CULTURA
Laboratori CIVES. Colasanto: “Far ripartire lo sviluppo per dare un futuro al lavoro”

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Laboratorio di formazione al bene comune”, giunto al quarto appuntamento della sua sesta edizione, è stato affrontato con il prof. Michele Colasanto – docente di Sociologia delle relazioni di lavoro presso l’Università Cattolica – il tema: “Il futuro del lavoro e il lavoro del futuro”.
Ha introdotto la lezione Ettore Rossi – Direttore dell’Ufficio per i Problemi Sociali e il Lavoro della diocesi di Benevento – che ha indicato alcuni aspetti problematici del mondo del lavoro di oggi e di domani.
“Aumenta a causa della crisi – ha spiegato – la disponibilità a lavorare anche da parte di persone che finora erano rimaste fuori dal mercato del lavoro, ma tale offerta non può essere assorbita, per cui aumenta la disoccupazione. La riforma delle pensioni, inoltre, consente la permanenza più a lungo nel lavoro delle fasce anziani di lavoratori, peggiorando le possibilità di ingresso per i più giovani”.
Colasanto ha esordito sottolineando che il tema lavoro è di scottante attualità, in un momento in cui la disoccupazione giovanile è più che tripla (oltre il 35%) di quella media nazionale. La crisi attuale ha penalizzato maggiormente i lavori atipici, che per la prima volta furono introdotti dal pacchetto Treu (1997), e a farne le spese sono stati soprattutto i giovani, che continuano a ingrossare le fila dei disoccupati.
Dunque, in tale contesto, le questioni affrontate dal professore sono state le seguenti: Quali sono i lavori del futuro, posto che vi sia un futuro per il lavoro? E quali sono le politiche per lo sviluppo necessarie per rimettere il lavoro al centro della società?
Ripercorrendo la storia economica degli ultimi sessant’anni, Colasanto ha spiegato che gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati gli “anni del lavoro” sia nel Nord che nel Sud Italia. L’industrializzazione e il welfare hanno contribuito a trasformare la società italiana, raffigurabile come una piramide, in una “società dei ceti medi” dalla caratteristica forma a cipolla. In quegli anni, il lavoro è stato il grande protagonista con una crescita senza precedenti dei redditi e dell’occupazione.
L’ipercapitalismo tuttavia ha finito per oscurare il lavoro, con la conseguente delocalizzazione degli impianti e il fare profitto “giocando in borsa” e facendo a meno del fattore lavoro. In questa fase, anche le piccole e medie imprese del Centro-Nord, soprannominate “multinazionali tascabili”, hanno avuto serie difficoltà a reggere l’urto della crisi.
Oggi, in un momento in cui la struttura del lavoro sta assumendo la forma di una clessidra, il mercato del lavoro – ha fatto notare il docente – sembra richiedere competenze esclusivamente tecniche, mentre le lauree umanistiche sono state messe quasi “sotto accusa”. Sebbene le proiezioni statistiche prevedano che nei prossimi anni aumenteranno i lavori più qualificati, è calata la fiducia nella formazione e nell’istruzione.
Secondo il professore, per recuperare il fattore lavoro, occorre investire molto di più in istruzione, se pensiamo che il livello dei laureati italiani è del 22% in confronto alla media europea al 40%. In Olanda si hanno bassissimi tassi di disoccupazione giovanile grazie alla diffusione dell’apprendistato, un istituto che consente di rendere meno traumatica la transizione scuola-lavoro e che bisognerebbe incentivare anche in Italia.
Il prof. Colasanto ha sottolineato che il lavoro bisogna non solo proteggerlo, come hanno storicamente fatto i sindacati, ma promuoverlo e crearlo. Bisogna “fare impresa”, ma affinché i giovani possano riuscirci sono necessarie oltre alle esortazioni, condizioni di contesto, politiche di accompagnamento e nuovi mercati, a cui devono pensare le istituzioni e la politica.
Il sociale, l’ambiente e la cultura sembrano invece essere destinati a una gestione sempre più affidata alle cooperative; ad esempio nella “efficiente asburgica” Trento – dove il professore è Presidente dell’Agenzia provinciale del Lavoro – il pubblico non assume più addetti nei musei, in quanto la gestione è affidata alle imprese giovanili.
Aumentare l’occupazione, i posti di lavoro e le opportunità dovrebbe divenire, per Colasanto, un imperativo, per questo occorre ragionare in termini di sviluppo. Come far ripartire lo sviluppo allora? Sembra che la soluzione più plausibile sia offerta dalle teorie di sviluppo locale, che puntano a esaltare le specificità del territorio partendo da ciò che si ha piuttosto che da ciò che non si ha.
Ci sono tuttavia profondi dualismi ancora da risolvere – rammenta il docente – come quello tra il lavoro degli uomini e delle donne, degli italiani e degli immigrati, dei giovani e dei non giovani.
La raccomandazione personale del professore ai giovani è che oggi non ci si può permettere il lusso di essere scoraggiati, come quei quanti classificati con l’acronimo ”neet”, che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione.