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ECONOMIA

Le politiche per le aree interne: una strategia ancora incerta

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Le aree interne sono quei territori fragili, distanti dai centri principali di offerta dei servizi essenziali, troppo spesso abbandonati a loro stessi, che però coprono complessivamente il 60% dell’intera superficie del territorio nazionale, il 52,7% dei Comuni ed il 22% della popolazione (i dati si riferiscono alla prima classificazione 2013).

La prima individuazione delle Aree interne in Italia avvenne nel 2013 ad opera dell’Agenzia per la Coesione Territoriale (ministro Fabrizio Barca). Le Aree Interne rappresentano, dunque, un’ampia parte dell’Italia – circa tre quinti del territorio e poco meno di un quarto della popolazione – eterogenea al proprio interno, distante dai grandi centri di agglomerazione e di servizio, con traiettorie di sviluppo instabili e problemi demografici, ma tuttavia dotata di risorse e di un forte potenziale di attrazione che mancano alle sue aree centrali.
Nello scorso mese di marzo è stato elaborato il primo “Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI)”, definito dal “Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud”, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito della “Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI)”.

Le aree interne sono state investite da una inesorabile quanto prevedibile deriva, i cui effetti principali sono stati: lo spopolamento, l’emigrazione, la rarefazione sociale e produttiva, l’abbandono della terra e le modificazioni del paesaggio.

Negli ultimi venti anni, il fenomeno della desertificazione sociale, partito dalle aree più interne sub-appenniniche, ha investito più direttamente anche i capoluoghi delle province interne. Ciò è stato determinato da molteplici fattori; tuttavia, il gap infrastrutturale qui ha assunto, più che altrove, un peso decisivo.

La Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) rappresenta una politica nazionale innovativa di sviluppo e coesione territoriale che mira a contrastare la marginalizzazione ed i fenomeni di declino demografico propri delle aree interne del nostro Paese, promuovendone la diversità, migliorando la qualità dei cd servizi di cittadinanza (Salute, Istruzione e Mobilità) e stimolando la capacità dei cittadini residenti di immaginare e realizzare nuovi percorsi per l’innovazione e il cambiamento.

Il processo di selezione delle aree della SNAI 2014-2020 è stato completato nel 2017, con l’individuazione di 72 aree, composte da 1.060 Comuni. Nel 2021 si è concluso anche il processo di approvazione delle strategie di tutte le 72 aree, con la sottoscrizione di 72 Accordi di programma quadro (ApQ), per un complesso di interventi programmati che ammontano circa a 1,1 miliardi di euro, di cui oltre 700 milioni coperti da Fondi Strutturali e di Investimento Europei e la restante parte dal bilancio dello Stato o, in minima parte, da altre fonti finanziarie.

La SNAI trova continuità nella programmazione 2021-2027, in base a quanto indicato nell’Accordo di Partenariato per l’Italia, con la previsione di ulteriori nuove 56 aree interne, di cui 43 nuove finanziate con risorse nazionali e regionali e 13 nuove individuate dalle Regioni, che beneficeranno di sole risorse regionali. Le 56 nuove Aree interne comprendono 764 Comuni, con poco più di 2 milioni di abitanti, interessano un territorio di circa 38 mila kmq e rappresentano. Sono state altresì confermate 67 delle 72 aree SNAI 2014-2020, alcune delle quali con una nuova perimetrazione. Complessivamente, dunque, la SNAI 2021-2027 riguarda 124 Aree di progetto, che coinvolgono 1.904 Comuni, in cui vivono 4.570.731 abitanti.

Lo stato dell’arte
Se fin qui si è descritto lo scenario di riferimento, merita assoluta considerazione rilevare lo stato dell’arte e verificare se la strategia messa in campo per le aree interne (SNAI), ad oggi, abbia contribuito effettivamente a ridurre i divari territoriali storicamente presenti tra Centro e Periferia, tra Aree forti e Aree fragili del Paese (o anche “Terre della Polpa e dell’Osso”, come direbbe Manlio Rossi Doria).

Per rispondere con concretezza a questa domanda, evidentemente, è necessario verificare lo stato di attuazione/avanzamento degli interventi e della Strategia.

A tal fine, a titolo esemplificativo, possiamo considerare la situazione della Campania, ove, per la programmazione 2014-2020, insistono 4 aree interne SNAI (Alta Irpinia, Vallo di Diano, Cilento Interno e Tammaro-Titerno), divenute poi di recente 7 (dal 2021 al 2022), con l’individuazione di tre nuove aree interne, denominate rispettivamente “Alto Matese”, “Sele Tanagro Alburni SETA” e “Fortore” per la programmazione 2021-2027.

Complessivamente, a circa 12 anni dalla sua sperimentazione, la strategia non ha dato i risultati sperati, atteso che in questi anni il divario delle aree interne è, addirittura, anche cresciuto. Ciò è dipeso, principalmente, dall’incapacità di programmare gli interventi sul territorio e impegnare e spendere, bene e velocemente, le risorse finanziare assegnate.
Alla data del 9 settembre 2025 (Fonte dati Regione Campania – Strategia SNAI), la SNAI Campania 2014/2020 presenta un avanzamento finanziario complessivo pari solo al 23,26%, su un importo complessivamente destinato pari ad euro 89.865.315,53, rispetto ad una data di scadenza della rendicontazione fissata al prossimo 31/12/2025. Per di più, la progettazione 2021-2027 non è stata neppure avviata, con il concreto rischio di disimpegno delle relative ingenti risorse finanziarie già previste.

Le responsabilità in ordine al mancato utilizzo delle risorse nazionali e dell’Unione Europea sono molteplici e di varia natura; tuttavia, molte di esse, sono da ascrivere all’incapacità dei piccoli comuni che non dispongono di uffici, organizzazione e competenze tecniche adeguati per progettare ed eseguire interventi complessi.

Per le aree interne si pone, quindi, la necessità di ridiscutere la stessa impostazione della politica SNAI e della perimetrazione e classificazione delle aree interne, atteso che, dal 2013 ad oggi, non ha dimostrato di funzionare e rispondere alle esigenze di questi territori.

Il decreto 124/2023 – che ha previsto una nuova governance della SNAI, affidata a una “Cabina di regia”, con il compito di adottare il “Piano strategico nazionale delle aree interne” (PSNAI), non sembra aver risposto alle criticità di sistema.

La governance, come accaduto anche per le aree ZES (con il passaggio alla ZES Unica Mezzogiorno), conosce un processo di ulteriore accentramento, senza, però, prevedere strumenti efficaci per contrastare la progressiva marginalizzazione dei territori, soprattutto di quelli più periferici. Anzi, al contrario, inizialmente, in base all’”Obiettivo 4” del PSNAI 2025, si accettava come “irreversibile” lo spopolamento di ampie porzioni del Paese, da accompagnare con dignità alla loro scomparsa. Solo l’incisivo intervento delle comunità e delle istituzioni locali, dei Vescovi italiani della CEI e dell’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, Aree fragili e Isole minori”, volto a contrastare questa impostazione, nell’agosto 2025 il c.d. “Obiettivo 4” è stato stralciato dal Piano dal ministero competente (Ministero per gli affari europei, le politiche di coesione e il PNRR).

Nonostante le frettolose correzione apportate all’ultim’ora, non si scorge nella nuova strategia un’analisi critica su ciò che non ha finora funzionato; certo è che se, progressivamente, si favorisce il processo di accentramento di funzioni e servizi, lasciando i territori delle aree interne senza alcun presidio, in nome di una supposta maggiore efficienza ed economicità di gestione degli stessi, la desertificazione sociale ed economica non può che poi esserne una diretta conseguenza. Se da una canto, la riforma del Titolo V° della Costituzione ha inteso favorire i processi di autonomia differenziata e federalismo fiscale, con la previsione di un conseguente decentramento/devoluzione delle funzioni, con un evidente strabismo istituzionale, un meccanismo opposto, di natura centripeta, avviato già da qualche anno, tende a restituire al governo centrale quei poteri decisionali e quelle funzioni, che in precedenza erano stati trasferiti in maniera diffusa sui territori, anche quelli più marginali, lasciando a questi una flebile speranza.

Quello che oggi emerge è che la nuova Strategia nazionale delle aree interne non sarà – tuttavia – in grado di correggere e neppure minimamente mitigare i divari territoriali preesistenti nelle aree interne e contrastare i gravissimi fenomeni di spopolamento in atto, se – preliminarmente – non si invertirà il processo in atto di accentramento di organi, funzioni e servizi di cui abbiamo appena detto e che tanti danni ha finora prodotto.

Occorrerebbe, a nostro parere, partire dal basso, da una loro più giusta ed oggettiva individuazione e classificazione, da compiersi con automatismi e sistemi procedurali snelli e maggiormente efficaci, utilizzando appieno la leva fiscale, che – peraltro – le politiche di coesione economica, sociale e territoriale del Trattato Europeo (cfr. articolo 174 (ex articolo 158 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), consentirebbero. Inoltre, occorrerebbe un cambio di passo nelle politiche di gestione delle ingenti risorse nazionali ed europee, derivanti dalle politiche di coesione, che negli anni scorsi sono state, purtroppo, in buona parte disimpegnate e, quindi, per sempre perdute. In questa direzione, sarebbe assolutamente auspicabile che le amministrazioni regionali attivino task force operative per il tramite di un Agenzia all’uopo dedicata, con l’intento di sostenere ed accompagnare i piccoli comuni delle aree interne, e non solo quelli ricadenti nella classificazione SNAI, nella progettazione ed esecuzione dei progetti finanziabili da Fondi Nazionali e dell’Unione Europea.

Da qualche tempo, il tema è entrato sempre più al centro del dibattito politico. Come nel caso delle recenti elezioni regionali in Campania, quando l’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, Aree fragili e Isole minori”, che sul tema dei divari territoriali e delle aree interne ha costruito la propria principale mission, ha chiesto ai candidati presidenti degli opposti schieramenti, in lizza per il governo regionale, l’istituzione di un “Assessorato alle Aree Interne”, come stabile presidio amministrativo e tecnico, per favorire le politiche dirette a riequilibrare il rapporto tra aree della fascia costiera e quelle interne della regione.

Il rapporto delle aree interne con la ZES
A partire dal 1gennaio 2024, con l’istituzione della ZES Unica Mezzogiorno, la specialità dell’area con i connessi benefici, senza alcun discrimine, è stata estesa all’intero territorio delle otto regioni meridionali. Tuttavia, rispetto alla situazione precedente, l’istituzione dal 1 gennaio 2024 della ZES Unica Mezzogiorno, estesa a tutto il territorio delle otto regioni meridionali, ha inferto un ulteriore duro colpo alle prospettive delle sue aree interne e più fragili.

Infatti, l’omogeneizzazione del Mezzogiorno in un’unica zona economica speciale, senza nel contempo riconoscere una specialità alle aree interne e concedere a queste una qualche premialità, ha finito col compromettere definitivamente le speranze di accogliere qui nuovi investimenti produttivi, da porre come volano di uno sviluppo più ampio.

La ricerca di un approccio diverso per superare i divari territoriali
I modelli attuali di economia politica utilizzati per governare i mercati e i processi di crescita nazionali sono, sostanzialmente, caratterizzati dal fatto di prevedere una bassa coesione sociale ed un’alta competitività tra le aree.

Ridurre il divario richiede, quindi, un cambio di strategia: da uno sviluppo centripeto a uno diffuso e inclusivo, che valorizzi tutte le potenzialità del territorio, con un nuovo patto territoriale, in cui lo Stato, le Regioni, gli enti locali e i cittadini collaborino per costruire un’Italia più equa, coesa e sostenibile. Solo così, sarà possibile garantire pari diritti e opportunità a tutti, indipendentemente dal luogo in cui si vive. Se usiamo un approccio competitivo, come ad esempio quello con cui è stata concepita la legge sull’autonomia differenziata, si generano – inevitabilmente – meccanismi di sperequazione territoriale.

Se, invece, scegliamo un approccio di coesione sociale e le politiche di sviluppo vengono concepite ed indirizzate ad assecondare tali esigenze, potrebbero anche diventare volano non di crescita, ma di sviluppo economico, dove la crescita inizia a diventare anche fattore di sviluppo e, quindi, di miglioramento della condizione di vita dei cittadini.

Giovanni Barretta Economista – Presidente del Comitato tecnico dell’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, Aree fragili e Isole minori”

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