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L’inserimento del bambino adottato a scuola: incontro con la psicologa Colatruglio

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L’Associazione Famiglie Adottive di Benevento “La Casa di Giuseppe” ha incontrato la psicologa dr.ssa Giuseppina Colatruglio, presso l’auditorium della parrocchia del Sacro Cuore di Benevento.
Uno dei propositi dell’Associazione è creare lo sviluppo di una rete di contatti e rapporti di amicizia tra i soci offrendo opportunità di confronto e scambio di esperienze funzionali a sostegno reciproco sia nel periodo di attesa che durante la crescita della famiglia. Il tema dell’incontro è stato: l’inserimento del bambino adottato nella scuola. Sono intervenute numerose coppie che hanno interagito con la consulente e hanno condiviso esperienze emotive e di impatto con la quotidianità creando sinergia di intenti e un equilibrio emozionale univoco e graduale.
Quando si adotta un bambino in età scolare una delle prime preoccupazioni dei genitori è quella dell’ingresso nella scuola. Tale preoccupazione ha due motivazioni fondamentali: una è formale in quanto la frequenza scolastica costituisce un obbligo sancito dalla legge, la seconda è sostanziale ed è relativa al timore che il bambino resti indietro e faccia ancora più fatica a recuperare il gap di apprendimento che lo divide dai coetanei. Le ragioni in base alle quali molti genitori, ma spesso anche numerosi insegnanti ed operatori, scelgono di procedere ad un rapido inserimento a scuola sono certamente serie e fondate.
Oltre al timore che il bambino resti indietro negli apprendimenti, si ritiene che la precoce scolarizzazione possa favorirne l’integrazione nel nuovo contesto; inoltre, passare tante ora in casa con il bambino può risultare faticoso e, non di rado, sono gli stessi bambini che chiedono di andare a scuola. Pur considerando serie queste motivazioni la Colatruglio ha sostenuto con forza l’opportunità di ritardare l’inserimento scolastico dopo che sia trascorso un tempo sufficientemente lungo (almeno 6 mesi) per consentire al bambino di familiarizzare con il nuovo ambiente di vita in cui è venuto a trovarsi.
Questa attenzione è giustificata da diversi fattori: la necessità di creare una relazione minimamente privilegiata con i genitori, che gli consenta di avvertirli come riferimenti utili qualora incontrasse delle difficoltà.
Si deve tener conto, infatti, che per ogni bambino l’inserimento nel contesto sociale avviene gradualmente ed è vissuto serenamente nella misura in cui egli avverte di poter contare sull’esistenza di una relazione privilegiata e protettiva con i suoi genitori.
Questo senso di protezione, essenziale alla crescita, viene gradualmente interiorizzato dal bambino e gli consente di sostenere la sua naturale propensione all’esplorazione e alla conoscenza. Se questo è vero per i piccoli nati e cresciuti all’interno della loro famiglia, lo è ancora di più per coloro che, essendo stati adottati, si trovano a muoversi in una realtà nuova e con persone sostanzialmente sconosciute.
È quindi di fondamentale importanza che le energie dei genitori e del figlio siano indirizzate prioritariamente nella costruzione della loro relazione prima di investirle in altri contesti. La necessità di raggiungere un livello di conoscenza della lingua (se è straniero) che gli permetta di comprendere e farsi comprendere dai compagni e dagli insegnanti. Solitamente, infatti, i figli adottivi imparano piuttosto precocemente la lingua italiana, è necessario però stare attenti a non confondere l’uso sociale della lingua con quello cognitivo.
In altre parole un conto è capirsi e farsi capire nella quotidianità e all’interno di un contesto limitato come quello di casa, un altro è usare l’idioma come strumento per apprendere. Evitare di sovraccaricarlo : i cambiamenti imposti dall’adozione sono già numerosi e assai impegnativi sia emotivamente che cognitivamente, aggiungerci la scuola, anche se con programmi ridotti e personalizzati, rappresenta un ulteriore carico di lavoro ad alta intensità emotiva. Non si deve dimenticare, infatti, che far parte di una classe significa entrare in una rete di dinamiche relazionali ricca e complessa.
I bambini hanno i loro giochi, i loro modi di interagire, le loro gerarchie, le loro relazioni di amicizia e simpatia che creano legami più stretti tra alcuni a volte a svantaggio di altri. Inserirsi in un gruppo vuol dire affrontare questi rapporti e saperli gestire e, è facile comprenderlo, si tratta di un compito non semplice, soprattutto per chi proviene da una realtà tanto diversa ed è privo di tante informazioni ed abilità in possesso degli altri.
Queste considerazioni spingono, pertanto, a ritenere estremamente opportuno e consigliabile attendere ad inserire il bambino a scuola e procedere solo dopo un congruo periodo di adattamento al nuovo ambiente.
Spesso accade che la scuola richieda un certificato di handicap per non iscrivere il bambino ma non è accettabile far credere che il piccolo soffra di una svantaggio fisico o psichico quando, invece, ha solo bisogno di un po’ di tempo per acclimatarsi al nuovo habitat.