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Dl femminicidio, Exit Stategy: “Decreto repressivo che non dice nulla sulla prevenzione”

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“Il decreto legge recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri è certamente un passo avanti nella lotta al femminicidio, ma consentiteci di muovere qualche critica. Sostanzialmente si tratta di un decreto repressivo che non dice nulla a proposito della prevenzione che dovrebbe avvenire attraverso quella che chiamiamo “rivoluzione culturale” che parte dalla formazione all’educazione al genere, alla sessualità, all’affettività e lo faccia attraverso la formazione di educatori”.

Ad affermarlo in una nota sono Elide Apice e Alda Parrella dell’associazione “Exit Strategy”.

“Non parla di ciò che è essenziale per il futuro delle donne che subiscano violenza, ossia dei centri antiviolenza che siano capaci non solo di ascoltare, – spiegano – ma di ospitare per evitare conseguenze peggiori ed aggravate dall’impossibilità dettata dal decreto di ritirare le denunce sporte (ci chiediamo: se la donna denuncia è costretta a tornare a casa del denunciato perché evidentemente è nell’impossibilità essenzialmente economica di andare via, come potrà difendersi da ulteriori violenze se qualcuno, in questo caso lo Stato, non provvede alla sua tutela e alla sua difesa?).

E’ un decreto che non tiene conto dell’altro lato della medaglia, la realizzazione di centri di ascolto soprattutto maschili perché il problema della violenza di genere è un “problema maschile”, oltre che naturalmente della realizzazione di centri di ascolti femminili.

Come afferma Loredana Lipperini, – aggiungono – è un decreto in cui “Non si cerca di capire, formare e prevenire, ma si pigia sul pedale della guerra fra i sessi, fornendo a chi ancora sputa la parola femminicidio come una caramella mal masticata ottimi argomenti per parlare di espediente securitario”.

Pensiamo inoltre – continuano Apice e Parrella – che sia un decreto in qualche senso discriminante perché come ha scritto Concita De Gregorio “dire che la pena sarà di un terzo più severa nel caso in cui le vittime siano incinte o mogli o compagne o fidanzate del carnefice è comprensibile, dal punto di vista del legislatore, perché è vero che battere una donna che aspetta un bambino o che ha un vincolo di fiducia con chi la aggredisce è più grave, ma stabilisce anche una discriminazione culturalmente delicatissima verso le donne che non fanno figli e non hanno legami con un uomo. In che senso uccidere una donna non sposata e non madre è meno grave? Vale forse di meno per la società?”.

Di più, secondo il decreto, si può procedere anche su segnalazione anonima, ma, premesso che ci sono situazioni in cui probabilmente potrebbe essere decisivo l’intervento di familiari e amici, ci sembra che così si rischia di indebolire ancora di più la capacità delle donne di autogestirsi.

Viene da chiedersi se qualcuno di quegli uomini e donne di governo abbiano mai messo piede in un centro anti violenza o abbiano mai parlato con le decine di volontarie che ogni giorno ascoltano i problemi veri delle donne in difficoltà.

Se lo avessero fatto – concludono le rappresentanti di Exit Strategy – forse non avremo avuto un decreto legge in cui la repressione e addirittura, osiamo dire, la delazione sono considerate necessarie ma avremmo trovato, probabilmente, leggi inerenti l’obbligo da parte delle scuole di inserire all’interno dei programmi progetti educativi di contrasto alla violenza di genere e non solo (parliamo anche di omofobia, razzismo, bullismo e reati collegati all’uso della rete), avremmo avuto la possibilità di sanzionare chi utilizza immagini femminili per pubblicità e programmi in un certo senso ‘ammiccanti’ e la costituzione di una commissione che si occupi di salvaguardare il ruolo delle donne da un punto di vista culturale.

L’aspetto positivo del patrocinio gratuito per le donne vittime di violenza, previsto dal decreto, pare sia stato già contestato dalle camere penali. E’ un passo in avanti? Probabilmente si, ma tanti altri passi costruttivi dovrebbero accompagnarlo”.

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