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Emergenza cinghiali e Parco del Matese, la consigliera Di Brino: “Serve chiarezza, non strumentalizzazioni politiche”
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«Sull’emergenza cinghiali serve chiarezza, non propaganda». È il messaggio lanciato da Angela Di Brino, consigliera di maggioranza del Comune di Morcone, che interviene nel dibattito sempre più acceso intorno alla presenza dei cinghiali nel territorio e al ruolo del Parco Nazionale del Matese.
«Da qualche decennio – spiega Di Brino – la nostra penisola è attraversata da un vero e proprio fenomeno di emergenza legato ai cinghiali, ma nel nostro territorio la questione sembra essere esplosa solo dopo l’istituzione del Parco. È diventato l’argomento principale di chi strumentalizza politicamente la nascita dell’area protetta, dimenticando che le origini del problema risalgono a più di mezzo secolo fa».
La consigliera ricorda che la proliferazione dei cinghiali è dovuta a diversi fattori: «A partire dal secondo dopoguerra – osserva – l’introduzione di esemplari provenienti dall’Est Europa per fini venatori, insieme all’abbandono delle campagne e alla crescita dei centri urbani, ha favorito l’espansione di questi mammiferi, opportunisti e altamente invasivi».
Secondo i dati dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) relativi al periodo 2015–2021, il “prelievo del cinghiale” è aumentato del 45%, con circa 300.000 abbattimenti all’anno, di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in attività di controllo faunistico. L’86% degli abbattimenti avviene durante la normale attività venatoria, mentre il restante 14% durante operazioni di controllo.
Sempre secondo Ispra, nel periodo analizzato si sono registrati oltre 105.000 eventi di danno all’agricoltura, per un valore complessivo di quasi 120 milioni di euro, di cui il 36% in aree protette e il 64% in territori non protetti.
«Questi numeri – sottolinea Di Brino – dimostrano che la caccia, da sola, non basta a contenere il fenomeno, ma resta la soluzione più richiesta da cittadini e agricoltori, esasperati dai danni e dai rischi per la sicurezza».
La consigliera chiarisce poi il quadro normativo che regola la materia: «La legge quadro sulle aree protette (n. 394/1991) vieta la caccia nei parchi, ma consente prelievi faunistici e abbattimenti selettivi in deroga, quando necessari a ricomporre squilibri ecologici, sotto la diretta responsabilità dell’Ente Parco».
Un principio ribadito anche dalla legge 157/1992, che disciplina la protezione della fauna selvatica: «L’articolo 19 – prosegue Di Brino – permette alle Regioni di intervenire per il controllo delle specie selvatiche anche nelle aree vietate alla caccia, comprese quelle protette e urbane, quando ci siano ragioni sanitarie, ambientali o di sicurezza pubblica».
Inoltre, aggiunge la consigliera, «i recenti aggiornamenti normativi (art. 19-ter) prevedono un piano straordinario nazionale per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, da attuarsi anche nelle aree protette e nei giorni di silenzio venatorio».
Nel caso specifico del Parco Nazionale del Matese, il decreto ministeriale del 22 aprile 2025 recepisce pienamente queste disposizioni: «Pur ribadendo il divieto di caccia – spiega Di Brino – il decreto consente prelievi e abbattimenti selettivi, compresi interventi di biosicurezza e controllo sanitario, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dal Comitato di Gestione». Fino all’approvazione dei piani specifici, «gli interventi saranno gestiti dagli enti regionali competenti, con personale formato e tecniche a basso impatto ambientale».
Da qui l’appello finale della consigliera: «Alla luce della normativa vigente e del decreto di aprile, sono certa che la Regione Campania interverrà per gestire il problema in attesa della piena operatività del Parco. Ma invece di alimentare polemiche o paure tra cittadini, cacciatori e agricoltori – conclude Di Brino – occorre concentrarsi sulle soluzioni concrete che la legge già prevede. È questa la funzione della buona politica: affrontare i problemi, non cavalcarli».



