ECONOMIA
In Italia pochi rifugiati e ancora non integrati

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C’é chi fa il bracciante agricolo, chi il custode, chi distribuisce i giornali, c’é il muratore, alcuni poi fanno anche gli interpreti; in ogni caso le occupazioni sono molto spesso non in linea con la passata esperienza personale e poi ben il 22% lavora in nero: un titolo di studio e un passato servono a poco se si è un rifugiato nel nostro Paese. Da una ricerca condotta dal Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) e La Sapienza su titolari di protezione in Italia ormai da più di tre anni (quindi, si sarebbe presunto, con un grado di integrazione più elevato) emergono “difficoltà strutturali” sulla “possibilità stessa di una vita dignitosa”: mancanza di lavoro, precarietà abitativa e senso di insicurezza.
Tra gli intervistati, 222 rifugiati di cui 18 laureati, sola una persona fa il pediatra come faceva nel suo Paese d’origine.
Il 44,6% è disoccupato, il 4% non risponde, e solo il 51,4 % dice di avere un’occupazione. Il 17% è operaio non
specializzato, e un altro 40% fa pulizie, assistenza domestica, o lavora in agricoltura e nella ristorazione. Questo si riflette sulla condizione abitativa: il 18% vive sul luogo di lavoro o in centri di accoglienza, dove però – segnalano alcuni intervistati – si dorme solo e alle 7 del mattino non si ha più un tetto; soltanto il 21,5% vive con la famiglia, il più delle volte in case senza riscaldamento.
“Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, anche grazie al Fondo Europeo – evidenzia Chistopher Hein, direttore del Cir –
non abbiamo ancora un vero programma nazionale di integrazione. Molto spesso i rifugiati escono dai centri di prima accoglienza senza accesso a percorsi di integrazione e molti percepiscono un’assenza di opportunità”. Inoltre “si è parlato ancora di ‘catastrofe’ quando sono arrivate 62 mila persone dal Nord Africa, o perché circa 36 mila persone hanno fatto domanda di asilo”. Alla vigilia, domani, della Giornata mondiale del rifugiato, il Cir rinnova l’appello al Governo: “I fondi vanno utilizzati non solo per dare da mangiare, venendo incontro alle nostre indicazioni”. Va introdotto “un programma nazionale per l’integrazione anche in chiave di efficienza economica”, “una procedura d’asilo più snella, tempi più brevi per gli iter burocratici”.
Anche perché la presenza numerica esigua permetterebbe “risposte articolate e investimenti reali”. Infatti in Italia vivono circa 58.000 rifugiati (1 ogni 1.000 abitanti), pochi anche rispetto agli altri Paesi dell’Unione: in Germania ci sono oltre 571.700 rifugiati (7 ogni 1.000 abitanti), in Gran Bretagna circa 193.500.