Direttore della Scuola di Impegno socio-politico della Diocesi di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata De’ Goti), Ernesto Preziosi (Presidente di Argomenti 2000 – Associazione di amicizia politica) per interrogarsi sulle potenzialità che il mondo cattolico può vantare per far fronte alla ricostruzione, da intendersi come “ricominciamento o nuovo inizio” post pandemia e post crisi economica ad essa conseguente, nella consapevolezza che il rischio incombente è la tenuta stessa della democrazia. 

“Le città, i territori, il Paese – ha introdotto Ettore Rossi – hanno bisogno dell’impegno politico dei cattolici, della loro cultura inclusiva e trasformativa. Ma essi, a volte non trovano modalità per esprimere il desiderio di cambiamento in presenza efficace. Troppo spesso i cattolici, pur riconoscendo la necessità del loro contributo, si rifugiano nell’astensionismo”. Una sorta di limbo dal quale osservano il fluire degli eventi, rassegnati al corso delle cose. La ripartenza, secondo il fondatore del nuovo Laboratorio, ha bisogno della comunità cristiana che può e deve agire a partire dai territori di appartenenza, nella maturata consapevolezza di dover individuare nuove forme di partecipazione e di incisività per la vita comunitaria. 

Gli ha fatto eco Daniela Ropelato che riconosce ai cattolici le qualità di coerenza e credibilità, da rispolverare, se necessario, nelle strutture collettive delle diocesi, delle stesse città di appartenenza, per ripiantare il seme della concretezza fattuale. Abbiamo molti fondamenti da cui poter ripartire, vi sono fattori esperienziali da rivitalizzare nei contesti in cui si vive e si opera, perché si possa dar vita, nelle parole di Edoardo Patriarca, ad un nuovo “inizio generativo”.  La nuova pista di lavoro non può esulare dalla ricerca di un metodo, secondo l’ex senatore; metodo da intendersi come la capacità di leggere la realtà cogente attraverso l’ascolto empatico con cui cogliere le difficoltà, il cambiamento, la sofferenza di una comunità. Allo stesso tempo, per poter intervenire con consapevolezza, non si può esulare dalla conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, i cui principi dovrebbero essere pane quotidiano non solo per gli amministratori pubblici, ma di chiunque si senta responsabile della res publica. Si tratta di principi da vivere anche laicamente, ha suggerito Patriarca, ma da ancorare alla dimensione spirituale del servizio, pena lo smarrimento. Solo così, ha concluso l’ex parlamentare, può nascere una nuova stagione della speranza capace di essere concretamente generativa, con i pochi pani e pesci a disposizione ricorrendo all’immagine evangelica. 

Anche Ernesto Preziosi riprende il tema della ripartenza e coglie la necessità che essa fondi concretamente le radici nel contesto storico-sociale in cui ci si avvia a proporre il cambiamento. Occorre restare fedeli ai principi della Dottrina sociale della Chiesa – ha rimarcato il presidente di Argomenti 2000 – ma nella consapevolezza di doverli rimodulare rispetto alle necessità della storia che viviamo adesso secondo il metodo dell’incarnazione; così come bisogna saper rispondere alle richieste valorizzando le vocazioni delle singole realtà locali e città. Il cattolicesimo politico che voglia davvero catalizzare il consenso deve leggere le attese e le potenzialità di un territorio e deve saper innestare la richiesta di cambiamento con azioni adeguate al contesto. La partecipazione democratica va riguadagnata sul terreno del radicamento di interventi calati sui bisogni reali locali, dal momento che il gap tra le istituzioni nazionali e i cittadini è ampio e difficilmente colmabile nel dato momento storico. Troppo spesso, invece, ha sostenuto Preziosi, anche le “scuole di formazione sociale” risultano dei francobolli su una busta che non c’è. Oggi siamo costretti a registrare una debolezza della formazione sociale delle comunità cristiane, in quanto molte sigle e organizzazioni sono contenitori vuoti che non rispondono più alle loro finalità.

La felicità pubblica, ha chiuso don Matteo Prodi, richiamando il titolo del neonato laboratorio, può essere appannaggio della ricerca dei cattolici, purché essi riescano ad ancorarla alla speranza e al nuovo Umanesimo cui fa riferimento Papa Francesco; un Umanesimo che ci traghetti lontano da certe teorie liberali, responsabili della solitudine dei politici la cui mission è  fare rete, se davvero  intendono incidere sul tema dei temi che, per il direttore della Scuola diocesana di Impegno socio-politico, è indubbiamente il lavoro.

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