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Salute

Sanità, una lettera da Sorrento per ringraziare i medici dell’ospedale “Rummo” di Benevento

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Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata alla nostra redazione da Aniello Clemente da Sorrento, un cittadino che ha avuto modo di restare particolarmente soddisfatto dalla perizia e dall’umanità dell’ospedale “Rummo” di Benevento.

“La missiva – aggiunge Clemente – è indirizzata al professore Uscher e all’equipe dell’ospedale perché, mai come in questo momento, abbiamo bisogno di ‘un’iniezione’ di ottimismo e speranza nella possibilità di riscatto della Sanità nel Meridione tutto”.

“Grazie…, prof. Uscher.
Qui auget scientiam, auget et dolorem. Qui auget dolorem, auget et scientiam. (Come aumenta il sapere, così aumenta il dolore. Come aumenta il dolore, così aumenta il sapere), questo adagio mi tormentava mentre ero fuori dalla sua porta in attesa di significarle quanto è oggetto di questa mia lettera aperta. Attendevo, seduto sui comodi divani in pelle nella sala d’attesa, sbirciando distrattamente il televisore, quanto all’improvviso vedo alcune persone muoversi e venirle incontro. E lei, pacatamente, come se fosse la cosa più normale del mondo, l’informa sommariamente dell’operazione, oltremodo difficile, e li fa accomodare nel suo studio. Sono quindici giorni che “pellegriniamo” al Rummo e mai termine fu più appropriato perché scopo di ogni pellegrinaggio non è il cammino in sé ma collimare la nostra volontà con quella di Chi governa i nostri passi.

Mi occupo di teologia e non a caso uso il termine “miracolo” per ringraziare il Signore, e lei, suo strumento, per aver voluto restituire mia cognata ai suoi affetti più cari. Ma stazionando fuori dalla Sala di Rianimazione, nei corridoi, nei reparti del padiglione Padre Pio, una cosa mi sembrava ancora più “miracolosa”: il volto sereno dei parenti, degli amici, di chi pensava di condividere un dolore e se ne andava carico di umanità. A questo punto potrei tacere e lasciarla con un caloroso e sincero grazie, ma “il silenzio è necessario in molte occasioni, ma bisogna sempre essere sinceri; si possono tenere per sé alcuni pensieri, ma non bisogna mai mascherarne nessuno; ci sono modi di tacere senza chiudere il proprio cuore, di essere discreti senza sembrare cupi e taciturni, di nascondere certe verità senza dissimulare con la menzogna” (cf. Abate Dinouart, L’arte di tacere). Sento, dunque, l’urgenza di informare la Direzione dell’Ospedale e i miei lettori che mentre i media stanno speculando sull’ennesimo caso di malasanità, in Meridione, c’è qualcuno che ha ridato vigore al nome della città che ospita l’Ospedale “Rummo”: Ben-evento.

Professore lei si schernirà obiettando che è il suo lavoro, il suo dovere, la sua missione, ma ho scoperto che lei, nel buio totale, quando i parenti non osano pronunciare quella malattia che si annida in noi e ci divora dall’interno, lei presenta loro l’ultima dea del vaso di Pandora e li esorta a sperare, a volte, contro ogni speranza! È doveroso, per me, ricordare che «importante non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore»(Madre Teresa di Calcutta). E lei, professore, testimonia il suo amore per coloro che le sono affidati con parole che vengono da lontano: il primo termine dell’Antico Testamento che indica la misericordia è rehamîm, “viscere”: con questa parola, si allude al sentimento intimo e profondo che lega due esseri per ragioni di sangue e di cuore, come avviene nel rapporto d’amore fra genitori e figli, o in quello tra fratelli. Questo amore tutto gratuito corrisponde ad una necessità interiore, ad un’esigenza del cuore, possiamo dire che lei non ne può fare a meno, ma il secondo termine hesed designa “bontà”, “pietà”, “compassione”, “perdono” e ha per fondamento la fedeltà: Dio è fedele a sé stesso e mantiene la parola nonostante tutto; e lei con la sua storia personale ha ben dimostrato cosa significa “andare avanti”, nonostante tutto e tutti.

“L’uomo è uno scolaro e il dolore è il suo maestro” (Gandhi). Ma con l’aiuto di Nino Salvaneschi, preciso: l’amore è un mistero, il dolore è un mistero, la fede è un mistero. Saper amare vuol dire ritrovarsi, saper soffrire trasformarsi, saper credere illuminarsi. L’amore è un misterioso fluido che trasfigura vite e destini. Il dolore è un misterioso invito a dare una nuova luce al nostro destino. La fede è un misterioso anelito che spinge i mortali verso l’Eterno. Amore e dolore danno calore e senso alla fede. Del resto, senza amore qualsiasi religione sarebbe vana e senza dolore qualunque suo insegnamento privo di frutto. Amare è una gioia, soffrire una virtù, credere una forza. Ogni anima anela a possedere la fede ma nessun uomo, senza l’aiuto dell’Altissimo, può trasmetterla al fratello. Ognuno di noi è solo un mendicante che tende la mano a chi passa e parla a tutti col suo povero cuore, perché la fede, parafrasando Agostino, è la nostalgia del Cielo che abbiamo perduto. Ogni esistenza è una prova che si trasmuta in armonia e tende ad elevarsi in preghiera. Così, per tutti, la vita è un mistero eroico, lirico e mistico. Ogni esistenza cerca l’amore, trova almeno una sofferenza e anela alla fede. Così ogni vita, ognuno di noi, è l’incarnazione di un rosario recitato a Dio. Ogni vita è un Mistero gaudioso, doloroso e glorioso. Ognuno di noi possiede la parola magica, l’abracadabra, l’apriti sesamo, dello scrigno della vita, e forse non se ne ricorda. La conosce chi ama. Ancor di più, forse, chi soffre. Ma, di certo, la possiede chi cade in ginocchio e prega dopo aver amato e pianto.

Professore, seppure in modo virtuale, mi permetta di stringerle la mano e dirle il mio, il “nostro” grazie, a lei, all’Equipe del dott. De Blasio del reparto Rianimazione, encomiabile per professionalità e umanità, e a tutti coloro che collaborano con lei: i dottori, Dicuonzo, Frattolillo, Russo, Ponzano, Marzullo e Della Vittoria.
Ad maiora, Aniello Clemente”.

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